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The Eddy, Parigi e la sua musica nella nuova miniserie Netflix

The Eddy

Parigi e la sua musica nella nuova miniserie Netflix, The Eddy.

Nato nel 1985, a 35 anni Damien Chazelle è già un affermato autore nel panorama cinematografico mondiale, soprattutto grazie a due film: Whiplash, dedicato all’intenso e disfunzionale rapporto tra un insegnante di musica e un giovane batterista; e La La Land, omaggio al musical con i divi Emma Stone e Ryan Gosling, grande successo di pubblico e critica, e che a Chazelle ha fruttato l’Oscar per la miglior regia (non quello per il miglior film: La La Land rimarrà nella storia anche per il pasticcio degli Oscar 2017, quando gli fu assegnato per sbaglio il premio in realtà vinto da Moonlight).

La rilevanza di Chazelle è confermata dalla nuovissima miniserie The Eddy, disponibile su Netflix dall’8 maggio. Girata e ambientata a Parigi – come lascia intuire il nome, il regista è di padre francese –, The Eddy ruota attorno a un jazz club e al suo proprietario, il musicista Elliot (interpretato da André Holland, uno dei protagonisti – ironia della sorte – proprio di Moonlight).

Chi ha visto La La Land penserà subito a Mia e Sebastian, all’amore di lei per Parigi e al sogno di lui di aprire un jazz club. Ma The Eddy non potrebbe essere più lontano nello stile, nei toni e nei colori da La La Land: la storia si svolge quasi tutta per le strade del XII arrondissement e di Belleville, quartieri lontani dal glamour dei luoghi turistici; il titolo si riferisce al nome del club al centro della vicenda, attorno al quale ruotano molti personaggi.

Ogni episodio, pur inserito in una trama principale che coinvolge tutti, si concentra su un diverso protagonista: oltre al musicista Elliot e al suo socio Farid (interpretato dal Tahar Rahim di Il profeta di Jacques Audiard), ci sono la figlia adolescente di Elliot, Julie, che ha il giovane e talentuoso volto di Amandla Stenberg, recentemente al cinema in Il coraggio della verità. C’è la cantante Maja, splendidamente impersonata da Joanna Kulig, attrice polacca già protagonista dell’acclamato film Cold War; e poi ci sono la moglie di Farid Amira, i membri della band Jude e Katarina, il giovane barista Sim… E attorno a loro un universo brulicante e variegato, la comunità musulmana parigina e la fiorente scena artistica della città, tante diverse lingue intrecciate e sovrapposte e soprattutto la musica, jazz ma non solo, una ricca colonna sonora originale firmata da Glen Ballard.

Chazelle dirige i primi due episodi, eccezionalmente in 16 mm, con camera a mano, uno stile ruvido e documentaristico e diversi pianisequenza; poi la regia passa alla francese Houda Benyamina, nel 2016 premiata a Cannes per il suo film Divines, alla marocchina Laïla Marrakchi, che ha già lavorato alle serie francesi Marsiglia e Le Bureau, e allo statunitense Alan Poul, produttore e regista tv di lungo corso.

A firmare la sceneggiatura c’è il britannico Jack Thorne, che in passato ha lavorato per Skins e This Is England e quest’anno ha realizzato anche la serie fantasy Queste oscure materie. Basta quindi anche solo un’occhiata a questo gruppo di multiformi professionalità per capire che The Eddy è una serie dalle molte anime: a unificarla è soprattutto un amore sconfinato per la musica e per i quartieri parigini che attraversa.

Qualcuno ha citato, anche per la prevalenza di un’anima francese, lo stile del regista di La vita di Adele e Cous cous Abdellatif Kechiche, ma c’è anche una serie che si avvicina molto a The Eddy, la splendida Treme, andata in onda tra il 2010 e il 2013, girata e ambientata nella New Orleans post Katrina. Dall’altra parte dell’Atlantico, e dopo quasi un decennio, è sempre la musica a parlare un linguaggio universale e a trascinarci con un’energia indomabile.

  • Autore articolo
    Alice Cucchetti
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    Errando per Antiche Vie è una grande azione performativa in cui artisti e pubblico percorrono a piedi la distanza che separa Cortina e Milano, tra il 5 e il 16 dicembre, a un mese dall’inizio delle Olimpiadi, per raccontare un territorio incredibile, contraddittorio che per la prima volta viene messo in luce dalle Olimpiadi. Un cammino lungo oltre 250 km, spettacoli teatrali e di danza, letture, pasti di comunità, incontri e dibattiti: un racconto della montagna fatto di sostenibilità, di protagonismo dei territori alpini e prealpini, di chi decide di vivere e lavorare in quota e nei territori periferici, al di là della spettacolarizzazione del momento olimpico. Michele Losi di Campsirago Residenza ha raccontato a Cult tutto il percorso. L'intervista di Ira Rubini.

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