
Cresce la domanda di una mobilitazione. È una domanda che corre sui social in queste ore, dopo le ultime aggressioni razziste. È una domanda che è anche un urlo rivolto a chi – partiti, sindacati – fino a oggi è stato timido, impacciato, incapace di una risposta forte. Una manifestazione. Di tutti. Unitaria, si sarebbe detto un tempo, con un linguaggio che probabilmente oggi è superato.
Una manifestazione che sia anche dei partiti, delle associazioni, dei sindacati. Ma che sia soprattutto delle persone. Delle cittadine e dei cittadini italiani che sono diversi da come la propaganda incessante li vorrebbe descrivere. Le persone che sanno che il nemico non sono gli immigrati ma è la diseguaglianza, è la povertà, è il lavoro che non c’è e che se c’è è precario.
Le persone che vogliono vivere nella realtà e sono disposte a combattere una battaglia per la realtà. Contro l’inganno quotidiano, le fake news, l’aggressività crescente che circola in rete e sui social network e che è la stessa di chi ha costruito il proprio successo politico evocando lo scontro tra ‘noi’ e lo straniero che ci invade.
Gli italiani sono diventati razzisti? I casi di discriminazione e quelli di violenza fisica si susseguono, nelle ultime settimane. Ma il razzismo e la violenza sono fatti politici. Non generano dal nulla, sono il risultato dell’azione politica di chi sposta il limite sempre un po’ più in là, giorno per giorno, per testare la tenuta, la reazione della collettività alle provocazioni. Ecco perché rispondere con un post, con un articolo di giornale, con un comunicato non è sufficiente.
Basterà una manifestazione? No, se sarà solo una presenza in piazza una tantum, per sventolare ciascuno la propria bandiera, strappare qualche servizio, postare molte fotografie sui social. Ma potrà essere un fatto importante se saprà essere un punto di partenza, contro la propaganda tossica centrata sull’odio, sulle bugie, sul capro espiatorio dello straniero, sul mettere sistematicamente i poveri contro i poveri.
Se sarà il momento in cui si condenserà per la prima volta una presa di coscienza che sta maturando a fatica, in ritardo, ma che comincia a intravedersi. Non sono gli immigrati che minacciano il nostro futuro, che rubano il lavoro, che portano violenza, criminalità e degrado. La risposta alle paure dei tempi che stiamo vivendo sta in più diritti per tutti, e non meno diritti per qualcuno.