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Trump alla ricerca del suo vice

Le hanno già definite “le prove di The Apprentice“.

The Apprentice è stato lo show condotto da Donald J. Trump, in cui il magnate valutava l’abilità imprenditoriale dei contendenti, scartando i più scarsi con la frase diventata famosa: “You’re fired!“, sei licenziato.

A questo punto della sua storia di candidato alla Casa Bianca, Trump si trova a fare altri colloqui di valutazione: quelli per il vice che l’accompagnerà nella corsa per la presidenza. Si tratta di un processo tradizionalmente lungo, difficile, in cui poco o nulla trapela, per evitare che i candidati vengano bruciati, che si creino fronti contrapposti, che scoppino insomma polemiche dannose ai candidati e alla campagna.

Come in tanti altri casi, di scontri e polemiche Donald Trump però ci vive. Anzi, scontri e polemiche sono ciò che ha fatto decollare la sua campagna. E allora il candidato ha cominciato a informare il mondo, attraverso il suo strumento di comunicazione prediletto, Twitter, dei colloqui e delle idee che gli frullano per la testa. Con un tweet ha annunciato di voler incontrare la senatrice dell’Iowa, Joni Ernst. In un altro ha spiegato di aver conosciuto il governatore dell’Indiana, Mike Pence, e la sua famiglia. “Molto impressionato, delle gran persone!” ha commentato. In un altro tweet ancora, ha lodato il senatore dell’Arkansas Tom Cotton.

Per rendere chiaro, se già non lo fosse, che a lui non importa della freddezza o dell’aperto disdegno che molti repubblicani gli mostrano, Trump ha fatto partire un altro tweet. “Le sole persone che non sono interessate a essere scelte come vice-presidente, sono quelle cui non è stato chiesto!

A meno di due settimane dall’apertura della Convention di Cleveland, che dovrebbe – a meno di clamorose sorprese – nominare Trump e il suo vice, sono comunque questi i nomi che circolano con più frequenza negli ambienti democratici.

Chris Christie – Il governatore del New Jersey, ed ex candidato alla presidenza, è stato tra i primi pezzi grossi dell’establishment repubblicano ad appoggiare Trump. Se fosse scelto come candidato vice-presidente, potrebbe portare alla campagna di Trump l’esperienza amministrativa e politica che a Trump manca. Ci sono però delle forti controindicazioni alla sua scelta. Anzitutto, Christie è stato coinvolto nello scandalo della chiusura del George Washington Bridge. A livello umano, Christie e Trump non sembrano amarsi. Entrambi caratteri vulcanici, imprevedibili, si sono attaccati senza esclusione di colpi durante le primarie. C’è un episodio significativo, da questo punto di vista. Christie, dopo essersi ritirato dalla corsa per la Casa Bianca, decise di dichiarare il suo sostegno a Trump durante una conferenza stampa. Trump lo lasciò finire, poi gli intimò: “Ora prendi il tuo aereo e tornatene a casa”. C’è infine un dettaglio non trascurabile, che potrebbe far tramontare la candidatura Christie. Da magistrato in New Jersey, Christie chiese e ottenne l’incarcerazione del padre di Jared Kutchner, il marito di Ivanka, la figlia di Trump.

Joni Ernst – Eletta al Senato per l’Iowa nel 2014, Ernst è una delle stelle nascenti del firmamento repubblicano. Veterana della guerra in Iraq, ex liutenent colonel della Guardia repubblicana, Ernst potrebbe portare a Trump quel controllo delle questioni di politica internazionale e della sicurezza che gli mancano. Joni Ernst è anche un personaggio piuttosto popolare. La si è vista spesso guidare la sua Harley Davidson e il suo spot per l’elezione al Senato, nel 2016, mostrava la castrazione dei maiali e prometteva di far “squittire nello stesso modo” i politici di Washington. Tutti dettagli di populismo anti-élites sicuramente in sintonia con l’appello populista di Trump. Il limite della Ernst potrebbe essere la sua scarsa esperienza politica e amministrativa. E’ entrata in politica da soli due anni; non ha lasciato, per il momento, segni tangibili del suo passaggio al Senato.

Mike Pence – Il governatore dell’Indiana sarebbe la scelta migliore per conquistare alcuni settori di elettorato cui Trump guarda con particolare attenzione. Pence viene da uno Stato della Rush Belt, sa come parlare alla working-class di queste zone. E’ un social conservative, che quindi copre Trump con i settori più religiosi e tradizionali dell’elettorato repubblicano. Ha un limite: la sua fisionomia conservatrice, soprattutto in tema di diritti gay, potrebbe alienare altri settori di elettorato, quelli più moderati.

Newt Gingrich – L’ex speaker della Camera durante gli anni di Bill Clinton alla Casa Bianca, architetto del “Contract with America” che portò alla conquista repubblicana del Congresso nel 1994, è una delle facce più note della politica americana. Ha sicuramente le doti politiche e intellettuali per diventare vice-presidente. E’ capace di articolare un pensiero in aree diverse dell’amministrazione, dalla politica internazionale alla sicurezza all’economia al welfare. E’ anche un politico che è riuscito a equilibrare spinte populistiche e rispetto delle élites tradizionali. Il suo limite è il fatto di essere una faccia troppo nota della politica USA. E’ da anni in circolazione, viene dalla Georgia, ciò che potrebbe alienargli la simpatia di settori dell’elettorato più moderato del nord-est e dell’ovest. E’ stato inoltre costretto a dimettersi dalla Camera per questioni di carattere etico, ed è un cattolico con tre matrimoni alle spalle. Dettaglio non proprio esaltante per le schiere di evangelici del cui voto Trump, altro divorziato, ha disperatamente bisogno.

 

  • Autore articolo
    Roberto Festa
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    Gran Bretagna e Germania, i grandi malati d'Europa. Il primo ministro britannico Starmer e il cancelliere tedesco Merz sono entrambi proiettati in una rincorsa della destra estrema. Il laburista britannico Starmer, due settimane fa: «restauriamo ordine e controllo», titolo di un documento presentato alla Camera dei Comuni. Il democristiano tedesco Merz: ci vogliono «controlli ai confini e respingimenti» perchè «l’immigrazione ha un impatto sul paesaggio urbano». Proprio così. Germania e Gran Bretagna, due potenze economiche mondiali: la Germania (80 milioni di abitanti) con il terzo pil del mondo (dopo Stati Uniti e Cina); il Regno Unito (con 60 milioni di abitanti) con il sesto pil mondiale (dopo la Germania c’è il Giappone e l’India e poi il Regno Unito). La “malattia” (la rincorsa ad essere a volte più a destra delle destre) rischia di cambiare i connotati a tradizioni politiche europee centenarie: come il laburismo britannico, il popolarismo democristiano tedesco insieme alla socialdemocrazia, sempre in Germania. Pesa, inoltre, un discorso pubblico sempre più contaminato da un lessico guerresco. Che danni può provocare questa “malattia” in due paesi fondamentali del continente europeo? Pubblica ha ospitato la storica Marzia Maccaferri (Queen Mary, University of London) e il giornalista Michael Braun (corrispondente da Roma del berlinese Tageszeitung).

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    Politici, industriali e finanzieri sono concordi nel sostenere la strada del riarmo e della militarizzazione europea: per i finanzieri si tratta di far fruttare i propri fondi rapidamente e in maniera sicura, per gli industriali idem, con fortissime iniezioni di denaro pubblico, non a caso anche quest’anno hanno fatto il record di vendite come registra il Sipri di Stoccolma il più autorevole istituto di ricerca sulla spesa militare nel mondo. Il problema, spiega Francesco Vignarca, portavoce della Rete Pace Disarmo, ricercatore e analista (tra i curatori del libro Europa a mano armata curato con Sbilanciamoci) è che così vince il discorso di guerra. Banalizzante, propagandistico e pericoloso perché sequestra la democrazia: “Il complesso militare industriale ha un pensiero medio lungo strategico. Stanno già intervenendo per togliere le leggi sulla limitazione alla vendita di armi, perché sanno che dovranno vendere questa sovraproduzione da qualche parte, così come fanno entrare capitali esteri nella nostra industria, come i sauditi in Leonardo, perché non siamo noi gli acquirenti di queste armi”. Ascolta l'intervista di Cinzia Poli e Claudio Jampaglia.

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    L’inquietudine della provincia nel film “Ferine”, in concorso al Noir in Festival

    Trattandosi di un film horror si può raccontare poco. Ferine di Andrea Corsini si sviluppa intorno ad Irene, una donna che desidera una figlia ma nello stesso tempo è costretta a difendersi da chi la ostacola. In seguito a un incidente, la donna va in cerca di sangue per sopravvivere. Il tutto si svolge in un paesaggio vuoto e deprimente: “Cercavo una provincia in cui si respirasse solitudine e isolamento, come la villa di architettura brutalista e il centro commerciale esternamente vuoto. Il cemento da una parte e dall’altra le zone boschive, in cui si scatena l’aspetto selvaggio della storia”. Spiega Corsini, che nel film ha ricreato delle atmosfere che ogni tanto ricordano David Lynch, accompagnate dalla musica di Pino Donaggio: “È sempre stato il mio sogno, ma non avrei mai pensato di riuscirci. Non ho dovuto dirgli quasi niente per arrivare a questo risultato”. Un film prevalentemente femminile, con attrici internazionali che recitano in inglese e in cui gli uomini hanno soltanto parti in secondo piano. L'intervista di Barbara Sorrentini ad Andrea Corsini.

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    Paolo Bergamaschi, già Consigliere Politico Commissione Esteri Parlamento Europeo, analizza lo scontro Europa-Russia, tra minacce e timidi segnali di dialogo. Francesco Vignarca, ricercatore e analista della Rete Pace e Disarmo, racconta l'impatto del piano di riarmo sulla politica dell'Unione, trainato dall'industria e soprattutto dalla finanza. Le mobilitazioni dei lavoratori dell'Ilva non si fermeranno finché i patti non saranno rispettati, perché nessuno comprerà gli stabilimenti se non ci saranno prima degli interventi, come ci spiega Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia della Fiom-Cgil. Giulia Riva giornalista e nostra collaboratrice racconta la giornata internazionale delle persone con disabilità a partire dai dati sul lavoro dove le donne con disabilità sono ancora più penalizzate degli uomini (mentre in Lombardia le aziende preferiscono pagare 82 milioni di multe che assumere persone dalle categorie protette) e poi da atleta paralimpica lancia una sfida alla città di Milano che il lascito delle Olimpiadi invernali in partenza a febbraio sia almeno concretamente utile.

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