La più diffusa e rinomata musica tradizionale della Mauritania è quella della componente storicamente e socialmente dominante della popolazione, cioè quella dei mauri di origine berbera e araba, mentre il resto della popolazione è nera, in parte di tradizioni e cultura maure, e in parte subsahariana.
Una composizione etnica con una eredità di pesanti contraddizioni che grava ancora sulla Mauritania dei nostri giorni: sostanzialmente persino la condizione di schiavitù in cui i mauri neri sono stati storicamente tenuti dai mauri di origine berbera e araba non è ancora stata del tutto superata. La Mauritania non ha conosciuto una rilevante esposizione internazionale della propria musica, e questo si deve probabilmente attribuire all’arretratezza del paese e alla debolezza delle strutture del suo mondo musicale. Tuttavia musicalmente la Mauritania non è più da tempo un paese completamente ignoto sul piano internazionale: e sono state delle donne ad arrivare sulla ribalta globale della musica.
Già sul crinale fra anni ottanta e novanta emerse la cantante Dimi Mint Abba, mancata nel 2011, nobile interprete della musica tradizionale. Si fece, poi, un nome all’estero Malouma, la cui musica è stata influenzata anche da generi occidentali: oggi sui sessantacinque anni, oltre ad una carriera di cantante, Malouma ne ha portata avanti una anche politica, distinguendosi come propugnatrice della democrazia, con un ruolo di rilievo fino a una decina di anni fa, nel panorama partitico del suo paese. Quindi, ha richiamato l’attenzione nell’ambito della world music Noura Mint Seymali, di cui è stato molto apprezzato il primo album pubblicato a livello internazionale, Tzenni, uscito nel 2014, seguito poi nel 2016 da Arbina, e dopo un lungo intervallo adesso da Yenbett, come i due precedenti pubblicato dalla Glitterbeat.
Oltre a cantare Noura Mint Seymali è una virtuosa dell’ardin, strumento tradizionale a corde che è prerogativa delle donne, e che può far pensare alla kora, da cui però differisce molto per caratteristiche e tecnica. Accanto a lei il marito Jeiche Ould Chighaly alla chitarra e al tindinit – lo strumento a corde che praticamente è in Mauritania quello che è il ngoni in Mali e il xalam in Senegal – e, inoltre, Ousmane Touré al basso e Matthew Tinari alla batteria, un americano che è senegalese di adozione. L’album è stato prodotto da Tinari e da Mikey Coltun, bassista di Mdou Moctar, chitarrista e cantante touareg nigerino che è uno dei protagonisti più importanti del fenomeno del rock-blues touareg. Noura Mint Seymali ha un solido ancoraggio alla musica tradizionale: la nonna materna Mounina era una grande suonatrice di ardin, il padre Seymali Ould Ahmed Vall studiò musica araba in Irak e introdusse il primo sistema di notazione della musica maura, e si sposò con Dimi Mint Abba, diventando così madre adottiva di Noura, che da ragazza la accompagnò come corista anche in esibizioni europee.
La musica di Noura Mint Seymali è però – e lo era anche nei precedenti album internazionali – vivacemente moderna, iniettata di blues e rock, e questo aspetto – su cui i touareg Tinariwen hanno fatto scuola anche in Mauritania – è ulteriormente accentuato in questo nuovo album. Certo, si tratta di un prodotto indirizzato ad un mercato internazionale, ma non si pensi che la Mauritania, pur con i suoi ritardi, sia congelata nel passato: in una città come Nouakchott, la capitale, i giovani fanno rap, e dal disco precedente di Noura Mint Seymali avevamo appreso che nella musica maura il modo tradizionale di costruire i contenuti delle canzoni, che si nutrono di versi suggeriti dagli ascoltatori raccolti intorno ai musicisti che li intrattengono, si era per esempio rinnovato con la creazione di testi attraverso gruppi Whatsapp.


