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North Field East, Eni e la peggiore bomba climatica al mondo

Piattaforma di estrazione di Gas - north field east - bomba climatica - eni

Eni ha annunciato che parteciperà al progetto di sfruttamento di un enorme giacimento di gas naturale, in Qatar: il North Field East. Il progetto è stato definito la peggiore bomba climatica al mondo.

Andrea Baroncini della rivista Valori ne ha parlato con Lorenza Ghidini e Roberto Maggioni nella puntata di Prisma di giovedì 23 giugno.

Prima di tutto bisogna precisare che la definizione di bomba climatica proviene da un’inchiesta pubblicata dal Guardian, che elenca tutti i progetti con un’alta probabilità provocare più di un miliardo di tonnellate di CO2. I progetti di questo tipo sono alcune centinaia e di questi il peggiore di tutti è appunto quello in cui è coinvolta anche Eni. Parliamo di North Field East, un giacimento di gas naturale immenso situato in Qatar che si stima possa contenere il 10% delle riserve mondiali di gas naturale. Delle tre fonti fossili (carbone, petrolio e gas) il gas naturale è quella meno impattante dal punto di vista climatico, ma è comunque fortemente inquinante. Inoltre, diversi studi hanno dimostrato che se vogliamo tentare di raggiungere l’obiettivo più ambizioso dell’accordo di Parigi, cioè rimanere entro un riscaldamento globale di 1,5 gradi alla fine del secolo rispetto ai livelli pre-industriali, dobbiamo mantenere sotto terra tutte le fonti di combustibile fossile che abbiamo individuato.

Questa partnership è figlia del tentativo di emancipare l’Italia dalle importazioni di gas dalla Russia o viene da più lontano?

Probabilmente è anche figlia di questo tentativo di emancipazione. Le compagnie occidentali sono state spinte dalla guerra in atto in Ucraina ad affrancarsi dalle fonti di approvvigionamento che provengono dalla Russia. Ci sono nazioni, ad esempio la Francia, che puntano molto sul nucleare, ma l’uranio arriva anche dalla Russia o da nazioni che sono caratterizzate de democrazie piuttosto traballanti. Allo stesso modo l’Italia ha fissato degli accordi con altre nazioni, ad esempio l’Algeria, che diventerà probabilmente il nostro primo fornitore di gas. Il punto principale non è da dove recuperiamo queste fonti fossili. Stiamo guardando il dito e ci stiamo dimenticando della Luna. Dal punto di vista climatico non cambia assolutamente nulla se importiamo gas dalla Russia, dal Qatar o dall’Algeria.

Quando potrebbe essere pronto questo impianto?

In questi giorni sono stati scelti i partner. Oltre a Eni, parteciperanno anche la francese Total e l’americana ConocoPhillips. Secondo il governo di Doha e il governo del Qatar si dovrebbe cominciare a produrre già a partire dal 2026. Quando si tratta di cominciare a produrre da nuovi giacimenti si fa molto presto. Quando invece si parla di carbon neutrality o quando si progetta di affrancarsi delle fonti fossili i tempi sono sempre lunghissimi.

Nell’immediato risolverebbe il problema di un minore ingresso di gas russo in Italia?

No, non lo risolverebbe. Nel caso di North Field East si parla di gas naturale liquefatto. Questa risorsa comporta dei processi di rigassificazione e di importazione. A differenza di quello che viene invece dall’Est che arriva attraverso gasdotti direttamente nell’Europa centrale e nell’Europa occidentale. Non a caso, quando si è parlato delle importazioni di gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti, è stato sottolineato da più parti che l’impatto in termini ecologici di quel gas è circa due volte e mezzo superiore rispetto a quello che arriva dall’Est dell’Europa. Proprio perché ci sono dei processi differenti e perché c’è un lungo trasporto del quale va tenuto conto.

I contratti firmati dai governi sembrano non ostacolare le grandi compagnie che continuano a intraprendere progetti in totale contraddizione con gli accordi internazionali per il clima. Non sono previsti disincentivi?

Al contrario. Sappiamo che le grandi banche internazionali hanno dato migliaia di miliardi di dollari al comparto delle fossili. Anche i governi hanno continuato a sovvenzionare i comparti di carbone, petrolio e gas.

Sarebbe il momento di supportare la transizione ecologica mettendo in campo tutte le forze che abbiamo, imponendo sistemi di disincentivo o vere e proprie moratorie sull’avvio di progetti di estrazione di combustibili fossili da nuovi giacimenti. Purtroppo è un problema di volontà politica. La questione climatica ha un grandissimo problema: i tempi della scienza sono estremamente lunghi rispetto a quelli della legislatura di un Paese. Nessuno si vuole prendere la responsabilità di decisioni di cui avremmo assolutamente bisogno per garantire un futuro alle prossime generazioni.

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    Aree interne, non piace il riferimento del governo al declino demografico: per Legambiente nell’Oltrepo pavese c’è un’inversione di tendenza

    Nuova strategia e organismi di gestione per i fondi per le aree interne fino al 2027. Lo ha deciso il governo, con poca convinzione nella possibilità di invertire lo spopolamento e il declino economico di ampie zone d’Italia, più al sud che nel centro nord. In tutto ci vivono oltre 13 milioni di persone. In Lombardia le aree interne sono Valcamonica e Valcamonica in provincia di Brescia, Val d’Intelvi in quella di Como, e l’Oltrepo pavese. Per supportare questi territori ci saranno strutture dalla presidenza del consiglio alle regioni, passando per gli enti territoriali comprensoriali che dovranno attivarsi per coordinare il lavoro in rete. Come nella precedente strategia rimangono centrali i servizi per chi vive in questi territori, dalla sanità alla scuola, passando per le connessioni digitali e i trasporti. L’invecchiamento della popolazione, secondo il documento del governo, appare maggiore in questi territori, i migranti possono aiutare a diminuire questa prospettiva, così come ci sono segnali di ripresa del commercio in alcuni territori. Fabio Fimiani ha sentito Patrizio Dolcini di Legambiente Oltrepo pavese, una delle aree interne della Lombardia.

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    “Jazz in un giorno d’estate”: il titolo ricalca quello di un famoso film sul jazz girato al Newport Jazz Festival nel luglio del ’58. “Jazz in un giorno d’estate” propone grandi momenti e grandi protagonisti delle estati del jazz, in particolare facendo ascoltare jazz immortalato nel corso di festival che hanno fatto la storia di questa musica. Dopo avere negli anni scorsi ripercorso le prime edizioni dei pionieristici festival americani di Newport, nato nel '54, e di Monterey, nato nel '58, "Jazz in un giorno d'estate" rende omaggio al Montreux Jazz Festival, la manifestazione europea dedicata al jazz che più di ogni altra è riuscita a rivaleggiare, anche come fucina di grandi album dal vivo, con i maggiori festival d'oltre Atlantico. Decollato nel giugno del '67 nella rinomata località di villeggiatura sulle rive del lago di Ginevra, e da allora tornato ogni anno con puntualità svizzera, il Montreux Jazz Festival è arrivato nel 2017 alla sua cinquantunesima edizione.

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