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Aminata Traoré, come nasce il jihad in Africa

Un simbolo – al femminile – per tutta l’Africa. Aminata Traoré è stata ministro della Cultura del suo Paese, il Mali. Scrittrice, intellettuale, voce libera che rappresenta la società civile africana. È stata inviatat all’Università degli Studi di Milano per parlare d’immigrazione. All’Università di Bamako, dove insegna, denuncia le storture del liberismo estremo, soprattutto le ripercussioni in Africa. E come ha soffiato sul fuoco del terrorismo.

A chi serve il jihad in Africa? Ci sono gruppi politici che se ne approfittano?

Non credo che si possa parlare di forze politiche che operano dietro il jihadismo. Credo che la disillusione, la disperazione è sufficiente a creare armate di giovani pronti a morire.

Ma il jihad, come ha detto in più occasioni lei stessa, è un fenomeno che non nasce in Africa…

Il jihadismo è arrivato in Africa. Intendo dire che l’insieme delle formazioni terroristiche come Boko Haram, i miliziani di Al Shabaab, è un prodotto che deriva dagli interventi americani e occidentali in Iraq, in Afghanistan e da quelli franco-britannico in Libia. C’erano già delle sacche di integralismo, oggi sono interi territori.

Gli estremisti islamici hanno guadagnato spazio dopo la morte di Gheddafi. Che cosa è successo?

Le armi degli arsenali di Gheddafi, dopo la sua caduta, si sono riversate nel Sahel e i tuareg maliani e nigerini che erano in Libia sono discesi nel Paese, usandole, con la benedizione della comunità internazionale. Era chiaro che in un territorio fragile avrebbero avuto la meglio ed era chiaro che sarebbero arrivate le formazioni del jihadismo. Ora si dice che il fenomeno è un problema dell’Africa, ma non è così. È un problema che la Francia, la Gran Bretagna e gli occidentali hanno creato. L’arrivo delle armi in quelle zone, poi, ha trasformato la rabbia, la collera di molti giovani in illegalità. Il passo da qui all’integralismo è breve.

Perché si cerca un’alternativa nell’Islam radicale?

Quando si infliggono politiche economiche che non permettono ad un padre di famiglia di nutrire i suoi figli, la gente va alla ricerca di alternative. L’Islam radicale è diventato una risposta. Le proteste, le rivoluzioni arabe, le sollevazioni nei Paesi africani dei giovani chiedevano elezioni libere, democrazia, ricchezza per tutti. Non di aprire le porte multinazionali, come è avvenuto. Sfruttare le rivoluzioni per cambiare gli equilibri del potere e non la vita delle persone è un insulto ai giovani. In più li si criminalizza se cercano di scappare in Europa: si chiudono loro le porte in faccia dicendo che sono migranti economici e che l’Europa non è per loro.

La Comunità internazionale è intervenuta sia in Libia sia in Mali: qual è il suo giudizio in merito? Hanno responsabilità per la situazione attuale?

La comunità internazionale in Libia ha fallito e ha creato un grande danno all’Africa e in particolare al mio Paese, il Mali. La risoluzione dell’Onu che è stata completamente disattesa prevedeva la protezione di Bengasi e non l’uccisione di Gheddafi.

Oggi chi lascia le coste libiche è vissuto come un problema dall’Europa. E tanti che partono sono proprio africani: perché?

Era stato promesso che non ci sarebbero stati interventi militari e non è stato così. A questo si aggiungono i problemi climatici, le siccità e le carestie. Ecco, quando si combina tutto questo, è chiaro perché ci sono i migranti africani.

Che responsabilità hanno l’Europa e l’Occidente in genere su questa situazione?

L’Europa ha promesso lo sviluppo all’Africa attraverso una successione di accordi da quando i Paesi africano sono diventati indipendenti. Sulla carta sono 50 anni che l’Europa aiuta l’Africa ma in realtà ciò non è mai avvenuto: è stata l’Africa che ha offerto le sue ricchezze per l’industrializzazione dell’Europa e dell’Occidente in genere. Il contesto liberista in cui vive l’Europa ha condannato l’Africa a muoversi su un terreno competitivo per il quale non ha i mezzi.

  • Autore articolo
    Raffaele Masto
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    Una terza via sui manicomi, dopo la loro chiusura stabilita dalla legge Basaglia. È quella che ha invocato il ministro dell’Interno Piantedosi, commentando l’accoltellamento della donna a Milano per mano di un uomo con problemi psichiatrici. Il capo del Viminale ha detto che il caso richiama l’attenzione sul tema, evocando di fatto la riapertura di strutture simili ai manicomi. “Credo vada riconsiderata una terza via con trattamenti delle persone che garantiscano la sicurezza dei cittadini”, ha spiegato Piantedosi in tv. La maggioranza nei mesi scorsi aveva già provato a mettere mano con una riforma alla legge Basaglia. Ma non è la legge 180 ad aver creato insicurezza e abbandono, bensì il definanziamento della sanità pubblica. Come spiega Massimo Cirri, psicologo e conduttore radiofonico.

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    È morto Giorgio Forattini. Il vignettista aveva 94 anni. Fondatore della rivista satirica Il male, nella sua lunga carriera ha lavorato per molti tra i maggiori quotidiani nazionali, da Repubblica, alla Stampa, a Paese Sera al Giornale. Per decenni ha commentato le vicende politiche italiane, con un bianco e nero inconfondibile e una scorrettezza esibita e divertita, la sua vera cifra stilistica. Il ricordo del disegnatore e fumettista Stefano Disegni.

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    Un lombardo su dieci è straniero. Lavora, paga le tasse ma non riesce a emergere socialmente

    Sono più di un abitante su dieci della Lombardia, lavorano, pagano le tasse, hanno figli che vanno a scuola ma restano ai piani bassi dell’ascensore sociale. È il ritratto degli stranieri nella nostra regione, fotografato dal dossier immigrazione che è stato presentato oggi. Rispetto a un anno fa sono aumentati del 2,3%, la meta preferita Milano e il suo hinterland. Del milione e 200mila stranieri, poco meno di un milione ha il permesso di soggiorno, circa la metà di lungo periodo. “Questo nonostante le difficoltà nell’ottenerlo”, dice Maurizio Bove, presidente di Anolf Lombardia, una delle realtà che ha elaborato il rapporto, che chiede una netta revisione delle norme per la regolarizzazione dei migranti.

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    Abbiamo invitato Cristiano Godano e Riccardo Tesio, ospiti ai microfoni di Radio Popolare e di Volume, a salire su un'ideale macchina del tempo, per tornare insieme a noi a 30 anni fa: quando stava per uscire il loro secondo album "Il Vile". A marzo 2026 riporteranno in tour questo disco, così come era successo per il loro esordio "Catartica": oggi ci raccontano com'erano i Marlene Kuntz tra 1995 e 1996, mentre scrivevano e registravano uno dei dischi più importanti della loro carriera, ma anche della storia del rock italiano. Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia.

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