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Le ultras dell’Armata pirata 161: “Vorremmo essere considerate brutte e cattive e sugli spalti vogliamo farci sentire più degli uomini”

Con l’Armata pirata 161, il nome della curva del Sant’Ambroeus Football Club di Milano, ci si vede sempre tre ore prima di ogni partita, per prepararsi e caricarsi insieme.
C’è chi è voglioso di tifare “il piccione”, come chiamano la nostra squadra per il suo simbolo, ed è puntuale, spesso nonostante la serata precedente, e chi no.
Noi siamo scure, vestite di nero e assonnate, le ultras si piantano sugli spalti e ci passeranno le prossime ore. Iniziano a bere, fumano e parlano, ridono, sono amiche e amici. Alcuni urlano entusiasti e montano le coreografie, gli striscione e “le pezze” (quella dedicata alle Ladies recita: “Ladies against football sexism”). Le bandiere sono due e quella che preferiamo ha un jolly roger gigante su sfondo nero. Il baccano aumenta, più ce n’è e più è una festa. La partita sta per cominciare e così anche le ultras si dispongono vicine: unite, battono le mani, c’è chi sventola, chi suona il tamburo, chi lancia i cori e tutte urlano per la propria squadra, le ragazze risuonano sugli spalti di Gorla, il nostro stadio. I fumogeni sono rossi e bianchi, da tanto ci muoviamo in curva fa caldo anche d’inverno, si suda e si puzza.
Il più delle volte un gol lo prendiamo, ma non importa, esultiamo ugualmente; alcuni dicono che perdere è quasi meglio ed effettivamente lo è. Il tifo si fa più grande e con lui l’amore per i colori. Io sono una tifosa, ho scelto di esserlo, ho bramato il mio posto sugli spalti: la prima linea, lanciare i cori, zittire gli altri. Le donne sono meno degli uomini, ma talvolta cantano più forte. Quanto può essere soddisfacente capovolgere un coro machista e trasformarlo in un grido di donne ultras, ve lo dico io, molto.

Calcio moderno o popolare
Ci sono molti modi di vivere il tifo e alcuni degli elementi che hanno un peso in questa scelta risultano difficili da decifrare. Lo stadio, rispecchia in modo grossolano la società: è un luogo di lucro, basta vedere l’elevato costo dei biglietti destinati prevalentemente alle fasce più abbienti della società. Il calcio moderno è mercenario, la trasformazione del tifo attraverso le pay tv che spostano la partecipazione sul divano di casa o al massimo in bar a pagamento, e non allo stadio, fa sì che le partite vengano giocate in giorni e orari scomodi per chi vorrebbe tifare dagli spalti.
Gli ultimi mondiali svolti in Qatar sono stati l’apoteosi di ciò che il calcio non dovrebbe mai essere: un enorme business costruito con il sangue e lo sfruttamento degli ultimi. Per costruire diversi stadi da zero, in un paese assolutamente non adatto e non attrezzato, è stata necessaria una grande quantità di forza lavoro immigrata, a lavorare in condizioni a volte difficilissime. I diritti umani e civili sono stati posti in secondo piano. Non solo, la decisione di svolgere i mondiali in Qatar è la prova del ruolo geopolitico che ricopre il calcio. La prossima candidatura dell’Arabia Saudita ne è la conferma ulteriore.
Invece il calcio popolare, il nostro calcio e la curva di una squadra di quartiere si differenzia dall’ambiente che si trova nei grandi stadi, da noi le regole e i valori sono dettati dagli stessi occupanti: la passione per la squadra si tramuta in un mezzo di militanza politica e nel caso specifico di Armata pirata per lottare contro il razzismo, l’omotransfobia e il sessismo. Il settore popolare è uno spazio di lotta e emancipazione. E quando ci tocca pagare il biglietto (succede in alcuni campi) la colletta non arriva a 3 euro.

Il ruolo della donna sugli spalti
Le curve nascono come ambiente fortemente maschilista, conservando con entusiasmo l’impronta patriarcale, sono presenti e tollerati comportamenti sessisti e macisti, accompagnati dal linguaggio becero per cui nei cori degli ultras più noti sentiamo voci maschili accanirsi contro “la zoccola bolognese” o “le puttane romane”.
Il ‘’gentil sesso’’ non ha un posto e un ruolo sugli spalti, la parola stessa ne descrive la garbatezza e amabilità, aggettivi che non si addicono agli ultras e all’ambiente di cui fanno parte, si può dunque facilmente dedurne che la presenza femminile negli stadi oltre ad essere sempre stata scarsa, quasi inesistente, non è mai stata presa in considerazione. L’ultras nasce uomo, quest’ultimo, negando la partecipazione alle donne marca quasi in modo indelebile il territorio dello stadio attraverso la virilità, la forza fisica e mentale dunque tramite dinamiche di potere che stabiliscono, nello stadio come in qualsiasi altro tipo ambiente, conservano e interiorizzano un regime patriarcale.
Negli anni ‘70 e ‘80 mentre il tifo in Italia inizia a organizzarsi come fenomeno di massa, le donne iniziano ad esprimere il loro forte desiderio di emancipazione anche all’interno degli stadi. La curva del Torino, Ultras granata, fu una delle prime ad vedere donne vogliose di tifare e vivere la vita ultras come i loro colleghi maschi. Le ragazze toriniste vengono coinvolte nei disordini e nelle violenze ultras, come in quelle di piazza dei movimenti. Il gentil sesso non è così gentile ed è capace di organizzarsi e militare quanto i maschi.
Nascono altri gruppi, alcuni unicamente femminili come le ‘’commando girls’’ formatosi nel 1984 nella curva del Catanzaro o ancora il ‘’Genoa club red and blue’’ composto da sole donne tifose del Genoa, che oltre a voler gridare per i propri colori vogliono rivendicare il loro ruolo di donna, emancipandosi e appropriandosi di uno spazio fino ad allora unicamente riservato ed occupato ai maschi.


E quindi: armata ladies…

Armata ladies rappresenta e rispecchia la necessità impellente di decostruire il modello ultras pienamente machista e sessista, in cui si riproducono tutti gli aspetti più beceri del patriarcato. L’obiettivo è quello di costruire, ideare e mettere in pratica un attitudine ultras che coinvolga la donna, dandole un ruolo centrale e trascinante in ogni sfaccettatura della vita sugli spalti. Armata pirata esponendo ogni domenica una pezza con scritto ‘’armata ladies, against football sexism’’ dimostra di voler abbattere preconcetti, rivendicare e lottare per i valori in cui crede, ricordando a tutt3 che sui nostri spalti non è accettato alcun tipo di comportamento sessista.
Armata pirata si unisce al grido femminista, condannando ogni genere di violenza e discriminazione, condanniamo il patriarcato insito nella società e il ruolo che ci hanno da sempre attribuito, un ruolo di sottomissione, inferiorità, che pone la donna in secondo piano. Condanniamo l’uomo che vuole sancire il proprio potere: in casa, in strada, sugli spalti. Vorremmo essere considerate brutte e cattive, vogliamo essere temute, vogliamo farci sentire più degli uomini sugli spalti. Siamo stanche di sentire che il calcio è da e per maschi, vogliamo portare la nostra lotta in questo ambito, che più di altri è in particolare permeato di machismo e violenza. Dunque Armata pirata, e ancor di più armata ladies non esita di fronte alle discriminazioni, ma anzi decide di capovolgere quelli che sono i comportamenti e i linguaggi utilizzati e considerati normali in curva.

*Sono Lupa, ho 19anni e amo tifare.
La prima volta sugli spalti è stata con papà, ne avevo 11: Milan-Fiorentina, abbiamo perso, ho pianto tutta la partita, avevo paura.
Sugli spalti di Gorla ci sono finita per caso, trascinata da amici, curiosa di scoprire.
Vado a scuola quando ho voglia e allo stadio anche se non ne ho.
Gioco a rugby ed è bellissimo, la mia squadra “la stella rossa” è una famiglia. Siamo una squadra giovane ma fortissima. Lo sport popolare è una realtà che mi coinvolge e completa su vari punti che vanno dalla politica al divertimento. Mi piace scrivere e leggere ma per scrivere meglio dovrei leggere di più, e sto imparando (questo reportage è stato realizzato nell’ambito del mio progetto i alternanza scuola-lavoro).
Come Armata Pirata 161 ci trovate una domenica sì e una no a Gorla, sugli spalti, abbiamo una pagina Instagram @armatapirata161
Potete venire a tifare, a cantare o a fare amicizia e aggregazione.

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