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Vigne di Viggiano, le trivelle sono in casa

“L’Eni è la casa più pulita al mondo”. Così l’ad del gruppo petrolifero, Claudio Descalzi, in merito all’indagine in corso da parte della procura di Potenza sull’inquinamento del petrolio lucano. Descalzi, durante l’audizione alle Commissioni riunite Attività produttive di Camera e Senato, ha aggiunto che è fiero di lavorare in Eni e di viverci: “Chi dice che si tratta di una pattumiera me lo venga a dire in faccia”.  Ma un conto è parlare nell’ovattata cornice di Montecitorio, altro è vivere a Viggiano, dove secondo i magistrati, l’Eni falsificava i codici per smaltire rifiuti pericolosi come se non lo fossero

Maria Cristina Berardone vive alle Vigne di Viggiano, l’area abitata più prossima al Cova, il Centro Olii val d’Agri. È arrivata lì con i genitori quando aveva dieci anni, dopo il terremoto dell’80, c’erano ancora le vigne che danno il nome alla contrada. Proprio lì lei e suo marito hanno costruito la loro casa. Il Cova, con l’acquisizione dei terreni da parte dell’Eni, ettaro dopo ettaro, si è fatto sempre più vicino alla sua abitazione e a quelle degli altri residenti delle Vigne. L’Eni è arrivata quasi in casa ma non sono ancora arrivate le fognature, l’illuminazione pubblica…

“La mia grande preoccupazione è di aver cresciuto i miei figli qua”, dice Maria Cristina Bernardone, che è una della mamme dell’Onda Rosa, il comitato di donne che già diversi anni fa hanno alzato la voce, inascoltate, per chiedere conto dei danni che il petrolio stava procurando alla salute dei viggianesi e alla loro terra. Famiglie che convivono da anni con il fumo e la puzza che arriva dall’area estrattiva, gli spaventi per le fiammate improvvise o per i rumori, quando diventano insopportabili. Raccontano che sembrano le urla di mostri.  A causa dell’indagine in corso, dalla fine di marzo, è stata sospesa l’attività produttiva di Val D’agri e alle Vigne è tornata un po’ di pace. “Da quando l’impianto è chiuso noi siamo tornati indietro di venti anni, almeno apparentemente. Abbiamo ritrovato la serenità, la tranquillità che avevamo perso”.

Non sentite più il fumo, la puzza…

“È cambiato tutto, i rumori, il fumo, la puzza. Noi siamo le persone che non sono mai state ascoltate né dall’Eni né dalla Regione, l’ente che ci doveva tutelare maggiormente. Non abbiamo mai avuto risposte, mai”.

Cosa chiedevate?

“Innanzitutto, la certezza di essere tutelati per quanto riguardava la salute, che a mio avviso è un bene inestimabile e deve essere messa al primo posto. E io la chiedo ancora oggi la tutela della salute, per noi e per i nostri figli, per il futuro dei nostri figli. La Basilicata è la Regione più povera d’Italia, ma Viggiano è il paese più ricco d’Europa, questo paradosso fa pensare. E la disoccupazione è a livelli altissimi”.

Le trivelle da voi non hanno portato lavoro?

“Per alcune persone sì, non certo per tutta la popolazione, se pensa che noi abbiamo il giacimento più grande d’Europa in terraferma, e c’è ancora gente che chiede lavoro perché non ha la possibilità di mantenere una famiglia, è una cosa che dovrebbe far riflettere, ma soprattutto dovrebbe far riflettere la politica”.

Quanti abitanti ha Viggiano?

“3300 abitanti. Le voglio solo dire una cosa, io abito nella contrada chiamata Vigne, era un luogo dove ognuno che aveva un pezzetto di terra coltivava la vigna e viveva di questo. Siamo rimasti in quattro gatti. Perché l’Eni per fare gli impianti ha acquistato inizialmente 18 ettari di terreno e l’anno scorso altri 70 ettari”.

Quindi, gli abitanti hanno venduto i terreni all’Eni.

“Per forza, gli è stata fatta una richiesta di acquisizione da parte dell’Eni e i proprietari sono stati quasi costretti a vendere. Oltre al danno la beffa, perché l’Eni, acquisendo i terreni, si è avvicinata sempre di più alle nostre case. Ci sono persone ammalate di tumore, ed è dire poco. Mi auguro che la magistratura riesca a capire quante persone si sono ammalate di tumore in questi anni”.

La magistratura ora ha acquisito le cartelle dagli ospedali ma servirà veramente tanto tempo prima di arrivare a dei dati certi sulle malattie.

“Mi auguro che questo si possa fare al più presto perché è da anni che stiamo cercando di ottenere un’indagine epidemiologica. Indagine che non è mai stata fatta. Quindi, mi auguro che adesso aprano gli occhi e se ci sono dei responsabili, se ci saranno… Perché, le ripeto, la magistratura deve dare giustizia a chi da tanti anni sta lottando per una verità”.

Ha mai pensato di andare via?

“Se avessi avuto la possibilità sicuramente me ne sarei andata. Mio marito all’età di 38 anni si è ammalato di linfoma, mio padre l’anno scorso è morto per un tumore allo stomaco. La cosa peggiore è pensare che sto crescendo i miei figli in una zona dove non siamo sicuri, dove nessuno ci ha dato al certezza che l’aria che respiriamo è salubre come venti anni fa. La mia grande preoccupazione è di aver cresciuto i miei figli qua. Mi auguro che non accada loro qualcosa di irreparabile, altrimenti me lo porterei sulla coscienza. Pensi anche che siamo in una zona così vicina al Centro Olii, in un paese così ricco e ancora oggi, nel 2016, non abbiamo la fognatura, non abbiamo l’illuminazione, i numeri civici. Se chiamo il 118 non ho neanche la certezza che mi trovino, le ho detto tutto”.

L’amministratore delegato dell’Eni, Descalzi, ha detto che è fiero di lavorare all’Eni e di viverci, che è la casa più pulita al mondo.

“Allora io lo inviterei a casa mia, gli offro un caffè e gli chiedo di comprarsi la mia casa, voglio vedere se la compra. Questo gli rispondo”.

Ascolta l’intervista a Maria Cristina Berardone

Maria Cristina Berardone

  • Autore articolo
    Letizia Mosca
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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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