Iniziative

 

 

Una giornata a Radio Popolare

I primi ricordi che mi legano a Radio Popolare risalgono all’incirca alla prima metà degli anni ’90: nel pieno dell’esplosione del grunge, mentre Tangentopoli si consumava in processi trasmessi in tivù e si tiravano monetine a Bettino Craxi, si vedevano di nascosto le puntate di Twin Peaks e a scuola si provavano a organizzare le autogestioni. In maniera assolutamente disordinata e scriteriata si cominciavano a costruire e strutturare le prime scelte, idealistiche e, ebbene sì, politiche: un bildungsroman incerto e arruffato a cui, nell’età del grande accumulo di stimoli che è quella degli ultimi anni di liceo, contribuiva potenzialmente tutto e il suo contrario.

Potevano dare una mano le pagine satiriche di Cuore come le videocassette dei film-capolavoro che uscivano con l’Unità, i comici di Smemoranda (Albanese, Aldo Giovanni e Giacomo, Paolo Rossi) o di Avanzi in seconda serata la domenica su Rai Tre con ospiti Nirvana e Sonic Youth, ma anche, e soprattutto, una radio completamente diversa dalle altre che occupavano, e tutt’ora occupano, l’etere.

Una radio che, in compagnia solo di alcuni programmi della notte di Radio Due (e dei videoclip della mai troppo compianta Videomusic), ti permetteva di scoprire suoni altri e nuovi, come i Massive Attack e Tricky prima che diventassero famosi, o l’hip-hop francese prima che film-pietre miliari come “L’Odio” lo facessero conoscere al mondo (per non parlare di tutta quella galassia del rock alternativo italiano che di lì a poco sarebbe uscita dalle cantine: Afterhours, Marlene Kuntz, Casino Royale, Massimo Volume e compagnia).

Ma anche una radio che raccontava ciò che succedeva in Italia e nel mondo con un taglio diverso dall’informazione standard, parlando, con linguaggio schietto e profondità, di fatti piccoli e grandi che altrove non trovavi spiegati, e insieme di realtà, temi, diritti, ingiustizie e lotte. Con una prospettiva che, indubitabilmente e senza ambiguità, era ed è, convintamente, di sinistra. Ma una sinistra ampia, inclusiva (avremmo capito poi), fresca, aperta, non dogmatica né ottusamente tetragona, e pronta a dar voce a tutte le parti che la compongono.

E allora a questa radio perdonavi certe ingenuità che magari non sentivi su Radio Deejay, i brani che bruscamente venivano tagliati, le pubblicità locali che nemmeno Telelombardia nel 1985, gli sbalzi di volume, le imbarazzanti e imprevedibili decine di secondi di misterioso silenzio tra un programma e l’altro. Perché in realtà questa radio, Radio Popolare appunto, non solo era (ed è) qualcosa di diverso a livello di medium e di informazione, ma si rivelava un importante tassello nella formazione di una propria idea e di una propria visione (del mondo? Sì, o per lo meno del mondo come provavamo a disegnarcelo noi).

Qualcosa che, per chi vive o ha vissuto nell’area milanese (e lombarda, e dell’Italia settentrionale ma anche dell’Italia tutta, grazie alle radio “consorelle” che costituivano il Popolare Network), è quasi naturalmente diventato un riferimento abituale e conosciuto anche da chi poi non lo ascoltava. E poi era una radio in cui il pubblico partecipava, diceva la sua, non si limitava a chiamare per fare una richiesta come sulle altre radio ma si incazzava, si lamentava o si commuoveva. E così imparavi anche ad ascoltare punti di vista che altrimenti non avresti mai sentito, e poi a decidere se si confacevano alla tua idea del mondo oppure no, e se aggiungevano o meno qualcosa ai tuoi interessi o a quelle che potevano diventare le tue lotte.

Poi, negli anni, il mio rapporto con Radio Popolare è continuato e si è evoluto: ho continuato ad ascoltarla, ovviamente con maggiore o minore fedeltà alla linea a seconda degli anni e delle tematiche, l’ho frequentata fisicamente, per via delle mie attività musicali, ho conosciuto molti di quelli che ci lavorano, diventando uno di loro, e anche adesso che sono a Berlino, grazie allo streaming e ai podcast, la seguo. Ricordo le ore di diretta nella notte della mattanza alla scuola Diaz, durante il G8 di Genova, o più di recente durante gli attentati al Bataclan, le tante trasmissioni di approfondimento culturale, gli artisti conosciuti grazie alle conduzioni musicali, l’importante lavoro sul campo per testimoniare avvenimenti e snodi politici, ma anche il dar voce ai fermenti della creatività più underground, e insomma, al netto di una più che naturale variabilità di convergenza con ciò che si diceva, posso dire senza dubbio che Radio Popolare è una splendida quarantenne con cui ho condiviso più di qualche tratto di strada.

Già, quarantenne, perché Radio Popolare e io siamo coetanei: ha cominciato a trasmettere nel 1976, nel pieno dell’incredibile periodo anarchico delle radio libere, sotto la guida di Piero Scaramucci, raccontando per tutto questo tempo ciò che succedeva nella sterminata galassia della sinistra italiana, e ovviamente nel resto del mondo, perché l’attenzione a ciò che succede fuori da casa nostra è sempre stata un elemento caratteristico, nella sua carta d’identità.

Proprio per questo sguardo, diremmo, internazionalista, ha senso che a Yanez, dove abbiamo piedi sparsi tra Berlino, l’Italia e il mondo, si sia deciso di fare un ritratto di Radio Popolare. Non ripercorrendone la storia, che si può trovare facilmente, per chi sia interessato, ma toccando con mano il suo presente, attraverso una polifonia di voci fatta da chi la radio la costruisce ogni giorno, in diversi settori del palinsesto ma anche della parte più manageriale, componente meno “esposta” ma nevralgica per permettere la sopravvivenza di questa fonte di informazione.

Toccarne con mano il presente, dicevamo, e provare a immaginarne il futuro, le difficoltà e le sfide, attraverso il racconto di una giornata passata in redazione e negli studi di via Ollearo (zona Ghisolfa, nord di Milano), lasciando che la polifonia di cui sopra esprimesse impressioni e vedute, alcune più vicine tra loro e altre meno, ma tutte, nella diversità e, anzi, proprio in virtù della diversità, concorrenti a individuare un fil (ovviamente) rouge che non è nient’altro che un tentativo di risposta alla domanda “Cos’è oggi una radio come Radio Popolare?”. […]

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    Manuel Lieta
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    Sala, la Città 30? Se ne occuperà il prossimo sindaco. “Irricevibile” replica Legambiente

    A Milano si torna a parlare di sicurezza stradale dopo gli ultimi tre investimenti di pedoni che si sono verificati in città. Un uomo di 87 anni è morto dopo essere stato investito sulle strisce pedonali da un furgone guidato da una persona che non si è fermata a prestare soccorso, un ragazzo di 12 anni è in coma colpito in zona Vigentina e un altro di 9 anni è ricoverato non in pericolo di vita per un investimento nella zona di piazza Durante. Oggi i giornalisti hanno chiesto al sindaco Beppe Sala perché Milano non prende provvedimenti per moderare la velocità dei mezzi a motore in città, provvedimenti come la Città 30, attiva a Bologna e Lodi ad esempio. “È difficile farla passare per le norme nazionali, è molto complesso. Noi andremo avanti per completare il percorso intorno alle scuole poi credo sia un tema che dovrà affrontare chi mi succederà”, ha detto Sala. “Parole irricevibili”, replica il responsabile trasporti di Legambiente Lombardia Federico Del Prete, intervistato da Roberto Maggioni

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    Poveri ma belli di venerdì 07/11/2025

    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Scoprire se stessi nel rapporto con gli altri: il nuovo album di Mecna

    “Discordia, Armonia e Altri Stati D’Animo” è il decimo album di Mecna, rapper pugliese che continua la sua evoluzione portando nei suoi brani una consapevolezza tutta nuova. “Mi sono preso più tempo perchè volevo un disco che mi accontentasse al cento per cento” racconta il rapper ai microfoni di Radio Popolare, spiegando che il nuovo lavoro esplora l’età adulta attraverso la lente delle relazioni e dei suoi stati d’animo. Dal rapporto con il passato fino alle tematiche e alle influenze del disco: l’intervista di Matteo Villaci a Mecna.

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    Vieni con me è una grande panchina sociale. Ci si siedono coloro che amano il rammendo creativo o chi si rilassa facendo giardinaggio. Quelli che ballano lo swing, i giocatori di burraco e chi va a funghi. Poi i concerti, i talk impegnati e quelli più garruli. Uno spazio radiofonico per incontrarsi nella vita. Vuoi segnalare un evento, un’iniziativa o raccontare una storia? Scrivi a vieniconme@radiopopolare.it o chiama in diretta allo 02 33 001 001 Dal lunedi al venerdì, dalle 16.00 alle 17.00 Conduzione, Giulia Strippoli Redazione, Giulia Strippoli e Claudio Agostoni La sigla di Vieni con Me è "Caosmosi" di Addict Ameba

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    Le nuove uscite musicali di oggi, il disco della settimana di Florence + The Machine e l'intervista a Mecna a cura di Matteo Villaci e Andrea Bulciaghi. Nella seconda parte un estratto dell'intervista di Niccolò Vecchia ad Andrea Laszlo De Simone, e la telefonata a Gianmarco Bachi per farci raccontare il concerto di Johnny Marr degli Smiths tenutosi ieri sera a Milano.

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    "L'orologiaio di Brest": una nuova storia per il celebre scrittore, un’indagine alla ricerca di un “uomo degli ingranaggi”, custode di molti segreti della Repubblica, dalla biografia a tinte forti e dal passato tumultuoso. Dagli anni Ottanta a oggi, un percorso che illumina in modo spietato la storia recente di un'Italia mai in pace con la propria coscienza sociale e politica. L'intervista di Cecilia di Lieto a Maurizio De Giovanni.

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    Considera l'armadillo di venerdì 7 novembre 2015 ospite Maria Ina Arnone, dirigente di ricerca della @Stazione Zoologica Anton Dohrn e coordinatrice dello Studio internazionale sul Riccio di mare e sul suo cervello, pubblicato sulla rivista @Science Advances. A cura di Cecilia Di Lieto.

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