Il tè nel deserto

La sanità USA di New Amsterdam è più realtà che finzione

Interno di un pronto soccorso. Arriva in barella un uomo con strane reazioni sul viso e nella gola. Non si capisce da cosa sia affetto e nel giro di pochi minuti ne arrivano altri quattro, conciati come lui e che erano stati a contatto con lui. I medici si chiedono se possa essere un virus molto contagioso. Ma uno di loro, il più saggio, sostiene che no, non è possibile che sia un virus, perché un virus letale arriverà presto nel mondo e noi non saremo pronti per affrontarlo. È una scena di “New Amsterdam” una serie tv americana del 2018, arrivata da poco su Netflix e che in due stagioni, in attesa della terza interrotta per Covid, racconta la quotidianità di medici e pazienti all’interno del più grande ospedale pubblico di New York.

Il nome è di fantasia ma si ispira al Bellevue Hospital, il primo ospedale pubblico degli Stati Uniti, in cui ha lavorato il dottor Eric Mannheimer autore del libro autobiografico “Dodici pazienti: vita e morte al Bellevue Hospital” da cui prende le mosse la sceneggiatura. Il protagonista della serie, il dottor Max Goodwin interpretato da Ryan Eggold, è il nuovo direttore medico di questa importante istituzione sanitaria di New York, alle prese con la non semplice gestione di una struttura medica in mano alla sanità pubblica. Il suo motto è “come posso aiutare?” e la sua rivoluzione è mettere il paziente al primo posto, smascherando e poi rifiutando gli interessi economici che spesso si celano dietro al busisness delle malattie. Una figura talmente onesta e competente da sembrare irreale, non certo paragonabile a quello che abbiamo visto, per fare un esempio a caso, in Lombardia.

I pazienti ricoverati al New Amsterdam sono quelli appartenenti alle frange sociali più fragili, molti sono immigrati, alcuni homeless, altri residenti con reddito molto basso. Sono tutti quelli inclusi nel Medicaid, il programma federale americano che prevede aiuti per i più poveri da parte dei singoli stati. Si tratta di persone che hanno potuto usufruire realmente di questi aiuti con l’Obamacare, la riforma sanitaria firmata nel 2010 dall’ex Presidente Barack Obama e che nel 2017 Donald Trump ha cercato di cancellare senza riuscirci, ma rendendone più difficile l’attuazione, con pesanti giochi di potere tra gli alti vertici delle strutture sanitarie e il personale medico.

Le storie romanzate e spesso commoventi che si svolgono in “New Amsterdam” si muovono in questa cornice politica e sociale, in un’enorme edificio che non manca di eleganza e attenzione nei confronti di chi viene accolto lì dentro. Siamo a New York e tutto sembra essere di altissimo livello, anche se il servizio è pubblico e dedicato soprattutto alle fasce sociali meno abbienti. L’ospedale è infatti sovvenzionato da molti donatori più che benestanti e sponsor che ne garantiscono la qualità eccellente. Anche l’ideatore della serie David Schulner, in attesa di riprendere a girare la terza stagione, ha chiesto alla produzione e alla NBC di regalare al New York State Department of Health, maschere, guanti, camici e il resto del materiale sanitario previsto per le riprese, per contribuire agli elevati sforzi economici emersi durante la pandemia.

  • Barbara Sorrentini

    Laureata in filosofia, giornalista, conduttrice e autrice a Radio Popolare. Dal 2002 cura e conduce la trasmissione “Chassis” e per qualche anno ha realizzato “Vogliamo anche le rose”, dedicata ai documentari. Per Radio Popolare ha condotto i diversi contenitori culturali e tuttora realizza servizi e interviste per trasmissioni e Gr. Tra le ultime trasmissioni “A casa con voi” e “Fino alle 8” con la rassegna stampa del mattino. È stata direttrice artistica del Festival dei beni confiscati alle mafie. Ha collaborato con La Repubblica, E-Il Mensile, Pagina 99, blogger per MicroMega, Cineforum Web, Cinecittà News, 8 1/2. È tra i curatori del libro Entretiens- Nanni Moretti, edito dai Cahiers du Cinéma, ed è tra gli autori della Guida ai film per ragazzi (Il Castoro). È stata consulente dell’Assessorato alla Cultura di Milano (2012-2013).

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    Se Inter e Milan lasciassero lo stadio non è vero che il Comune di Milano si troverebbe ad affrontare dei costi insostenibili. Lo ha spiegato il comitato Sì Meazza, una delle realtà che si oppongono alla vendita e al conseguente abbattimento dello stadio, in un incontro a palazzo Marino. Dagli ultimi bilanci di M-I Stadio srl, la società che gestisce il “Meazza” per Inter e Milan, si evince che la maggior parte dei ricavi negli ultimi due anni viene dai concerti, dalle visite all’impianto, dal museo e da attività non strettamente correlate ai club. Ricavi che potrebbero coprire senza problemi le spese annuali di gestione. Il comitato cerca così di smentire uno degli argomenti adottati più spesso da chi sostiene la necessità della vendita dello stadio alle società di calcio. Sentiamo Luigi Corbani del comitato Sì Meazza.

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