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Rio a 4 giorni delle Olimpiadi

Il nome dell’ultimo tedoforo, quello che completerà un percorso di 20 mila chilometri, oltre 300 città e 26 Stati, quello che chiuderà un elenco di 12 mila tra uomini e donne, non è ancora noto. Come da tradizione. L’incognita serve a mantenere vivo fino all’ultimo, al momento dell’accensione del grande braciere, attenzione, interesse e aspettativa sulla cerimonia che venerdì sera inaugurerà la 31esima edizione dei Giochi a 5 cerchi nella loro versione moderna. La prima sudamericana.

La direzione creativa dell’evento, previsto per le 20 locali e l’una di sabato 6 agosto in Italia, è stata affidata a Fernando Merelles, Daniela Thomas e Andrucha Wasddington. Ci sarà anche il contributo di Marco Balich, protagonista degli show alle Olimpiadi di Torino 2006 e a Expo 2015.

L’esaltazione del senso tutto brasiliano per lo sport è garantita anzitutto dal teatro della cerimonia: un tempio laico come l’Estádio Jornalista Mário Filho, il Maracanà. Da questo luogo di leggenda (e miseria sportiva) sarà dato il via alle ostilità, che difficilmente decreteranno una tregua da quelle reali, diffuse in ogni angolo del pianeta in questo 2016.

Spera, almeno in questi 17 giorni, di trovare un po’ di tregua il Brasile, che arriva stremato all’evento. Il clima nel Paese è decisamente diverso rispetto a quello che accolse due anni fa i Mondiali. La crisi economica, complice il doppio appuntamento internazionale troppo ravvicinato, ha colpito più duro che altrove, il ciclo si è invertito. Al resto ha pensato la situazione politica, con il sogno di Lula e Dilma ormai inesorabilmente fallito. O fatto fallire. C’è da salvare le apparenze davanti al pianeta, c’è da limitare i danni.

Anzitutto dal punto di vista della sicurezza, una preoccupazione concreta come dimostra l’arresto di 10 presunti jihadisti negli scorsi giorni e lo schieramento di oltre 80 mila militari nelle strade della metropoli. C’è da vendere un Brasile che non c’è più, o forse non lo è mai stato. Che rimane violento in troppe zone, vulnerabile e incapace di dare una risposta a migliaia e migliaia di poveri. Coprire le favelas agli occhi di tv e visitatori, come ha raccontato ai nostri microfoni da Rio Ivan Grozny Compasso, testimone di un’opera di camouflage acrobatico volto a celare sacche di povertà e marginalità.

Eppure, scommettiamo, nulla rovinerà l’atmosfera magica delle competizioni, nemmeno le tensioni non ancora del tutto scaricate dello scandalo doping e del dimezzamento della selezione russa. Sarà tutto passato quando Usain Bolt si alzerà sulle punte, quando i canottieri (pur con gli immani guai ambientali che caratterizzano lo scenario della Lagoa Rodrigo de Freitas) gonfieranno i toraci, quando avranno il via lo spettacolo del beach volley o quello che il Dream Team di basket assicura ogni quattro anni dal 1992. Quando ci ritroveremo a tifare una nazionale azzurra senza troppo talento, ma chi lo sa cosa prevede il destino. Quando, per la prima volta, senza una bandiera né un inno nazionale, si assisterà alle performance di un team di rifugiati, riprova della capacità dell’evento di leggere i tempi e rappresentarli. Quando impareremo a conoscere le decine di storie uniche, da ogni Paese, di atleti che avranno vinto in ogni caso.Per la vita e i suoi guai, quelli dei brasiliani, i nostri e di chiunque, ci sarà tempo il 21 agosto.

  • Autore articolo
    Dario Falcini
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    Un anno di Trump (dopo i primi quattro dal 2016). Il 6 novembre 2024 il tycoon veniva rieletto alla Casa Bianca con una maggioranza risicata, poco più di 2 milioni di voti su 156 milioni di schede votate. In un anno Trump ha trasformato il declino di una superpotenza - gli Stati Uniti degli ultimi anni - in una forza aggressiva contro paesi e principi che erano stati amici dal dopoguerra ad oggi. Trump e il tramonto della relazione privilegiata americana con l’Europa; Trump e il tramonto delle garanzie democratiche dello stato di diritto. Nel primo anniversario del ritorno di Trump alla Casa Bianca è arrivata l’elezione del sindaco di New York Zohran Mamdani. Ecco un passaggio del suo discorso della vittoria: «la saggezza convenzionale direbbe che sono ben lontano dall’essere il candidato perfetto. Sono giovane, nonostante i miei sforzi per invecchiare. Sono musulmano. Sono un socialista democratico. E, cosa ancora più grave, mi rifiuto di chiedere scusa per tutto questo». Pubblica ha ospitato Ida Dominijanni, giornalista e saggista, fa parte del direttivo del Centro per la Riforma dello Stato. Ha insegnato filosofia politica e teoria femminista all’università di Roma Tre ed è stata ricercatrice alla Cornell University (NY).

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