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“Quando incontrai Martin Luther King”

50 anni fa, il 4 aprile 1968, Martin Luther King veniva assassinato a Memphis mentre si trovava sul balcone della sua stanza presso il Lorraine Motel. King aveva già scritto alcune delle pagine più importanti della Storia degli Stati Uniti d’America, ma oggi a cinquant’anni di distanza l’America sembra aver fatto dei passi indietro e, complice anch l’elezione di Donald Trump alla guida del Paese, il suprematismo bianco è tornato a far sentire in modo importante la propria presenza.

Oggi, in questo storico anniversario, abbiamo intervista il giornalista e politico Furio Colombo, a lungo corrispondente dagli Stati Uniti per La Repubblica e La Stampa e riuscito ad incontrare Martin Luther King nei primi mesi del 1960, quando quello da lì a poco sarebbe diventato il leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani stava soltanto iniziando a far sentire la propria potente voce.

Lei ha conosciuto di persona Martin Luther King?

Sì, certo. Succede nelle epoche della Storia. Credo che fosse il gennaio o febbraio del 1960. Si avviava nel suo pieno la campagna elettorale per l’elezione di John Kennedy. In una casa di New York, la cui proprietaria era nota per essere una grande organizzatrice per il Partito Democratico, c’è stata una sera dedicata a una raccolta di fondi per il movimento nero nel Sud degli Stati Uniti e in quell’occasione Martin Luther King era stato inviato. Era a New York in quei giorni, era in quella casa e ci siamo incontrati.

Che uomo era?

Era un uomo intelligente, attento, bene organizzato anche dal punto di vista comunicativo nello stabilire il primo rapporto e fare quel lavoro che in quelle situazione si chiama networking, cioè vedere più persone possibili e cercare di trarre il frutto di questo viaggio. Era il Presidente di quella che si chiamava la Southern Christian Leadership Conference, che era l’organizzazione dalla quale sono nate le marce e le attività che poi hanno scosso l’America e che hanno reso Martin Luther King un personaggio di primo piano anche nelle notizie. Tutto ciò stava appena cominciando e l’idea era di venire a New York e vedere persone che sarebbero potute diventare sostenitori e che avrebbe potuto dare o procurare fondi per la Leadership Conference.
Diciamo che aveva certi aspetti di politico, nel senso di comunicatore diretto, ma anche di intellettuale perchè era colto e molto bravo nell’evolvere il filo del pensiero col quale si stabiliva il rapporto. Aveva molto del predicatore del Sud, ma era riuscito a portare quelle caratteristiche a un livello di qualità espressiva straordinario. Nel rapporto tra persone avevi l’impressione di qualcuno che sa cosa sta facendo e che ha una forte capacità di esprimersi e di organizzare. Quando lo ascoltavi parlare dal pulpito, perchè esattamente quello faceva nella chiesa – non parlava dal centro della chiesa come nella maggior parte delle chiese battiste, ma parlava dal pulpito – aveva una capacità comunicativa notevole e immediatamente capace di agganciare l’auditorio. Nonostante ciò non era una folla quella che ha trovato intorno a lui, c’erano ancora le centinaia di persone che si riunivano. Cominciava allora quella che sarebbe diventato in pochi anni la folla di un milione di persone che lo hanno seguito ad ascoltare “I Have A Dream” in quell’indimenticabile evento di Washington che è stato anche il punto più alto della sua figura pubblica.

Abbiamo raccontato il sogno e l’America che veniva rappresentata da Martin Luther King e dalla sua storia. Invece che America raccontano quegli spari che hanno messo fine alla vita di Martin Luther King? Che America hanno rappresentato?

Hanno rappresentato per tempo un’America che c’era già e che sarebbe continuata fino a quando Trump ci ha rivelato che si tratta di un’America più grande di quella che la cultura, la sociologia e la politologia americana avevano ritenuto di identificare. Da quegli spari si va direttamente, attraverso i decenni, all’incredibile sorpresa dell’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti. Di Trump vorrei dire una cosa: non ricordo alcun americano, intendo dire proprio nessuno nell’intero anno di lunga e controversa campagna elettorale, che avesse previsto la vittoria di Trump. Questo ci dice che la gravità del movimento sotterraneo di opposizione di suprematismo bianco e di opposizione all’evoluzione dell’America verso la parità dei diritti era molto grande, ed è ancora molto grande, più grande di quanto la cultura americana sia stata in grado di percepire e raccontare.

omicidio martin luther king

Colombo, presente a Memphis il giorno in cui Martin Luther King fu assassinato, si dice certo che le cose non siano andate così come la versione ufficiale ha sempre sostenuto:

Non si dimentichi che il delitto di King è un mistero tutt’ora. La famiglia di King e Coretta King hanno sempre sostenuto, ed era anche il mio parere perchè mi trovano sul posto, che James Earl Ray non era l’assassino, ma era un capro espiatorio trovato al momento giusto quando si doveva dire all’opinione pubblica “ecco, si tratta di un cavallo pazzo che abbiamo potuto acciuffare e che ora sconterà questo tremendo delitto con una vita in prigione“. Fin dal momento in cui Andrew Young, il numero 2 di Martin Luther King, l’uomo più vicino a lui e che poi diventerà ambasciatore alle Nazioni Unite con Carter, gli reggeva la testa – se pensate a quella celebre fotografia al Lorraine Motel in cui un giovane uomo nero tiene la testa colpita di Martin Luther King un po’ sollevata dal cemento del balcone del Lorraine Motel – ecco quello era il momento in cui Andrew Young ha indicato un punto e una provenienza del proiettile, e lui era sul balcone accanto a Martin Luther King, che non era e non poteva essere quello che è stato attribuito dalla polizia nella ricostruzione prima dell’arresto di James Earl Ray e dopo che James Earl Ray è stato catturato ed è diventato il colpevole e ufficialmente l’assassino.

Quello dell’omicidio di King, continua Colombo, è soltanto uno dei grandi misteri della storia recente degli Stati Uniti e ci aiuta anche a capire qualcosa del presente:

Le cose si sono svolte in un altro modo come per John Kennedy, si sono svolte in un altro modo come per Robert Kennedy o come per tutti quei delitti americani di cui non abbiamo traccia. Nel frattempo tra allora e oggi ricordiamo che c’è stata Oklahoma City, l’esplosione del 23 aprile del 1995 in cui è stato fatto saltare l’edificio federale con 168 morti e l’uccisione anche di una quarantina di bambini: un progetto terroristico del suprematismo bianco e di quella catena di eventi che hanno tormentato a lungo l’American e continueranno a tormentare l’America perchè purtroppo c’è un vuoto di accentramento anche dell’opinione pubblica. Ci fa luce su quel che è successo intorno a King, che era già un premio Nobel e uno dei personaggi più importanti del Mondo, il fatto che la cultura non ha percepito il pericolo che lui correva e non abbia percepito il permanere e il diffondersi, non il moltiplicarsi, di un suprematismo bianco che tutt’ora è riuscito ad avvicinarsi molto alla Casa Bianca.

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    “E’ stato bello rendersi conto che la figura di Woodie Guthrie è ancora molto viva anche fuori dagli Stati Uniti”, racconta Sarah Lee, nipote dell’icona folk americana. “Le problematiche di cui cantava lui ottant’anni fa sono ancora attuali”, riferendosi al tema dell’immigrazione e alla difficile situazione al confine con il Messico. Con la sua musica Woody Guthrie "affrontava un concetto molto basilare di umanità e speranza, ovvero il trattare le persone come persone, aiutandosi a vicenda nei momenti di difficoltà": lo stesso messaggio che ora le Guthrie Family Singers vogliono portare avanti. Ascolta l’intervista di Elisa Graci alle Guthrie Family Singers.

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