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“Improbabili pagamenti CIG per il 15 aprile” secondo i consulenti del lavoro

tassa patrimoniale

Pasquale Staropoli, della Fondazione Consulenti del Lavoro, vi aspettavate quello che è successo al sito dell’Inps?

Non era inaspettata la difficoltà del sito dell’Inps a sostenere una tale mole di richieste. Non era mai
accaduto che arrivassero tante domande di ammortizzatori sociali contemporaneamente. Dunque, al netto
dell’attacco informatico denunciato dal presidente Tridico, c’è da rilevare l’inadeguatezza di strumenti
che non erano pronti per fronte a questa situazione.

Cosa si sarebbe dovuto fare secondo i consulenti del lavoro?

Io non ho competenze informatiche ma sicuramente sarebbe stata necessaria una suddivisione, come
quella annunciata ora, dividendo gli accessi di professionisti abilitati e quelli dei normali cittadini che
accedono per ottenere il bonus per i lavoratori autonomi. Era in qualche modo necessario prevedere delle
soluzioni per affrontare una molte di accessi assolutamente straordinaria.

E’ verosimile che i primi pagamenti della cassa integrazione arrivino il 15 aprile, come promesso dal
governo?

Il 15 aprile sembra difficile riuscire ad arrivare ai pagamenti. Senza voler addebitare una responsabilità ad
alcuno dei soggetti in campo, però ci sono dei passaggi burocratici che purtroppo sono stati mantenuti
anche dalla disciplina emergenziale e che rendono poco fondata la presunzione di arrivare al 15 aprile ad
erogare i primi pagamenti delle indennità di cassa integrazione e degli altri ammortizzatori.

Servirà l’accordo con l’Abi, associazione delle banche?

E’ tutto da verificare, con tutti i se e i ma del caso, ma questo strumento dell’anticipo da parte delle
banche potrebbe andare nella direzione giusta. E cioè quella che i consulenti del lavoro hanno sempre
chiesto: prevedere strumenti eccezionali coerenti con la situazione di drammatica eccezionalità che stiamo
vivendo.

Qual è il problema?

Il decreto “Cura Italia” ha l’intenzione dichiarata di prevedere delle procedure semplificate per la cassa
integrazione. Ma alla fine, finisce in un imbuto di procedure previste dagli istituti che rimangono quelli
ordinari. Quindi, finalità di emergenza ma mezzi ordinari: il collo di bottiglia è lì.
Noi avevamo proposto, e lo avevamo fatto anche tecnicamente, con un emendamento al decreto legge, un
ammortizzatore unico e uno snellimento assoluto delle procedure. Per esempio, in questa situazione mal si
comprende quale sia la funzione della consultazione sindacale per un datore di lavoro che è costretto a
chiudere l’azienda per decreto del governo.

E’ vero che per la cassa integrazione in deroga la situazione è ancora più complicata?

Sì, e lo stiamo verificando sul campo. C’è un problema di regolamentazioni diverse e un problema di
coordinamento tra queste regolamentazioni regionali. Ne abbiamo 20 diverse e con significativi
scostamenti rispetto alla legge nazionale. Un quadro molto disomogeneo, con requisiti e tempi diversi.
Alcune regioni, poi non hanno ancora attuato le nuove misure, altre non hanno formalizzato gli accordi
territoriali, altre ancora non hanno approntato le strumentazioni tecniche. C’è un grosso problema di
disomogeneità.

Come per le ordinanze regionali e i provvedimenti sanitari, anche sul lavoro c’è un problema di scarso coordinamento tra Stato e Regioni?

E’ un problema non recente che ci trasciniamo dalla riforma dell’articolo 117 della Costituzione, con
quella assegnazione di autonomia alle Regioni, che può avere anche delle ricadute positive ma che in
questa situazione crea problemi. Ad esempio non c’è uno strumento che consenta allo Stato in
determinate situazioni, come quella che stiamo vivendo, di avocare a sé determinate funzioni. Siamo
costretti a combattere con venti regolamentazioni di cassa integrazione diverse, disposizioni sanitarie
diverse e interpretazioni altrettanto diverse. Alla ripresa bisognerà ripensare questo aspetto perché non
basta ripartire, è necessario anche ragionare sul come ripartire.

  • Autore articolo
    Alessandro Principe
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    La retta della Rsa per le persone affette da Alzheimer deve essere a carico dell’Azienda Sanitaria: lo ha deciso la Corte d’Appello di Milano che ha ribaltato la sentenza di primo grado del Tribunale di Milano. Sentenza che obbligava un cittadino lombardo a pagare il ricovero in una struttura sociosanitaria per la madre malata di demenza senile. Si tratta di rette insostenibili: secondo i sindacati, nonostante la Lombardia impegni 200 milioni di euro in più all’anno rispetto a quattro anni fa proprio per le RSA, queste alzano le rette e le famiglie continuano a pagare prezzi spropositati. Abbiamo sentito prima Laura Valsecchi di Medicina Democratica e successivamente Federica Trapletti, segretaria SPI CGIL che sta seguendo la vicenda.

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