Approfondimenti

Nuova destra, vecchi fantasmi

Dopo le elezioni regionali nel Mecleburgo-Pomerania, Angela Merkel ha una certezza in più: la sua CDU comincia a sentire il fiato sul collo, da destra. Con un 20,8% il partito neoliberista xenofobo, Alternative für Deutschland (AfD), ha superato per la prima volta i cristiano-democratici della cancelliera, fermi al 19,03% dopo una campagna tutta incentrata sui temi della crisi e del rischio immigrazione e sullo slogan Unbequem. Echt Mutig! [“Scomodi (ma) veramente coraggiosi”].

La piccola regione che affaccia sul Baltico non è un Land importante, eppure una prima analisi del voto sottolinea come l’AfD abbia fagocitato sia parte dei voti delusi della Sinistra radicale e dei Verdi (risultati addirittura sotto la soglia di sbarramento), sia il bacino elettorale dei neonazisti del NPD, anch’essi privi di rappresentanti nel nuovo parlamento. Nonostante i commenti della grande stampa continuino a parlare di “voto di protesta”, l’AfD si impone sempre più come il nuovo volto della destra neoliberista e xenofoba nella ricca e potente Germania, dove la crisi dell’Eurozona continua a stravolgere assetti elettorali consolidati.

Alternative für Deutschland (“Alternativa per la Germania”) nasce da un manifesto/appello in vista delle elezioni federali 2013 (“Alternativa per le elezioni 2013”) sottoscritto da sessantotto qualificati soci sostenitori: un mix di professori universitari di economia, filosofia e storia (quasi un terzo dei firmatari, tra cui il duro Marc Jongen), analisti finanziari (Stefan Homburg), avvocati (Beatrix Amelie von Oldenburg in von Storch), giornalisti ed ex membri di seconda fila della CDU ai tempi di Kohl (come Ursula Braun-Moser o Joachim Starbutty).

Obiettivi politici erano: un radicale disimpegno della Germania dall’Unione Europea (intesa come zona Euro), una razionalizzazione della spesa pubblica (compresa una drastica riforma del generoso welfare, per supportare una massiccia riduzione del debito pubblico, arrivato nel 2015 al 71,2% in rapporto al Pil ), un piano energetico fondato sul Nucleare, maggiore trasparenza negli appalti pubblici e misure molto più restrittive sul diritto d’asilo e i flussi migratori migratorie.

Nelle consultazioni elettorali dell’aprile 2013 (quelle in cui la CDU di Merkel prese da sola il 41,5%), il giovane progetto elettorale ottenne solo un 4,7% (2.000.000 di voti circa nella quota proporzionale), appena sotto la soglia di sbarramento; ma la costanza avrebbe premiato.

Nonostante la delusione, venne avviata la strutturazione del partito guidata da tre leader: Bernd Lucke (precedentemente professore di macroeconomia presso l’Università di Amburgo), Alexander Gauland (ex politico e giornalista del Brandeburgo) e Frauke Petry ( piccola imprenditrice del settore chimico a Lipsia).

Passate le elezioni federali, la partita di spostò nelle consultazioni locali, ma dopo un 2013 ancora appannato (andò male sia in Baviera che in Assia), una prima affermazione avvenne nelle Europee 2014 con il 7,1%, (pur mantenendo lo stesso numero di voti del 2013), anche grazie ad una sentenza favorevole ai piccoli partiti della Corte Federale di Karlsruhe.

Con lo slogan nazionale anti-euro e contro l’immigrazione Mut zur Wahrheit (“Il Coraggio di dire la verità”), Alternative für Deutschland elesse così sette deputati capitanati da Bernd Lucke e venne accolta a Strasburgo nel gruppo European Conservatives and Reformists Group (ECR), dove sedevano tra i tanti: gli xenofobi scandinavi del Partito del Popolo Danese e dei Veri Finlandesi e molti partiti anti-immigrazione dell’Est Europa.

Dopo questa iniezione di ottimismo, l’AfD entrò, tra la fine del 2014 e la prima metà del 2015, nei parlamenti regionali di Sassonia (9,7% – 14 seggi), Turingia (10,6% – 8 seggi ) e Brandeburgo (12,2% – 11 seggi); tutti ex-länder della Germania Est attraversati dal movimento islamofobo P.e.g.i.d.a. (“Europei Patriottici contro l’islamizzazione dell’Occidente”) e da forti pulsioni xenofobe.

Durante le settimanali mobilitazioni dei razzisti radicali di P.e.g.i.d.a., in primis quelle di Dresda (culla del movimento), l’AfD mantenne un comportamento ambiguo, distanziandosi dagli slogan più violenti ma, di fatto, intercettando quelle istanze.

E dopo l’Est, sempre nel 2015, fu la volta di due importanti città-stato dell’ovest come Amburgo (6,1% – 8 seggi) e Brema (5,5% – seggi); entrambi centri storicamente rossi e fortemente segnati dalla new-economy e dalla produzione post-fordista.

Nel giugno 2015 esplose lo scontro di potere interno tra Bernd Lucke e Frauke Petry: dopo una scissione del professore, quest’ultima divenne leader del partito, radicalizzandone ulteriormente la linea politica in senso xenofobo e intessendo a Strasburgo sinergie con il FPÖ austriaco di Christian Strache ed il Front National di Marine Le Pen (dopo che l’AfD venne cacciato dall’ECR per le sue campagne giudicate esplicitamente razziste). La scissione dell’ex fondatore Lucke però non impensierì la Petry, che in aspre uscite televisive polemizzò violentemente con le politiche sui rifugiati annunciate da Angela Merkel e per mietere consensi sfruttò lo shock collettivo seguito alle violenze sulle donne avvenute durante i festeggiamenti del Capodanno 2016 a Colonia.

Anche grazie alla forte retorica islamofoba divampata dopo questi episodi di cronaca, Alternative für Deutschland si impose nelle elezioni regionali del Baden-Wittemberg ( terzo partito con il 15,1%), della Sassonia-Anhalt ( secondo partito col 24,2%) e della Renania-Palatinato (terzo partito col 12,6%).

Con il risultato di questo inizio settembre, l’AfD è dunque presente in nove parlamenti regionali, con nutrite pattuglie di rappresentanti.

Un successo notevole per un partito nato poco più di tre anni fa, che ne consolida la presenza nella vita politica tedesca, tanto da preoccupare una parte della CDU/CSU che accusa la Merkel di essere diventata troppo morbida sui temi dell’immigrazione.

I dati statistici resi pubblici dallo Bundeskriminalamt (Ufficio Federale per la Criminalità) e dallo Bundesamt für Verfassungsschutzt (Servizi Segreti Interni), nel febbraio 2016, fotografano del resto un razzismo diffuso: riscontrando un aumento delle violenze razziste di strada (198 casi nel 2014 e 819 nel 2015) e dei casi di danneggiamento (spesso incendi dolosi di matrice neonazista) a centri che ospitano richiedenti asilo (895 nel 2014 e 1610 nel 2015).

E’ anche da questo clima che nasce il voto per l’AfD.

Il programma della Alternative für Deutschland, infatti, riesce a tenere insieme posizioni neoliberiste tecnocratiche (riorganizzazione della spesa pubblica, supporto alla classe media, privatizzazioni) con le paure securitarie e xenofobe (carcere già a 12 anni, divieto di indossare il burka e costruire minareti); in modo da pescare voti nella composita società tedesca del “muro nella testa”: sia tra la middle class altamente istruita dell’ovest sia tra i settori segnati dalla cultura “dell’uomo della strada” dell’est, ex-elettore del NPD o fan di P.e.g.i.d.a.

In questo modo, in alcune zone, la AfD è riuscita ad aggredire anche il tradizionale bacino elettorale della SPD; infatti da una recente statistica, pubblicata sul magazine di sinistra radicale AK-Analyse & Kritik, nell’ex-Germania Est risulta che 34 lavoratori su 100 votano AfD, mentre solo 27 per i Socialdemocratici.

Alternative für Deutschland continua a ribadire la sua contrarietà ad una Germania impegnata a districare ogni problema dell’Unione Europea (soprattutto il lassismo degli indebitati stati meridionali), finendo per non tutelare la sua economia, il welfare e il risparmio, continuando a restare nell’Euro, sobbarcandosi spese non a immediato vantaggio dei tedeschi (intesi ovviamente come autoctoni) a fronte di un’alta tassazione sui redditi delle famiglie, del credito bancario e delle imprese.

Il tutto ribadito con uno stile pacato e una comunicazione pubblica netta ma efficace, ricca di dati e cifre, attenta agli umori dei social network, fortemente polemica con tutti i grandi partiti (SPD e CDU) ma rispettosa del bon ton del dibattito politico tedesco; anche se nei maggiori media è ancora aperto il dibattito sul dare spazio a contenuti così duri.

Un efficace mix di dottorati in economia finanziaria, abile comunicazione, euroscetticismo da tabloid e xenofobia diffusa; un incrocio, per rapportarlo all’Italia, tra il liberismo di Tremonti, le polemiche antipolitiche di Grillo e la contabilità razzista di Salvini.

Una creatura politica ben incarnata dalla sua regina, l’agguerrita quarantenne Frauke Petry, un’altra ex-ragazza dell’Est, considerata già dalla stampa internazionale l’altra-donna forte della politica tedesca nelle future elezioni federali del 2017.

Un pericolo sempre più insidioso per Angela Merkel (a cominciare dalla tenuta interna della sua CDU/CSU), incapace, per ora, di rispondere diversamente tanto allo sciovinismo del benessere quanto alle paure della sua Germania.

 

Questo articolo è apparso originariamente su MicroMega

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    Elia Rosati
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