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“Vittime processate dall’opinione pubblica”

Violenza di genere

Francesco Menditto, pubblico ministero in Liguria, si occupa da anni di violenza di genere. Claudio Jampaglia lo ha intervistato oggi a intervistato a Giorni Migliori.

Il reato di violenza sessuale è un reato subdolo e insidioso che colpisce nell’intimo la persona, la donna nel 98% dei casi secondo le nostre statistiche. È necessario che ci sia un’attenzione particolare da parte della legge e del legislatore. I sei mesi per denunciare sono quelli previsti della nostra legge, ma non di tutte le leggi europee: la Francia prevede 10 anni per presentare la querela.

Lo sa che oggi la ministra francese Marlène Schiappa ha annunciato che lo allungheranno ancora?

No, questo non lo sapevo. Mi dice qualcosa che ovviamente condivido in pieno. Il reato di violenza sessuale, come sa chi ha un minimo di esperienza, richiede un periodo di elaborazione lungo. In alcuni casi è possibile immediatamente denunciarlo, in altri casi – soprattutto quelli insidiosi dovuti a induzione – si richiede una lunga elaborazione da parte della vittima, a volte anche di anni. Per questo bisogna assolutamente allungare questo termine e le dico che la modifica legislativa costerebbe pochissimo se ci fosse il consenso. Costa zero e ci vogliono pochi giorni, pochi mesi al massimo, per approvarla. Se ci fosse una volontà politica di questo tipo, e forse possiamo collaborare tutti in questo senso, la potremmo far approvare tenendo presente che, purtroppo, una modifica del genere si applicherebbe soltanto per il futuro. I benefici quindi li vedremmo a lunga distanza.
Perseguire reati di violenza di genere non è soltanto un problema della magistratura e dei pubblici ministeri nella prima fase – richiedono sicuramente specializzazione e sensibilità culturale, ci tengo a dirlo – ma è un problema di carattere generale. Se di fronte a una persona che denuncia, quindi che è stata vittima nel nostro ordinamento, si inizia a livello giornalistico a fare il processo alla vittima, è evidente che la vittima non denuncerà mai. L’indagato nel processo penale è colui che è accusato di un fatto e normalmente sui giornali si dovrebbe discutere dell’accusato. Invece sempre più spesso si discute della vittima. Vediamo i casi in cui qualcuno ha denunciato reati di violenza sessuale e immediatamente si colpisce la vittima e si va a scandagliare la sua vita. È chiaro che questo non alimenta la possibilità di denunciare, così come il giustificazionismo degli ambienti di lavoro. Io sono un Procuratore della Repubblica e quando accade un episodio di violenza mi chiamano i giornalisti. Legittimamente io faccio le conferenze stampa, sempre in maniera trasparente. La domanda che quasi sempre mi fanno tutti i giornalisti: “Ma è vero?“, cioè mi chiedono se è vera la violenza. Questa le fa capire un po’ il clima della stampa.

Lei prima ha accennato ai reati nei luoghi di lavoro. Sono in aumento?

Non ho i dati statistici, probabilmente in un rapporto recente della Commissione sul femminicidio c’è qualcosa di più. Certamente la percezione che abbiamo come operatori è che c’è un incremento delle denunce. Dobbiamo sempre distinguere in questi casi ciò che accade, cioè il reato commesso, e la quantità di reati che vengono denunciati, quindi che sono a nostra conoscenza. Purtroppo la percentuale dei reati denunciati rispetto a quelli commessi è tra il 7 e il 10%, abbiamo uno spiraglio molto piccolo rispetto alla realtà. Direi che sono leggermente in aumento, ma la possibilità di farli aumentare dipende non soltanto dalla magistratura – nessuno ignora che ci sono dei problemi anche nella magistratura – ma il problema è creare un clima culturale per consentire di denunciare anche chi subisce negli ambienti di lavoro, perchè quelli sono ambienti che tendono a coprire e impedire alla vittima di denunciare o tendono a bloccarla quando sta per denunciare. Quando si parla dei luoghi comuni che abbiamo si dice che la donna ha subito la violenza perchè vuole fare carriera oppure che ha accettato di subire durante il provino per fare carriera, questi sono i luoghi comuni. Ancora una volta andiamo sulla vittima: la donna per fare carriera ha subito, ma è la vittima. Non si parla mai dell’uomo che ha esercitato il potere che aveva in quel momento per insinuarsi nella libertà della persona. Questo accade molto negli ambienti di lavoro. Negli Stati Uniti quando vengono svelate queste cose, i manager e i responsabili pubblici vengono subito cacciati. In Italia io non ricordo casi di questo genere.

RIASCOLTA L’INTERVISTA:

Violenza di genere
Foto dalla pagina FB della Casa Internazionale delle Donne https://www.facebook.com/casaintdelledonneroma/
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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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