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Myanmar: la resistenza pacifica della Generazione Z

myanmar gen z ANSA

C’è una canzone che si chiama “Rivoluzione”. L’hanno scritta e portata nelle strade birmane un gruppo di giovani musicisti riuniti sotto il nome di “Generation Z MM”. Si esibiscono in strada con violini, tromboni e percussioni durante le manifestazioni pro democrazia che da più di 20 giorni ormai infiammano il Myanmar, da quando l’esercito, con un colpo di stato, ha arrestato e incarcerato la leader Aung San Suu Kyi.

La generazione Z comprende tutti i ragazzi e le ragazze nate tra il 1996 e il 2010, che in Birmania sono una grande fetta della popolazione. Sono ironici, disincantati e liberi. Soprattutto liberi. Non hanno vissuto la dittatura precedente, sono cresciuti in un paese democratico e non hanno nessuna intenzione di rinunciare alle loro libertà, come ci ha raccontato una ragazza birmana di 23 anni, che per la sua sicurezza chiameremo Zaya.

È vero, non abbiamo mai visto con i nostri occhi la dittatura militare, quella che c’era prima della democrazia. Ma abbiamo sentito i racconti dei nostri genitori. E ora mi rendo conto di quanto i militari siano stati disumani e crudeli con la nostra gente. Stanno utilizzando il loro potere per il proprio beneficio e per quello di pochi altri. Stanno distruggendo il Paese e lo stanno conducendo di nuovo nelle tenebre. Ci ispiriamo ai giovani manifestanti a Hong Kong o in Thailandia, abbiamo imparato molto da loro. I giovani di questi Paesi condividono le nostre stesse idee sulla democrazia e adottano tecniche di resistenza pacifica simili alle nostre.

Come è successo e continua a succedere ad Hong Kong, o in Thailandia, i giovani della generazione Z hanno preso in mano le proteste e ne hanno fatto qualcosa di completamente nuovo e inedito. Alla violenza hanno risposto con un’ ironia e una creatività sconosciuta ai loro genitori. Le loro manifestazioni sono pacifiche e il loro humor è dissacrante. Uno degli slogan più utilizzato dai manifestanti, per esempio, scherza sull’altezza del capitano dell’esercito Min Aung Hlaing, detto MAL: “I miei sogni sono più alti di MAL”. Altri cartelli visti durante le manifestazioni sono: “Il mio ex è terribile, ma i militari sono peggio” o “Vi siete messi contro la generazione sbagliata”. La rabbia e la paura vengono esorcizzate e gli avversari rimangono spiazzati. I ragazzi, poi, non hanno leader: Zaya ci ha spiegato che tutti sono allo stesso tempo leader e seguaci. Si organizzano sui social network e si danno appuntamento nelle piazze ogni giorno.

I giovani sono quelli che stanno lottando più di tutti per libertà e democrazia. Gli adulti però ci raccontano la loro esperienza e ci danno consigli. Questa collaborazione generazionale ci dà energia, ma un altro fattore che ci rende più forti rispetto alle generazioni passate è la nostra capacità di comunicare facilmente con tutto il mondo in tempo reale. Possiamo raccontare quello che sta succedendo qui. Già in tanti sono stati uccisi, ma il fatto è che noi già sappiamo cos’è la democrazia. Abbiamo conosciuto la luce che può avere il nostro Paese e ora non possiamo assolutamente tornare indietro. Credo che questa sia la nostra forza.

La vita dei ragazzi birmani è cambiata radicalmente in queste ultime settimane, e così, quella di Zaya.

Prima del colpo di stato, il Myanmar ha sofferto della pandemia da Covid19, come gli altri paesi. Poi sono arrivate le medicine, abbiamo ricominciato ad andare a scuola e abbiamo iniziato a vedere in lontananza la luce. Ma ora, a causa del golpe, tutte le nostre speranze e i nostri sogni sono stati distrutti e il nostro futuro è tornato ad essere buio.

Io prima non ero molto interessata alla politica, le mie giornate erano molto semplici. Andavo al lavoro, poi tornavo a casa, leggevo un libro o guardavo una serie tv. Ma ora viviamo nella paura e di notte non riusciamo a dormire perché abbiamo paura di essere arrestati. Quindi, cos’altro dovrei fare? Noi non vogliamo tornare ad essere schiavi dei militari. Questo è il motivo per cui lottiamo per la democrazia. Ogni giorno e in ogni luogo.

La paura, ci ha raccontato Zaya, è tanta. Ma ancora più forte è la paura di ritrovarsi a vivere in una dittatura, e perdere le libertà conquistate faticosamente dai loro genitori.

Noi tutti viviamo nella paura. È una paura reale, perché se non combattiamo questo colpo di stato, noi e le generazioni future torneremo a vivere in questo modo, sotto il potere dei militari e ripiomberemo nuovamente nel buio, senza renderci conto che abbiamo perso i diritti umani che prima avevamo. Abbiamo anche paura di non poter più esprimere le nostre idee e i nostri desideri liberamente. Non siamo al sicuro.

Il bisogno di libertà è la forza motrice di questi ragazzi e i social network sono un’arma potente che li tiene collegati con il resto del mondo. Ma da soli, non possono sconfiggere l’ombra scura della dittatura che, come ha sottolineato Zaya, sta oscurando il loro futuro. Per questo, hanno bisogno della collaborazione di tutta la comunità internazionale.

C’è ancora una cosa che vorrei dire al mondo. Noi birmani stiamo lottando per la democrazia, ma non è solo un nostro problema. È una battaglia tra democrazia e dittatura. So che tutto il mondo ci sta guardando, e sta ascoltando le nostre richieste. Grazie per questo. Ma ve lo chiedo per favore, agite il prima possibile. Non siamo più al sicuro. I nostri diritti umani non sono più rispettati qui. Non possiamo permettere che i militari vincano. Per favore, per favore, aiutateci.

Foto | ANSA

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    Martina Stefanoni
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