Approfondimenti

Una storia di colpi di stato

I generali turchi hanno dominato la scena politica in tutto il ventesimo secolo.

Il fondatore della Turchia moderna

Mustafà Kemal Ataturk è stato il padre fondatore della Turchia moderna, che ha riscattato il paese dalla sconfitta della prima guerra guerra mondiale e il conseguente smembramento dall’impero ottomano. Le ferite della sconfitta militare sono state curate con l’acceso nazionalismo turco e il generale Ataturk, alla testa del Partito Popolare Repubblicano, ha deposto il sultano Maometto IV, mettendo fine al califfato, fondando la Repubblica Turca diventandone il primo presidente.

Le sue riforme sono andate in direzione occidentalista e fortemente nazionalista, riducendo fortemente il ruolo degli imam. La laicità dello Stato è stata il punto cardine del riformismo kemalista, ma il nazionalismo sciovinista e il militarismo spinto hanno imposto un tetto di limitazioni allo sviluppo armonioso della società turca, con tutte le sue componenti nazionali e sociali. Basti pensare alla questione curda, che in un quasi secolo di vita della Turchia repubblicana non ha trovato una soluzione rispettosa dei diritti culturali e nazionali.

Dal Kemalismo discende la deriva militarista dell’ordinamento costituzionale turco. La gerarchia militare di fatto è diventata la garante del rispetto della Costituzione e i politici al governo erano dei semplici pupi manovrati dall’alto. Fino alla seconda guerra mondiale, la Turchia è stata retta da un regime a partito unico, quello kemalista. Nel dopoguerra, l’introduzione del multipartitismo e l’adesione alla Nato, non hanno scalfito il ruolo dei generali nella vita politica, che dietro la foglia di fico della difesa della laicità dello stato e dell’unità della patria, hanno soffocato ogni aspirazione allo sviluppo progressista e all’autonomia.

Una storia costellata di colpi di stato

Sono stati quattro i colpi di Stato cruenti che hanno interrotto la vita dei governi civili in Turchia.

  1. 1960

Il primo Golpe è stato portato a termine nel 1960. Un gruppo di una trentina di giovani ufficiali hanno deposto il governo democraticamente eletto di Menderes, del Partito Democratico che aveva sconfitto nelle elezioni a partire dal 1950, il partito kemalista Partito popolare Repubblicano. Era un golpe in salsa CIA, perché le politiche economiche del governo Menderes avevano da una parte favorito riforme a favore delle classi meno abbienti, ma nello stesso tempo accresciuto il debito pubblico. Per sfuggire alla morsa del dominio statunitense, Menderes, sull’esempio dell’egiziano Nasser, pensò di rivolgersi all’URSS, per ottenere una linea alternativa di credito. Il colonnello Turkesh non gli ha lasciato il tempo per compiere la visita a Mosca programmata per la firma degli accordi economici. Il colonnello Turkesh, non a caso, è stato tra la ventina di ufficiali turchi che, nel 1948, hanno ottenuto l’addestramento negli Stati Uniti per la formazione di “Stay-Behind”.

Il Golpe serve a riportare il Partito Popolare Repubblicano nella stanza dei bottoni. Nel 1961 vengono infatti tenute nuove consultazioni che riportano la formazione alla guida del Parlamento, anche se la carica di primo ministro e di presidente della Repubblica sono nelle mani degli stessi militari golpisti.

2. 1970

Il secondo golpe è stato messo a segno nel 1971. Ma questa volta per arginare l’influenza delle correnti islamiste nel governo e nelle stesse forze armate. Il Partito popolare Repubblicano non garantiva più i generali che lo manovravano dall’ombra e con il pretesto dell’impasse governativa per l’incapacità di far approvare la legge finanziaria, il generale Tagmac ha presentato al premier Demirel un memorandum che di fatto era un ultimatum. Si chiedeva “l’immediata formazione di un “governo forte” che mettesse fine all’anarchia e rispettasse i principi fondamentali della Repubblica, proclamati da Ataturk, il padre della nazione”. Ma in quella fase, i militari turchi non hanno voluto assumere in prima persona il potere politico, probabilmente consapevoli delle reali difficoltà economiche del paese e del fallimento dei generali golpisti greci, loro vicini alleati nella Nato, ma storici rivali.

Alla carica di primo ministro è stato nominato un professore universitario, Nihat Erim, un tecnico ben accettato dai due partiti che dominavano il Parlamento, “Giustizia” erede del Partito Democratico e quello di destra, Popolare Repubblicano. Per controllare il paese è stata dichiarata la legge marziale.

3. 1980

Il terzo nel Settembre 1980. E’ stato diretto dal gen. Kenan Evren, per mettere fine ad una fase di crescita della sinistra nel paese negli anni ’70. Una sorta di strategia della tensione ha portato il paese ad un conflittualità politica con molte formazioni armate contrapposte, espressioni della destra e della sinistra estrema. Una situazione che rifletteva il clima della guerra fredda. Il gen. Evren si presentava come il salvatore della patria; ha sciolto i partiti, ha cambiato la Costituzione, rafforzando il ruolo del Presidente della Repubblica e si è fatto eleggere a presidente per sette anni.

Nel 2014, è stato condannato all’ergastolo, dopo un’indagine istruita nel 2011 sulle responsabilità dei golpisti del 1980.

Negli anni ’90, la Turchia è entrata in una nuova fase di instabilità per il fallimento delle riforme economiche e l’impossibilità di dare una soluzione giusta alle rivendicazioni curde che vivevano dal 1983 sotto un regime di emergenza militare. Le elezioni del 1995 hanno portato ad un governo di coalizione tra il partito diretto da Yilmaz e quello diretto dalla Ciller, le due persone che si sono alternate alla guida del governo nella fase precedente.

4. 1997

Il quarto colpo di Stato è stato portato a compimento, nel 1997, soltanto con un avvertimento. Il premier Erbakan è stato costretto a presentare le dimissioni sotto la minaccia dei generali, che hanno presentato il passo come un’azione atta a preservare il carattere laico dello Stato.

L’epoca Erdogan

La salita al potere di Erdogan con la vittoria, nelle elezioni del 2002, del partito islamista da lui guidato, Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, ha ridimensionato il ruolo dei generali; sono state introdotte modifiche alla Costituzione che hanno cambiato il ruolo delle forze armate di difensori della laicità dello stato a “difensori dei cittadini e garanti dei confini e unità dello Stato” ed hanno tolto il loro controllo sulle istituzioni civili, a partire dal Consiglio della sicurezza nazionale, dove i generali sono diventati una minoranza e la presidenza di questo organismo è passata ad un civile nominato dal Presidente della Repubblica. Lo stesso organismo è stato messo alle dirette dipendenze del premier.

Il braccio di ferro tra il partito islamista e i generali è continuato e l’opera di erosione del potere politico delle forze armate è andata di pari passo con le vittorie che gli islamisti hanno ottenuto nelle elezioni del 2007 e nel 2011, passando per il referendum del 2010.

Le repressioni contro i manifestanti di Piazza Taqsim, la svolta autoritaria di Erdogan e le interferenze nella rivolta democratica della vicina Siria, che è stata così trasformata in una guerra civile disastrosa, con violenti riflessi anche sulla Turchia, hanno indebolito il consenso al partito islamista, che nelle elezioni del 2015 ha perso la maggioranza assoluta dei voti e non ha potuto formare un governo di coalizione.

Soltanto la tattica delle elezioni anticipate ha permesso al presidente Erdogan di riprendere la maggioranza assoluta e di poter rimanere al vertice del potere incontrastato in Turchia. Una democrazia parlamentare di facciata che nasconde una dirompente deriva autoritaria di stampo islamista, vestita con panni di modernità. Un’erosione strisciante dei diritti e delle libertà che non può non allarmare l’opinione pubblica democratica in Europa, Unione Europea alla quale Ankara chiede di accoglierla a pieno titolo e non esita ad usare l’arma del ricatto dei rifugiati per ottenere concessioni.

  • Autore articolo
    Farid Adly
ARTICOLI CORRELATITutti gli articoli
POTREBBE PIACERTI ANCHETutte le trasmissioni

Adesso in diretta

  • Ascolta la diretta

Ultimo giornale Radio

  • PlayStop

    Giornale Radio mercoledì 10/12 12:31

    Le notizie. I protagonisti. Le opinioni. Le analisi. Tutto questo nelle tre edizioni principali del notiziario di Radio Popolare, al mattino, a metà giornata e alla sera.

    Giornale Radio - 10-12-2025

Ultimo giornale Radio in breve

  • PlayStop

    Gr in breve mercoledì 10/12 18:31

    Edizione breve del notiziario di Radio Popolare. Le notizie. I protagonisti. Le opinioni. Le analisi.

    Giornale Radio in breve - 10-12-2025

Ultima Rassegna stampa

  • PlayStop

    Rassegna stampa di mercoledì 10/12/2025

    La rassegna stampa di Popolare Network non si limita ad una carrellata sulle prime pagine dei principali quotidiani italiani: entra in profondità, scova notizie curiose, evidenzia punti di vista differenti e scopre strane analogie tra giornali che dovrebbero pensarla diversamente.

    Rassegna stampa - 10-12-2025

Ultimo Metroregione

  • PlayStop

    Metroregione di mercoledì 10/12/2025 delle 07:15

    Metroregione è il notiziario regionale di Radio Popolare. Racconta le notizie che arrivano dal territorio della Lombardia, con particolare attenzione ai fatti che riguardano la politica locale, le lotte sindacali e le questioni che riguardano i nuovi cittadini. Da Milano agli altri capoluoghi di provincia lombardi, senza dimenticare i comuni più piccoli, da dove possono arrivare storie esemplificative dei cambiamenti della nostra società.

    Metroregione - 10-12-2025

Ultimi Podcasts

  • PlayStop

    Esteri di mercoledì 10/12/2025

    1) A Gaza le disgrazie non arrivano mai sole. Nella striscia arriva la tempesta Byron: centinaia di migliaia di persone a rischio mentre pioggia e vento distruggono tende e rifugi. (Sami Abu Omar) 2) Siria, l’incognita della convivenza. Il futuro del paese dipenderà anche da come le diverse comunità etniche religiose riusciranno a vivere insieme. Reportage dalla zona Alawita della Siria. (Emanuele Valenti) 3) Stati Uniti, dopo 28 anni la candidata democratica diventa sindaca di Miami. Per Donald Trump, che ripete che il paese non è mai stato così bene, è un altro campanello d’allarme. (Roberto Festa) 4) Regno Unito, il labourista Starmer ha appena iniziato la sua battaglia contro l’immigrazione. Il primo ministro britannico ora vuole modificare la convenzione europea sui diritti umani. (Elena Siniscalco) 5) Operazione Overlord. I militanti di estrema destra inglesi che vogliono fermare le barche dei migranti che partono dalla Francia verso il Regno Unito. (Veronica Gennari) 6) Un mondo sempre più ricco e sempre più diseguale. Secondo il World Inequality report lo 0,001 controllano una ricchezza tre volte superiore a quella di metà dell'umanità. (Alice Franchi)

    Esteri - 10-12-2025

  • PlayStop

    L'Orizzonte di mercoledì 10/12 18:35

    L'Orizzonte è l’appuntamento serale con la redazione di Radio Popolare. Dalle 18 alle 19 i fatti dall’Italia e dal mondo, mentre accadono. Una cronaca in movimento, tra studio, corrispondenze e territorio. Senza copioni e in presa diretta. Un orizzonte che cambia, come le notizie e chi le racconta. Conducono Luigi Ambrosio e Mattia Guastafierro.

    L’Orizzonte - 10-12-2025

  • PlayStop

    Tommy WA: la nuova promessa del folk africano si racconta a Radio Pop

    L'abbiamo scoperto con l'EP "Somewhere only we go" e oggi a Volume abbiamo avuto modo di conoscere meglio la storia di questo cantautore nigeriano, che si è poi formato musicalmente in Ghana: "Nel corso degli anni le nostre musiche si sono fuse: l'highlife ghanese, il palm-wine, il folk di Kumasi, il suono contemporaneo della chitarra. Ho potuto unire questi due mondi, mescolandoli con le radio occidentali che ascoltavo da ragazzo". Il risultato è un folk pop pieno di anima e di profondità: "Il mio obiettivo non è solo una carriera internazionale, ma costruire qualcosa in Africa. Voglio creare una struttura che funzioni per artisti come me, gente con una chitarra o un tamburo, artisti contemporanei che non hanno modo di raggiungere il loro pubblico". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Tommy WA.

    Clip - 10-12-2025

  • PlayStop

    Poveri ma belli di mercoledì 10/12/2025

    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

    Poveri ma belli - 10-12-2025

  • PlayStop

    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale

    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

    Clip - 10-12-2025

  • PlayStop

    Vieni con me di mercoledì 10/12/2025

    Vieni con me è una grande panchina sociale. Ci si siedono coloro che amano il rammendo creativo o chi si rilassa facendo giardinaggio. Quelli che ballano lo swing, i giocatori di burraco e chi va a funghi. Poi i concerti, i talk impegnati e quelli più garruli. Uno spazio radiofonico per incontrarsi nella vita. Vuoi segnalare un evento, un’iniziativa o raccontare una storia? Scrivi a vieniconme@radiopopolare.it o chiama in diretta allo 02 33 001 001 Dal lunedi al venerdì, dalle 16.00 alle 17.00 Conduzione, Giulia Strippoli Redazione, Giulia Strippoli e Claudio Agostoni La sigla di Vieni con Me è "Caosmosi" di Addict Ameba

    Vieni con me - 10-12-2025

  • PlayStop

    Volume di mercoledì 10/12/2025

    Il commento alla classifica di NME dei migliori album del 2025, l'intervista al musicista nigeriano Tommy Wà a cura di Niccolò Vecchia e la storia di Jesse Welles, da fenomeno social a uno dei cantautori americani più apprezzati del momento.

    Volume - 10-12-2025

  • PlayStop

    Musica leggerissima di mercoledì 10/12/2025

    a cura di Davide Facchini. Per le playlist: https://www.facebook.com/groups/406723886036915

    Musica leggerissima - 10-12-2025

  • PlayStop

    Considera l’armadillo di mercoledì 10/12/2025

    Noi e altri animali È la trasmissione che da settembre del 2014 si interroga su i mille intrecci di una coabitazione sul pianeta attraverso letteratura, musica, scienza, costume, linguaggio, arte e storia. Ogni giorno con l’ospite di turno si approfondisce un argomento e si amplia il Bestiario che stiamo compilando. In onda da lunedì a venerdì dalle 12.45 alle 13.15. A cura di Cecilia Di Lieto.

    Considera l’armadillo - 10-12-2025

  • PlayStop

    Cult di mercoledì 10/12/2025

    Cult è condotto da Ira Rubini e realizzato dalla redazione culturale di Radio Popolare. Cult è cinema, arti visive, musica, teatro, letteratura, filosofia, sociologia, comunicazione, danza, fumetti e graphic-novels… e molto altro! Cult è in onda dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 11.30. La sigla di Cult è “Two Dots” di Lusine. CHIAMA IN DIRETTA: 02.33.001.001

    Cult - 10-12-2025

  • PlayStop

    Pubblica di mercoledì 10/12/2025

    Da che parte sta il papa statunitense, Leone XIV? Con l’Europa di von der Leyen e Merz, ma anche di Macron, Meloni e Sanchez? Oppure con gli Stati Uniti di Trump, JD Vance, Musk e Peter Thiel. Oppure con nessuna di queste identità così identificate? Dopo l’attacco della Casa Bianca all’Europa con il «National Security Strategy» viene facile polarizzare lo scontro tra le due sponde dell’Atlantico. Anche se i due poli sono orientati entrambi prevalentemente a destra, con inquietanti sfumature che arrivano all’autoritarismo di stampo fascista (C.Bottis, Trumpismo. Un mito politico, Castelvecchi 2025). Dunque, gli Stati Uniti aggrediscono l’Europa con il NSS, e papa Prevost con chi si schiera? Pubblica ha ospitato oggi Stefano Zamagni (ex presidente della Pontificia Accademia delle scienze sociali, economista) e Paolo Naso (scienziato della politica).

    Pubblica - 10-12-2025

  • PlayStop

    Piazza Fontana: ricordiamo la strage e la risposta democratica

    Anniversario numero 56 per la Strage di Piazza Fontana, quest’anno oltre alle istituzioni nella celebrazione del pomeriggio parleranno una studentessa di un liceo milanese e uno dei vigili del fuoco che entrarono per primi dopo lo scoppio della bomba, ci spiega Federico Sinicato, presidente dell’Associazione dei Familiari delle vittime di Piazza Fontana. “L’importanza del 12 dicembre va al di là della celebrazione e del ricordo che si fa in piazza, è una data storica per l’intero Paese perché è l’inizio della strategia della tensione che produce effetti devastanti e blocca di fatto il grande movimento di riforma del Paese nato dalle lotte dei lavoratori e degli studenti, basta pensare che l’approvazione del Senato dello Statuto dei lavoratori è del 11 dicembre, il giorno prima, il momento fu scelto come risposta all’avanzata dei diritti e se pensiamo che oggi questi valori vengono rimessi in discussione. E’ una data sacra per il Paese”, In Piazza dopo le celebrazioni istituzionali ci sarà il corteo dei movimenti con partenza alle 18.30 da Piazza XXIV Maggio. E ci sarà anche l’inaugurazione del memoriale “Non dimenticarmi“, un’installazione permanente nata dal basso che ricorda le vittime delle stragi, donata al Comune di Milano e installata in Piazza Fontana. L'intervista di Cinzia Poli e Claudio Jampaglia.

    Clip - 10-12-2025

Adesso in diretta