
La notizia del ritiro di parte del personale diplomatico dalle sedi consolari statunitensi in Iraq, Kuwait, Bahrein è il segno che i colloqui sul nucleare iraniano non sono andati come sperato. E che la possibilità di un attacco israeliano a Teheran, con successiva ritorsione da parte iraniana, non è più così lontana.
Per settimane le parti in dialogo, Stati Uniti e Iran, avevano mostrato buona volontà e ottimismo. Un accordo sul nucleare iraniano sarebbe stato, per Trump, un risultato diplomatico importante, un successo destinato a consolidare il suo profilo internazionale, qualcosa che l’amministrazione Biden non era stata capace di fare. L’accordo, per l’Iran, era ancora più importante. Avrebbe significato un sollievo assolutamente necessario dalle sanzioni che hanno paralizzato la sua economia. Poi, appunto, è successo qualcosa.
Dopo aver inizialmente mostrato flessibilità sulla possibilità per l’Iran di arricchire l’uranio a bassi livelli per la produzione di energia nucleare, Trump ha cambiato idea, affermando che qualsiasi arricchimento era inaccettabile. La cosa si è ovviamente rivelata una condizione impossibile da accettare per Teheran, che rivendica il diritto a un programma di energia nucleare civile sulla base del Trattato di non proliferazione nucleare (TNP), cui ha aderito nel 1970, che consente agli stati non dotati di armi nucleari di sviluppare programmi di energia nucleare pacifici.
Difficile dire cosa ha causato il rapido voltafaccia americano. Quando si tratta di Trump, tutto è possibile, le giravolte, i cambi di registro e di posizione sono all’ordine del giorno. In questo caso, è possibile siano intervenute le pressioni israeliane, sospettose di un accordo tra Washington e Teheran. Ma è anche possibile che alla fine abbiano prevalso quelle voci, nell’amministrazione, che mettono in guardia da un accordo con l’Iran. Secondo l’accordo sul nucleare iraniano del 2015, stipulato da Barack Obama, l’Iran si impegnava a non arricchire uranio oltre il 3,67 per cento, oltre ad accettare che la sua scorta di uranio arricchito non avrebbe potuto superare i 300 kg.
L’arricchimento dell’uranio ha però raggiunto una purezza del 60%, secondo l’AIEA, livello che permette la creazione di ordigni a scopo militare. Di qui, appunto, il passo indietro americano e la decisione di ridurre la propria rappresentanza diplomatica. Che potrebbe essere il segno che l’attacco alle strutture energetiche e militari iraniane, da parte di Israele, con il supporto americano, è imminente. Ma potrebbe anche essere un modo, da parte di Washington, per esercitare pressioni sull’Iran, ammorbidendo le sue richieste e posizioni con la minaccia di un intervento militare.