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Zagabria, scompare “Piazza Tito”

Questo articolo di Giovanni Vale è stato pubblicato originariamente sul sito dell’Osservatorio Balcani Caucaso

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Zagabria non ha più una piazza dedicata a Josip Broz Tito. Con 29 voti a favore, 20 contrari e un astenuto, il consiglio comunale della capitale croata ha infatti deciso di rinominare “piazza maresciallo Tito” in “piazza della Repubblica croata”.

Durante una lunghissima assemblea, iniziata nella mattinata e durata fino a tarda notte, la maggioranza conservatrice guidata dal sindaco Milan Bandić ha ingaggiato un lungo dibattito dal carattere storico con l’opposizione socialdemocratica, finendo col sancire, dopo la mezzanotte, la fine di questa piazza istituita nel 1946 (prima si chiamava semplicemente “piazza del teatro”, per via dell’opera nazionale che si erge al suo interno).

A nulla dunque sono servite le proteste dei giorni scorsi ed in particolare quella del 22 giugno, quando in occasione del Giorno della lotta antifascista, un migliaio di persone si sono riunite nei pressi del teatro per opporsi al già annunciato intervento sulla toponomastica cittadina.

Piazza Tito passa alla storia

“Piazza maresciallo Tito passa alla storia e speriamo che ci resti”, ha scandito, alla chiusura del voto, la presidente dell’assemblea comunale Andrija Mikulić (Hdz). Per la destra e in particolare per il movimento di estrema destra “Indipendenti per la Croazia” (Neovisni za Hrvatsku, NHR) di Zlatko Hasanbegović e Bruna Esih, si tratta di una grande vittoria simbolica. Si tratta di “un momento storico”, ha dichiarato l’ex ministro della Cultura Hasanbegović, parlando di “una piccola e tarda soddisfazione per tutte le vittime del terrore comunista jugoslavo durante e dopo la guerra”.

Politicamente, Hasanbegović è riuscito a far pesare i propri cinque rappresentanti in consiglio comunali (su un totale di 51), costringendo il primo cittadino Bandić (un ex socialdemocratico) a sacrificare piazza Tito in cambio del sostegno necessario ad arrivare alla maggioranza assoluto.

Lo stesso Bandić si è espresso giovedì in modo più cauto, ma comunque in linea con il voto che ha difeso. “Nessuno qui vuole sottostimare l’importanza del maresciallo Tito tra il 1941 e il 1945. Sappiamo dov’era la Croazia, dov’era Tito e com’è finita la Seconda guerra mondiale”, ha affermato il sindaco, che ha invitato il governo a rimouvere tutti i simboli che celebrano i regimi totalitari, senza fare distinzione di quale regime si tratti o di dove si trovino i simboli.

Le proteste dell’opposizione

Di tutt’altra opinione l’opposizione socialdemocratica, che durante il dibattito in aula ha difeso il ruolo cruciale avuto da Josip Broz Tito durante la Seconda guerra mondiale e la sua figura di statista durante i decenni successivi. “Chi sarà il prossimo croato a cui toglierete una strada o una piazza?”, ha dunque chiesto alla maggioranza Rajko Ostojić dagli scranni del partito socialdemocratico (Sdp). “L’obiettivo qui è nascondere la situazione economica, mettere una maschera sui grandi problemi di cui siamo testimoni”, ha aggiunto il rappresentante Sdp, convinto che “c’è una lunga serie di sfide (da affrontare) e invece stiamo tornando al problema degli ustascia e dei partigiani”.

Anche l’ex presidente Ivo Josipović è intervenuto nella polemica, ringraziando su twitter Hasanbegović “per la sua idea che i cartelli riportanti “piazza maresciallo Tito” siano conservati in un museo”. Così facendo, “non servirà costruirne di nuovi quando, dopo le prossime elezioni, riporteremo piazza Tito”, ha promesso l’ex capo di Stato socialdemocratico.

Si apre un vaso di Pandora

Sul breve termine, tuttavia, la previsione più azzeccata potrebbe essere quella di Tomislav Tomašević, il giovane rappresentante di “Zagreb je naš!”, secondo cui la decisione della giunta Bandić aprirà “un pericoloso vaso di Pandora”. In effetti, data la divisione profonda che attraversa la società croata sui temi legati alla Seconda guerra mondiale e dato il fatto che altre città (come Karlovac) hanno già intrapreso una campagna di modifica della toponomastica controversa.

Inoltre, il governo di Andrej Plenković è al momento alle prese con la delicata questione della targa commemorativa installata a Jasenovac e contenente il motto ustascia “Za Dom spremni!”. Incalzato dai rappresentanti delle minoranze, indispensabili all’esecutivo per avere la maggioranza al Sabor, il principale partito di destra, l’Hdz di Plenković, sta esitando sul da farsi.

Lo slogan ustascia vicino al campo di concentramento voluto proprio da Pavelić ha già rovinato le relazioni con Belgrado e non solo, ma intervenire in fretta per rimuoverlo non piacerebbe di certo all’ala più oltranzista del partito. La stessa da cui è stato espulso anche Hasanbegović, oggi in grado di modificare la geografia di Zagabria.

 

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    Osservatorio Balcani Caucaso
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    A distanza di qualche giorno, il discorso di Mattarella del 10 settembre scorso a Lubiana, in Slovenia, prende sempre più la forma di un sincero grido di allarme sui pericoli che sta correndo l'Europa e il mondo. La Russia di Putin e i droni minacciosi di Mosca sconfinati in Polonia, da un lato, e i bombardamenti dell'aviazione israeliana su Doha, dall'altro, rappresentano un pericolo crescente, un «crinale - ha detto Mattarella da Lubiana - in cui anche senza volerlo si può scivolare in un baratro di violenza incontrollata». E a governare questa situazione sembrano essere tornati i "sonnanbuli" di un secolo fa, quei goveranti che - secondo l'ormai classica tesi dello storico di Cambridge Christopher Clark - nel 1914 portarono l'Europa e il mondo alla prima guerra mondiale. Ma le preoccupazioni di Mattarella non finiscono qui. Nel messaggio inviato agli ospiti del Forum Ambrosetti di Cernobbio dieci giorni fa, il capo dello stato ha denunciato «il ruolo straripante delle corporazioni globali (Big Tech, ndr), quasi delle nuove Compagnie delle Indie». Secondo Mattarella, tali società globali «si arrogano un'assunzione di poteri che - insieme all'impulso di dominio neo-imperialista di alcuni paesi - rischia di essere letale per il futuro dell'umanità». Parola del presidente Sergio Mattarella. Pubblica oggi ha ospitato lo storico Giovanni Gozzini, dell'università di Siena, autore insieme a Marcello Flores di "Perchè la guerra" (Laterza, 2024).

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