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Turchia, una nuova ferita

Camminando verso il popolare stadio del Beşiktaş, situato a poche decine di metri dalla centralissima piazza Taksim, si notano i danni agli edifici provocati dalle due potenti esplosioni. Finestre senza più vetri, crepe, porte spostate. Il luogo dell’attentato è stato invece riportato velocissimamente a una condizione di normalità: rimosse le macerie, colmate le voragini, ripulito l’asfalto dal nero delle fiamme e dal rosso del sangue.

Da quando la zona è stata resa nuovamente accessibile, in giornata, vi si sono riversati i partecipanti dei vari cortei che si sono svolti a Istanbul, da quelli organizzati a quelli più improvvisati. In serata la zona era invasa da gruppi di persone su di giri che, a piedi o in macchina, urlavano negli altoparlanti e davano sfogo ai clacson, agitavano bandiere della Turchia ed esibivano visibilmente con un gesto della mano, con uno slogan o con una sciarpa, la prevalente appartenenza a organizzazioni della destra ultranazionalista e religiosa. Quella che si sente chiamata all’appello ogni qualvolta si ritiene ci sia una nazione da difendere.

Il bilancio dell’attentato continua ad aggravarsi. Le due esplosioni hanno fatto 38 morti e 167 feriti, di cui almeno una decina ancora in condizioni critiche. Le vittime sono soprattutto poliziotti, target dell’azione, che sono morti in 30. Si tratta del più grave attacco mai subìto dalle forze di polizia turche; per trovarne uno simile, e comunque con un numero inferiore di vittime, bisogna risalire a un’azione del 1993 del Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan, nell’ambito di un conflitto civile che ha martoriato il Paese per 35 anni e che ora è ripreso.

L’azione è stata rivendicata dai Tak, i “falchi del Kurdistan”, organizzazione radicale armata che nel 2016 si è resa responsabile di altri due attentati. Dalla loro pagina web, come nelle altre occasioni, l’azione viene motivata con la libertà del Kurdistan e contro gli attacchi dell’esercito nel Sud est del Paese, e vengono presentati gli esecutori materiali dell’attacco, cioè chi ha azionato l’autobomba al momento del passaggio dell’autobus carico di poliziotti e chi si è fatto esplodere 45 secondi dopo nel parco. Per i Tak gli obiettivi sono le forze di polizia, e i civili sono delle vittime collaterali per le quali anche in altre occasioni hanno espresso “cordoglio”.

Prima della rivendicazione, il governo turco, nella figura del premier Binali, aveva già puntato il dito sugli autonomisti curdi, in particolare contro il più noto Pkk, organizzazione considerata terroristica e sui cui rapporti con la fazione scissionista dei Tak circolano versioni differenti. Ufficialmente il Pkk ha dichiarato di non avere relazione alcuna con i Tak, che a loro volta ritengono la strategia del Pkk troppo morbida, inefficace contro la guerra che la Repubblica turca conduce contro i curdi, e di scegliere quindi un’altra strada.

Secondo il governo turco e analisti vari, Pkk e Tak sono la stessa cosa. Ma per il governo turco sono la stessa cosa anche il Pkk e l’Hdp, il partito filocurdo di opposizione che in questo momento ha più di cinquemila appartenenti in carcere, compresi i suoi segretari. L’Hdp non si è unita alla dichiarazione di condanna al terrorismo firmata congiuntamente da Akp, il partito di governo, dal Chp, principale partito d’opposizione, e dai nazionalisti di estrema destra dell’Mhp, ma ha ne ha fatta una propria dove condanna l’attentato esprimendo “tristezza e dolore”.

La Turchia si ritrova nuovamente a leccarsi ferite vecchie e nuove, e non è forse mai stata cosi fragile e scoperta su più fronti. Solo nell’ultimo anno, 17 attentati hanno ucciso 372 persone e ne hanno ferite 1.837.

  • Autore articolo
    Serena Tarabini
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    Gran Bretagna e Germania, i grandi malati d'Europa. Il primo ministro britannico Starmer e il cancelliere tedesco Merz sono entrambi proiettati in una rincorsa della destra estrema. Il laburista britannico Starmer, due settimane fa: «restauriamo ordine e controllo», titolo di un documento presentato alla Camera dei Comuni. Il democristiano tedesco Merz: ci vogliono «controlli ai confini e respingimenti» perchè «l’immigrazione ha un impatto sul paesaggio urbano». Proprio così. Germania e Gran Bretagna, due potenze economiche mondiali: la Germania (80 milioni di abitanti) con il terzo pil del mondo (dopo Stati Uniti e Cina); il Regno Unito (con 60 milioni di abitanti) con il sesto pil mondiale (dopo la Germania c’è il Giappone e l’India e poi il Regno Unito). La “malattia” (la rincorsa ad essere a volte più a destra delle destre) rischia di cambiare i connotati a tradizioni politiche europee centenarie: come il laburismo britannico, il popolarismo democristiano tedesco insieme alla socialdemocrazia, sempre in Germania. Pesa, inoltre, un discorso pubblico sempre più contaminato da un lessico guerresco. Che danni può provocare questa “malattia” in due paesi fondamentali del continente europeo? Pubblica ha ospitato la storica Marzia Maccaferri (Queen Mary, University of London) e il giornalista Michael Braun (corrispondente da Roma del berlinese Tageszeitung).

    Pubblica - 03-12-2025

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    Politici, industriali e finanzieri sono concordi nel sostenere la strada del riarmo e della militarizzazione europea: per i finanzieri si tratta di far fruttare i propri fondi rapidamente e in maniera sicura, per gli industriali idem, con fortissime iniezioni di denaro pubblico, non a caso anche quest’anno hanno fatto il record di vendite come registra il Sipri di Stoccolma il più autorevole istituto di ricerca sulla spesa militare nel mondo. Il problema, spiega Francesco Vignarca, portavoce della Rete Pace Disarmo, ricercatore e analista (tra i curatori del libro Europa a mano armata curato con Sbilanciamoci) è che così vince il discorso di guerra. Banalizzante, propagandistico e pericoloso perché sequestra la democrazia: “Il complesso militare industriale ha un pensiero medio lungo strategico. Stanno già intervenendo per togliere le leggi sulla limitazione alla vendita di armi, perché sanno che dovranno vendere questa sovraproduzione da qualche parte, così come fanno entrare capitali esteri nella nostra industria, come i sauditi in Leonardo, perché non siamo noi gli acquirenti di queste armi”. Ascolta l'intervista di Cinzia Poli e Claudio Jampaglia.

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    A cura di Diana Santini

    A come Atlante – Geopolitica e materie prime - 03-12-2025

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    MILANESI BRAVA GENTE SPECIAL - MATTEO LIUZZI E TOMMASO BERTELLI - presentato da Francesco Tragni

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    L’inquietudine della provincia nel film “Ferine”, in concorso al Noir in Festival

    Trattandosi di un film horror si può raccontare poco. Ferine di Andrea Corsini si sviluppa intorno ad Irene, una donna che desidera una figlia ma nello stesso tempo è costretta a difendersi da chi la ostacola. In seguito a un incidente, la donna va in cerca di sangue per sopravvivere. Il tutto si svolge in un paesaggio vuoto e deprimente: “Cercavo una provincia in cui si respirasse solitudine e isolamento, come la villa di architettura brutalista e il centro commerciale esternamente vuoto. Il cemento da una parte e dall’altra le zone boschive, in cui si scatena l’aspetto selvaggio della storia”. Spiega Corsini, che nel film ha ricreato delle atmosfere che ogni tanto ricordano David Lynch, accompagnate dalla musica di Pino Donaggio: “È sempre stato il mio sogno, ma non avrei mai pensato di riuscirci. Non ho dovuto dirgli quasi niente per arrivare a questo risultato”. Un film prevalentemente femminile, con attrici internazionali che recitano in inglese e in cui gli uomini hanno soltanto parti in secondo piano. L'intervista di Barbara Sorrentini ad Andrea Corsini.

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    Paolo Bergamaschi, già Consigliere Politico Commissione Esteri Parlamento Europeo, analizza lo scontro Europa-Russia, tra minacce e timidi segnali di dialogo. Francesco Vignarca, ricercatore e analista della Rete Pace e Disarmo, racconta l'impatto del piano di riarmo sulla politica dell'Unione, trainato dall'industria e soprattutto dalla finanza. Le mobilitazioni dei lavoratori dell'Ilva non si fermeranno finché i patti non saranno rispettati, perché nessuno comprerà gli stabilimenti se non ci saranno prima degli interventi, come ci spiega Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia della Fiom-Cgil. Giulia Riva giornalista e nostra collaboratrice racconta la giornata internazionale delle persone con disabilità a partire dai dati sul lavoro dove le donne con disabilità sono ancora più penalizzate degli uomini (mentre in Lombardia le aziende preferiscono pagare 82 milioni di multe che assumere persone dalle categorie protette) e poi da atleta paralimpica lancia una sfida alla città di Milano che il lascito delle Olimpiadi invernali in partenza a febbraio sia almeno concretamente utile.

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