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Pisapia: “L’UE imponga pesanti sanzioni alla Turchia”

Giuliano Pisapia

L’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia, eurodeputato dallo scorso luglio, è intervenuto a Malos il 14 ottobre per illustrare la raccolta di firme tra gli eurodeputati per chiedere al Parlamento europeo e alla Commissione europea non solo di condannare con assoluta fermezza l’attacco della Turchia in Siria, ma anche di imporre pesanti sanzioni economiche e diplomatiche ad Erdogan.

Già 60 eurodeputati hanno aderito “Gruppo di amicizia curda”. Di cosa si tratta esattamente?

L’iniziativa è partita ancora prima dell’invasione della Turchia in Siria e in Kurdistan. Lunedì scorso ho ricevuto, dopo loro richiesta avanzata con estrema urgenza, i rappresentanti curdi che mi chiedevano un’iniziativa a livello di Parlamento europeo sugli arresti e anche le torture che avevano subito i loro parlamentari, i loro sindaci e i loro cittadini. Abbiamo quindi iniziato il lavoro per cercare di riunire tutti i parlamentari che fossero a conoscenza di quello che stava succedendo e fossero disposti a fare qualcosa di concreto. E già lì, io insieme ad altri, abbiamo iniziare a prendere una serie di contatti e di adesioni per cercare di portare all’attenzione di tutti quello che stava accadendo in Turchia. Poi c’è stata l’invasione e a quel punto abbiamo deciso di iniziare concretamente con una riunione in cui ci fossero sia curdi sia non curdi, parlamentari e non parlamentari, per far sì che iniziassero delle proposte concrete per evitare un attacco alle città curde e soprattutto affinché ci fossero delle sanzioni da parte dell’Europa. Le sanzioni ci possono essere in quanto, come molti sanno, la Turchia riceve somme anche significative dal Parlamento Europeo, soprattutto perchè tiene presso di sé tre milioni di profughi siriani. Il nostro obiettivo è far si che l’Europa sanzioni la Turchia eliminando quello che secondo i turchi l’UE dovrebbe dare al loro Paese.

Questi 60 eurodeputati che hanno aderito all’iniziativa appartengono a specifici gruppi politici di sinistra o provengono anche da altri gruppi politici?

Ce ne sono tra i Verdi, i Socialdemocratici e poi ci sono singoli individui. Alla prima riunione era presente addirittura un parlamentare di estrema destra. Non abbiamo capito perché fosse lì e gli è stato chiesto di allontanarsi proprio per evitare che all’interno ci fosse qualcuno che puntasse a provocazioni di vario tipo.

Leggo oggi che le prime sanzioni annunciate non riguardano direttamente l’invasione della Siria, ma il petrolio a Cipro e l’azione aggressiva della Turchia nei confronti delle piattaforme petrolifere. Qui viene fuori un po’ la contraddizione europea.

La contraddizione non è soltanto europea, ma soprattutto da parte della Nato, al cui interno ci sono Paesi che condannano fortemente la Turchia e che dal punto di vista militare ne sono alleati. Questo è un nodo da sciogliere e secondo me anche la presenza di nostri soldati in determinati luoghi non dovrebbe esserci, soprattutto quando si trovano in confini in cui possiamo trovare soggetti e nazioni che sono all’interno della Nato e che però hanno obiettivi completamente diversi.

Quello che riguarda l’Europa più da vicino sono i rapporti economici e la gestione dei flussi migratori.

Io credo che con determinate iniziative anche di carattere economico si può fare male, ma il problema è che per farle diventare realtà i tempi sono lunghi. È un po’ come il problema delle armi, purtroppo gliele abbiamo già date. L’embargo ha un significato politico importante, ma non incide sull’armamentario già in possesso della Turchia. Una cosa su cui riflettere è l’appello che sta girando, non soltanto dei parlamentari europei, per cercare di bloccare la finale di Champions League che nel 2020 si giocherà ad Istanbul. Credo però che adesso sia necessario evitare che questa attenzione a livello nazionale di amore per il popolo curdo finisca nel dimenticatoio come spesso accade e come sta accadendo adesso per la Palestina.

Quando lei dice così, però, a me vengono in mente quei milioni di profughi siriani che rimangono in Turchia perchè noi europei, attraverso questi cospicui finanziamenti, abbiamo chiesto ad Erdogan di tenerli lì. Quando lui dice “ve li mando a casa vostra” mette il dito nella piaga alla nostra politica.

Sì, questo è un tema molto più ampio e secondo me anche poco conosciuto. In questa fase non stiamo dando soldi alla Turchia e anche lo stesso Erdogan dice che gli abbiamo dato i primi 3 miliardi, ma che non gli abbiamo ancora dato gli altri 3 miliardi che erano stati preventivati. Mi dicono, e però lo voglio verificare, che quelle somme vengono date direttamente alle associazioni che gestiscono i campi profughi. Non passano quindi attraverso il governo turco.

La questione di cui si discute in queste ore è il blocco della vendita delle armi. La Commissione UE ha deciso che questa scelta è demandata ad ogni singolo Paese. Perché su un tema come questo non si riesce a prendere una decisione comune?

Perché, purtroppo, oggi qualsiasi provvedimento del Parlamento Europeo deve essere confermato dal Consiglio d’Europa e su molti temi, tra i quali c’è anche questo, serve l’unanimità. È una cosa che stiamo cercando di cambiare e io nella commissione Affari Costituzionali ho proprio questo ruolo. Sembra però, e credo lo abbia dichiarato anche Mogherini alla stampa, che tutti i presenti abbiano dichiarato di essere pronti a bloccare la vendita delle armi in Turchia. Adesso bisogna passare dalle parole ai fatti.

Come giudica la posizione del governo italiano?

Io non amo particolarmente questo governo, che però si è mosso subito ed è stato abbastanza preciso e duro al Consiglio d’Europa. Il governo ha fatto sua la proposta che arrivava dalla cittadinanza attiva, ma ora l’importante è essere coerenti. Un conto è dire di essere disponibile a fare qualcosa, un altro è farla diventare realtà. Gli effetti non si vedranno subito, ma è importante che la minaccia diventi concretezza.

RIASCOLTA L’INTERVISTA A GIULIANO PISAPIA

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    Gaza, l’Onu chiede cibo e tende per l’inverno, ma Israele continua a demolire edifici con raid aerei “A Gaza mancano cibo e rifugi, bisogna aprire il valico di Rafah”: è l’ennesimo appello che l’Onu rivolge a Israele. A quasi un mese dall’entrata in vigore del cessate il fuoco, nella Striscia entra ancora solo una minima parte degli aiuti previsti; le agenzie umanitarie denunciano che Israele impedisce l’ingresso anche a tende, coperte e rifugi. I palestinesi della Striscia, in gran parte sfollati, non sono in condizione di affrontare la stagione fredda che si avvicina. L’esercito però, in violazione del cessate il fuoco, continua l’opera di demolizione degli edifici: dall’alba sono in corso raid aerei sui quartieri orientali di Gaza City. A livello diplomatico intanto gli Stati Uniti, intanto, portano avanti il loro piano per Gaza presso il consiglio di sicurezza dell’Onu: nelle scorse ore la risoluzione che autorizza la Forza internazionale di stabilizzazione è stata presentata anche ai paesi arabi coinvolti nel processo di mediazione tra Hamas e Israele. Da Deir al Balah, la testimonianza di Nicolò Parrino, responsabile logistica di Emergency a Gaza, intervistato da Chawki Senouci.

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