
L’apice della mobilitazione del mondo musicale contro il regime sudafricano dell’apartheid fu toccato nel giugno dell’88 con le undici ore, trasmesse in diretta dalla BBC e da televisioni di tutto il pianeta, del Birthday Concert per i settant’anni di Nelson Mandela al Wembley Stadium di Londra, a tutt’oggi il più riuscito ed efficace esempio di evento musicale legato ad una causa. Con i suoi 600 milioni di telespettatori stimati, lo spettacolo mostrò l’isolamento del regime di Pretoria e contribuì ad accelerare la liberazione di Mandela e la fine dell’apartheid: venti mesi dopo Wembley, nel febbraio del ’90, il leader sudafricano usciva di prigione. Presentando con un articolo sul Guardian Together for Palestine, il concerto che si è tenuto mercoledì 17 settembre alla Wembley Arena, Brian Eno, che dell’iniziativa è il più famoso fra i promotori, si è richiamato a quell’illustre precedente: tra i due eventi c’è molto di più che la vicinanza fisica della struttura al chiuso della Wembley Arena con il Wembley Stadium. Destinato alla raccolta di fondi per Gaza e alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul genocidio in corso, Together for Palestine ha visto sfilare sul palco circa settanta fra musicisti, attori, attivisti, personaggi dello sport, dai Gorillaz e Damon Albarn a Richard Gere, dai Portishead a Annie Lennox, da Paul Weller a Neneh Cherry, da James Blake alla star di origine palestinese Saint Levant; Eric Cantona ha parlato del “doppio standard”: «Dopo l’invasione dell’Ucraina, FIFA e la UEFA hanno sospeso la Russia. Sono passati 716 giorni da quando Amnesty International ha definito genocidio quello che sta succedendo, eppure Israele ha ancora il diritto di giocare”. L’apertura è stata affidata a Francesca Albanese, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati sanzionata dal governo americano, e non difesa dal nostro; tra gli interventi anche quello di Stephen Kapos, ebreo ungherese sopravvissuto alla Shoa: ottantasettenne, nei mesi scorsi è salito agli onori delle cronache perché ha partecipato a Londra a manifestazioni per la Palestina e per questo si è trovato ad essere interrogato dalla polizia. Together for Palestine è durato quattro ore ed è stato trasmesso in diretta da Youtube. Mettendo nel suo articolo Together for Palestine nel solco del Birthday Concert per Mandela, Brian Eno non ha avuto paura del confronto tra un evento più piccolo – ma comunque ragguardevole per cast e presenze, sold out con oltre diecimila spettatori – e uno molto più grande: se l’entità dell’evento al Wembley Stadium fu molto maggiore, la dinamica però è la stessa. Fino ad un certo punto la consapevolezza del crimine dell’apartheid in Sudafrica era patrimonio di pochi: il Wembley Stadium fu un punto d’arrivo, dopo anni di lotte e mobilitazioni. Eno ricorda come la censura e le ritorsioni nei confronti degli artisti che volevano levare la loro voce a favore dei palestinesi sia stata pesante. E come non sia stato facile trovare una sede per il concerto e arrivare alla diretta di Youtube. Ma le cose hanno cominciato a cambiare. Eccezionale episodio di manifestazione di un’opinione pubblica globalizzata, il Birthday Concert al Wembley Stadium suonò le campane a morto per il regime dell’apartheid; impensabile solo fino a poco tempo fa, un appuntamento come Together for Palestine è un segno del crescente isolamento della narrazione israeliana nella coscienza dell’opinione pubblica internazionale.