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Che cosa è successo oggi? – Mercoledì 13 maggio 2020

Nembro COVID

Il racconto della giornata di mercoledì 13 maggio 2020 attraverso le notizie principali del giornale radio delle 19.30, dai dati dell’epidemia diffusi oggi all’accordo tra la maggioranza di governo sul Decreto Rilancio. Silvia Romano è diventata il bersaglio perfetto per la Lega. In Lombardia chi vorrà potrà rivolgersi ai laboratori privati per i test sierologici a proprie spese, mentre a Milano ci si prepara a chiudere l’ospedale COVID della Fiera. Il reportage a Nembro, uno dei primi focolai del Coronavirus e la mappa del contagio di Milano, Lodi e Province. Infine i grafici del contagio nelle elaborazioni di Luca Gattuso.

I dati dell’epidemia diffusi oggi

Per la prima volta il numero dei positivi è in calo in tutta Italia, con la sola eccezione del Molise dove negli ultimi giorni è stato individuato un focolaio a Campobasso. I numeri di oggi confermano un andamento in calo, tranne che per quello dei decessi: 195 nelle ultime 24 ore. Il numero complessivo dei morti arriva così a quota 31mila.
I guariti crescono di 3.500 unità e diminuisce il numero di persone in terapia intensiva, ricoverate con sintomi e anche quelle in isolamento domiciliare. Sono meno di 80mila le persone attualmente positive, in calo di 2909 unità rispetto a ieri.
Oggi sono stati fatti 61.973 tamponi (ieri 67.003). Il rapporto tra tamponi fatti e casi individuati è di 1 malato ogni 63 tamponi fatti, l’1,6% uguale alla media degli ultimi giorni.
Degli 888 tamponi positivi rilevati oggi, la maggior parte sono in Lombardia, con 394 nuovi positivi (il 44,3% dei nuovi contagi). Tra le altre regioni più colpite dal coronavirus, l’incremento di casi è di 169 casi in Piemonte, 50 in Emilia-Romagna, di 31 in Veneto, di 27 in Toscana, di 67 in Liguria e di 38 nel Lazio.

Decreto Rilancio, trovato l’accordo

(di Anna Bredice)

L’accordo si è trovato. I Cinque stelle hanno accettato la regolarizzazione dei lavoratori stranieri in Italia, che riceveranno un permesso di soggiorno temporaneo della durata di sei mesi. La trattativa è andata avanti per parecchi giorni, fino al punto di rottura, ma la posizione anche pubblica di Giuseppe Conte a favore di un accordo, ha costretto Vito Crimi e i più ostili all’accordo tra i grillini ad accettare una mediazione. Un punto di caduta che è rappresentato da due elementi centrali: il datore di lavoro da un lato potrà autodenunciarsi e regolarizzare il lavoratore presente in Italia prima dell’8 marzo 2020, inizio del lockdown, pagando una somma di 400 euro all’Inps, ammesso però che il datore di lavoro non abbia subito condanne per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, di sfruttamento minorile e della prostituzione. Dall’altro lato, il lavoratore straniero potrà chiedere un rinnovo per sei mesi, se è già in possesso di un permesso di soggiorno scaduto dall’ottobre 2019. L’accordo, così com’è, accontenta tutta la maggioranza e anche le associazioni che si sono spese negli ultimi mesi per dare dignità ai lavoratori stranieri spesso sfruttati nelle campagne del Sud. Con l’accordo, infatti, molti lavoratori braccianti emergeranno e avranno la possibilità di avere non solo una casa dignitosa lasciando spesso delle baracche, ma anche l’assistenza sanitaria. Le associazioni di agricoltori sono soddisfate, anche se sottolineano la necessità di avere la maggiore sicurezza possibile nel settore dal punto di vista dell’emergenza COVID, ad esempio nel trasporto dei lavoratori, che si spostano spesso con furgoni e pulmini, o nelle serre, quello della floricoltura è stato il settore più colpito nell’agricoltura in tutta l’emergenza di questa primavera. L’accordo è esteso anche alle colf e alle badanti, un’estensione che consente di regolarizzare almeno 500 mila lavoratori complessivamente. Inoltre nel decreto è prevista la possibilità di lavorare nelle campagne anche per coloro che recepiscono attualmente forme di sostegno come il reddito di cittadinanza, sempre che i contratti abbiano una durata di non più di 30 giorni.

Silvia Romano bersaglio perfetto per la Lega

(di Luigi Ambrosio)

Il meccanismo è sempre lo stesso. Si crea un nemico e lo si usa per soddisfare il bisogno di un capro espiatorio. Si individua un bersaglio e lo si colpisce per spostare l’attenzione da un tema che si vuole nascondere. Un classico del modo autoritario, e populista, di fare politica.
Un classico a cui in Italia, negli ultimi anni, la Lega, non solo la Lega ma in particolare la Lega, ci ha abituati. Questa volta, poi, con il caso Silvia Romano, le condizioni sono perfette. Silvia Romano è donna, giovane, di sinistra, è stata rapita in Africa dove era andata a fare cooperazione internazionale, per la sua liberazione è stato pagato un riscatto. E quando è tornata si è avuta la conferma che si è convertita all’Islam. I responsabili della propaganda reazionaria non potevano sperare di meglio.
La Lega non poteva sperare di meglio. È stata una vera fortuna avere all’improvviso un bersaglio così. Proprio adesso che i sondaggi erano in forte calo e la macchina della propaganda era inceppata, i meccanismi bloccati dalla realtà dei fatti che si chiamano disastro della Regione Lombardia nella gestione dell’emergenza coronavirus. La Regione Lombardia. Il cuore del potere leghista. La Heimat. Il senso stesso di esistenza della Lega che se pure con Salvini si è data un abito e una ambizione nazionali continua ad avere in Lombardia le radici. La sua identità. La Lombardia superiore a tutti, la regione più ricca, più produttiva, più efficiente. Con la sanità invidiata da tutti. La Lombardia che è stata travolta dal tasso di morti da coronavirus più alto del mondo, con i malati abbandonati nelle case, i disastri negli ospedali e nelle Rsa, l’ospedale alla fiera, i test che non ci sono. E 15mila morti. Salvini a un certo punto si era pure fatto dare un ufficio alla sede della Regione, per cercare di prendere in mano le cose soprattutto sul piano della comunicazione. Poi però pure lui ha fatto perdere le sue tracce da Milano. La storia del ritorno di Silvia Romano non sarebbe potuta arrivare al momento più opportuno.

Verso la chiusura dell’ospedale COVID della Fiera di Milano

(di Fabio Fimiani)

Sta per chiudere l’ospedale COVID della Fiera di Milano, costruito da Regione Lombardia ingaggiando anche l’ex capo della protezione civile nazionale Guido Bertolaso. L’annuncio è del direttore della rianimazione del Policlinico di Milano Antonio Pesenti, da cui dipende la struttura, la grande impresa realizzata con le donazioni dell’imprenditoria lombarda vicina all’amministrazione regionale, oltre ventuno milioni di euro.
Le difficoltà sono state numerose, e alcune mai risolte, come la distanza dagli ospedali con i quali avrebbe dovuto interagire.
Inizialmente avrebbe dovuto avere seicento posti, poi scesi a poco più di duecento, ma non è chiaro se sono stati completati. Nelle poche settimane di funzionamento ha avuto al massimo una ventina di pazienti. I contrari, sottovoce, hanno sempre fatto presente i tempi di realizzazione e la lontananza dagli ospedali. Le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità consigliano di realizzarli con prefabbricati nelle vicinanze.
Erano però le settimane in cui la pandemia COVID-19 costringeva alla trasformazione dei reparti degli ospedali in rianimazioni, grazie al lavoro incessante di maestranze e sanitari. Dopo la guarigione dal coronavirus, Bertolaso si è intanto spostato a Civitanova Marche per realizzare un altro ospedale COVID. Come per Milano con l’aiuto del Sovrano Ordine Militare di Malta, e ancora più distante dal più vicino ospedale.
Entrambe le strutture potrebbero finire nella riserva di posti di rianimazione che ciascuna Regione dovrà avere per la nuova normalità, secondo le linee guida del Ministero della Sanità. Non è detto che ricalcheranno il modello di queste due strutture.

Lombardia, test e tamponi a pagamento

(di Michele Migone)

L’assessore Gallera ha annunciato che chi vorrà potrà rivolgersi ai laboratori privati per i test sierologici a proprie spese. Se dovesse risultare con gli anticorpi potrà fare il tampone. Dopo settimane di sordità agli appelli a cambiare rotta, la giravolta della Giunta lombarda è una beffa per i cittadini. Per le migliaia che hanno atteso e che tuttora invano attendono un tampone dall’ATS; per tutti coloro che dovranno sborsare un prezzo medio di 70 euro per i test, la cui scientificità non è sempre chiara. Per le aziende un aggravio economico, ma se vorranno riprendere il lavoro in sicurezza non potranno fare altrimenti.
La questione in fondo è tutta lì, nella Fase 2. La giravolta di Fontana e Gallera non è stata il frutto di una riflessione sui loro errori di gestione. Molto più semplicemente hanno visto i dati del contagio in Lombardia e hanno capito che erano troppo in ritardo per mettere in piedi nella fase della ripresa delle attività quella rete di controllo sanitario del territorio che avrebbero dovuto creare da tempo. Così hanno chiamato in causa i laboratori privati. Che ora dovrebbero entrare in azione. Sempre che abbiano i reagenti autorizzati per tamponi e test. In Regione scarseggiano, la Lombardia non ha fatto come il Veneto che ha comprato i macchinari per produrli. Se non ci fossero i reagenti, in particolare per i tamponi, vorrebbe dire che quello di Gallera è solo l’ennesimo vuoto annuncio. Se invece dovessero saltare fuori significa che qualcuno li ha tenuti da parte per il momento buono. C’è ancora molta confusione nelle mosse di Fontana e Gallera. Con una sola, incrollabile certezza: il sistema sanitario lombardo non deve cambiare. Costringere le persone a pagare i laboratori privati vuol dire che questi dolorosi lunghi mesi non hanno insegnato alla giunta di destra a saper distinguere tra cittadini, malati e clienti.

Nembro, viaggio nel focolaio del Coronavirus

(di Roberto Maggioni)

I capannoni delle aziende accompagnano a destra e sinistra tutti i 15 Km di strada che separano Bergamo da Nembro. È l’inizio della Valseriana, epicentro della diffusione del Covid-19 nella bergamasca. Si capisce bene, guardando alla quantità di camion incrociati, quanto siano forti gli interessi economici della zona.
Lasciata la SP 36 si sale a sinistra per raggiungere Nembro. Case indipendenti, palazzine basse, i balconi e le finestre sono una distesa di bandiere blu con la scritta “Insieme ce la faremo” e “Noi amiamo Bergamo” con un grosso cuore rosso al centro. C’è anche qualche bandiera dell’Atalanta, ma questa è un’altra storia, anche se in comune con le altre ha il senso di comunità che si respira da queste parti. CONTINUA A LEGGERE.

La mappa del contagio di Milano, Lodi e Province

(di Claudio Jampaglia)

ATS Milano ha iniziato a rendere disponibile un report giornaliero con la mappa del contagio da COVID tra le province di Milano e Lodi. Ne abbiamo parlato a Prisma con Walter Bergmaschi, direttore generale dell’ATS Città di Milano: “Al momento la situazione non ci sta preoccupando”. Le novità sui tamponi e i test sierologici. CONTINUA A LEGGERE.

L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia

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    Redazione
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