Approfondimenti

Uno sguardo dal camper sull’America

Lo sguardo di Paolo Virzì sull’America di oggi. O meglio, su quella dei mesi in cui si svolgeva la campagna elettorale per il nuovo presidente degli Stati Uniti, perché il film è stato girato nel 2016. Ma è un caso che durante le riprese ci fossero in giro gruppetti inneggianti a Trump, come quello che si vede in una scena del film. Il coautore Stephen Amidon diceva a Paolo Virzì che non avrebbe avuto senso riprendere i supporter di Trump, perché quando il film sarebbe uscito nessuno si sarebbe più ricordato di quel candidato scriteriato. “Ovunque c’erano poster e cartelloni di entrambi i candidati – racconta il regista – ed era inevitabile presagire che l’estate del 2016 sarebbe stata storica. Quel che stava accadendo mi sembrava fosse molto significativo e che avesse a che fare con la storia dei nostri due personaggi, che attraversano un’America che non riconoscono più e dalla quale sembrano volere scappare per sempre. Così ho girato quella scena”. E ha fatto bene.

Ella & John, accolto con grande entusiasmo nel concorso di Venezia 74 e al cinema, segue l’ultimo viaggio in camper di due coniugi anziani: Ella, malata di tumore (Hellen Mirren) e John, colpito da un male che gli ha tolto quasi competamente la memoria, tranne qualche piccolo sprazzo qua e là (Donald Shuterland).
“Nel copione non abbiamo mai menzionato la parola Alzheimer, temevamo di andare a cacciarci in un cliché – spiega Virzì. Ella la definisce ‘problemi di memoria’, i figli come ‘momenti tutti suoi’. Tra di noi chiamavamo la condizione mentale di John la Spencer Syndrome, confortato dai pareri dei neurologi che testimoniano come ogni individuo manifesti a modo suo un’eventuale degenerazione mentale”.

Tratto dal libro “In viaggio contro mano” di Michael Zadoorian, il film è scritto con Francesca Archibugi, Francesco Piccolo e Stephen Amidon, già autore di Il Capitale Umano, un supporto prezioso per far emergere la cultura americana accanto alla scrittura che arrivava dall’Italia.

Un film divertente e commovente, che affronta con leggerezza temi importanti e delicati come la malattia, il tempo che passa, il fine vita e la libera scelta. Una fuga per le strade d’America, scappando da figli e terapie, tra campeggi, laghetti, paesi di provincia, fanatici di Trump, personaggi mediocri o improbabili e sbandierando una passione letteraria per Hemingway e Joyce.

Quelle della coppia sono due figure complementari, che nel tratto finale della propria vita scelgono di viaggiare rifiutando cure mediche e ospedalizzazione, a costo di deludere le aspettative dei figli. Se Zadoorian nel libro faceva viaggiare i suoi protagonisti sulla mitica Route 66, partendo dai sobborghi di Detroit verso la California, Virzì preferisce cambiare percorso per evitare di cadere in cliché turistici o da cartolina. “Trovai nel libro uno spirito sovversivo, di ribellione contro l’ospedalizzazione forzata stabilita da medici, figli, regole sociali e sanitarie. Ma nello stesso tempo mi sembrava che quel viaggio ripercoresse un paesaggio già molto visto in tanti altri bei film. Per questo ho cambiato il percorso del viaggio e il profilo socio-culturale dei personaggi: un ex professore di letteratura del New England, con una moglie poco più giovane che viene dal South Carolina, diretti alla casa di Hemingway a Key West”.

Una storia d’amore infinita, come la descrive Virzì, in cui lo scambio è nello starsi addosso, nel riconoscere i limiti che la vecchiaia impone e accettarli, un microcosmo che esclude tutto il resto. Ed è qullo che si crea in quel vecchio camper, il Leisure Seeker, in cui anche la troupe viaggiava stretta per non perdere la verità del momento.

Con la stessa accuratezza scientifica e narrativa di La pazza gioia, Paolo Virzì esplora l’animo umano, con la tenerezza, la saggezza e il coraggio di chi non ha più niente da perdere. Un film commovente, che tocca la vita di tutti, con due attori sublimi e autentici. Supportato dalla fotografia di Luca Bigazzi che riesce a trasferire la luminosità di un certo cinema americano, dai road movie al cinema politico anni ’70, all’interno di un camper.

  • Autore articolo
    Barbara Sorrentini
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    E’ da poco uscito “In Fatti Ostili”, nuovo album della storica formazione milanese Delta V. Durante il tour promozionale del disco, Martina e Carlo sono passati a Volume per raccontarcelo e suonarci alcuni pezzi dal vivo. A legare le nuove tracce, raccontano, “è stato il senso di spaesamento” ma anche “la sensazione di vivere in un mondo sempre più ostile e rivolto unicamente a se stesso”. Nella forma di un elegante cantautorato elettronico, l’album offre una lucida fotografia della società di oggi, in cui concetti di fiducia, altruismo e speranza paiono sempre più lontani. La metafora che la band utilizza per affrontare questi temi è spesso quella della città da cui proviene: “Milano ricorda molto Dorian Grey, si specchia e si vede sempre bella e giovane ma manca sempre più di sostanza”. Ascolta l’intervista e il MiniLive dei Delta V, a cura di Dario Grande.

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