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“Su Gaza Europa assente: riveda i suoi rapporti con Israele”. L’intervista a Pier Virgilio Dastoli

Europa

Pier Virgilio Dastoli è il presidente in Italia del Movimento Europeo. In questi giorni sta organizzando gli eventi legati alla Giornata dell’Europa, il 9 maggio. L’Unione europea dovrebbe guardarsi allo specchio, più che auto-celebrarsi. Per capire cosa la stia allontanando da quel progetto di unità politica, basata sulla pace, sull’uguaglianza, sui diritti, che era nell’ispirazione originaria a partire da Manifesto di Ventotene. Con Dastoli – che di proprio Altiero Spinelli è stato a lungo collaboratore al Parlamento Europeo – abbiamo discusso delle principali sfide che l’Europa oggi deve affrontare.

La prima considerazione che mi viene da proporle riguarda Gaza. L’Europa, di fronte a questa situazione, può dire qualcosa? E soprattutto, che cosa dovrebbe dire e quale posizione dovrebbe assumere di fronte a una violazione così grave e vicina dei diritti umani?

Innanzitutto l’Europa non solo non è presente, ma è totalmente assente da anni su questo fronte. Il nostro Alto Rappresentante, Josep Borrell, ha cercato in qualche modo di assumere una posizione più ferma, ma non è stato ascoltato. L’Europa può – e deve – fare qualcosa. Intanto, potrebbe agire con maggiore determinazione in sede ONU, ad esempio chiedendo la convocazione straordinaria del Consiglio di Sicurezza, richiesta che troverebbe certamente il sostegno del Segretario Generale, António Guterres. L’Europa può – e deve – utilizzare gli strumenti che ha a disposizione: abbiamo accordi con Israele, sia economici che scientifici e politici. Può decidere di sospenderli, annullarli o rinegoziarli come forma di pressione. Questo sarebbe un atto di deterrenza. Inoltre, dovrebbe cercare alleati a livello internazionale. Non saranno certo gli Stati Uniti, ma ci si deve muovere, non da soli, ma tramite alleanze. Insomma, le possibilità ci sono. Il Consiglio Europeo, in una situazione come questa, avrebbe dovuto convocare una sessione straordinaria. Lo abbiamo fatto in passato per altre guerre; questa sarebbe stata certamente un’occasione appropriata per farlo.

È un momento drammatico anche su altri fronti, come quello ucraino. Secondo lei, l’Europa ha fatto il proprio dovere in Ucraina? Avrebbe dovuto agire diversamente? E cosa può fare ancora?

L’Europa ha sostenuto l’Ucraina con vari strumenti finanziari, umanitari e anche militari. Tuttavia, se confrontiamo i dati con ciò che hanno fatto gli Stati Uniti sotto la presidenza Biden, risulta evidente che siamo ben al di sotto, come Unione, rispetto all’impegno americano. Inoltre, i nostri aiuti militari sono talmente scoordinati tra loro da risultare sostanzialmente inefficaci. È anche una delle ragioni per cui si discute di una difesa europea. Ma l’aspetto più grave è che, dal 24 febbraio 2022, l’Unione Europea non ha messo sul tavolo alcuna proposta concreta per una tregua o un processo di pace – che dovrebbe coinvolgere non solo la Russia, ma anche l’Ucraina. Nessuna proposta, nessuna iniziativa, nessuna idea è emersa dai nostri capi di Stato e di governo, né tantomeno dal Consiglio Europeo o da Ursula von der Leyen. Eppure ricordo che, già nel marzo 2022, il presidente Mattarella aveva lanciato l’idea di rilanciare la Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, quella di Helsinki, in un discorso all’Assemblea del Consiglio d’Europa. Un appello rimasto totalmente inascoltato.

Una difesa comune europea: si riuscirà mai ad averla?

Qualcuno ha detto che stiamo facendo un primo passo, ma purtroppo è un primo passo nella direzione sbagliata. Se la difesa europea si costruisce attraverso un riarmo nazionale, non solo non si va da nessuna parte, ma si ostacola la creazione stessa di una vera difesa comune. Serve interoperabilità tra le forze armate degli Stati membri – eserciti, aviazioni, forze navali – e oggi questa interoperabilità non esiste. Dobbiamo investire in progetti europei che garantiscano l’autonomia strategica. Penso, per esempio, a uno scudo spaziale europeo, o alla cybersicurezza: servono investimenti comuni. Invece, si sta seguendo la strada dell’aumento delle spese militari nazionali, a partire da quelle tedesche, una strada sostenuta con una certa “sensibilità” da Ursula von der Leyen, che è stata ministro della Difesa in Germania. Un ministro, va detto, ricordato piuttosto negativamente. La strada giusta è un’altra: abbiamo già strumenti come il programma EDIP, per gli investimenti nell’industria della difesa. È un settore in cui il Parlamento Europeo decide a maggioranza insieme al Consiglio. Piuttosto che inventare nuove strade, la Commissione dovrebbe usare quelli esistenti, integrandoli con investimenti finanziari. Purtroppo, la Commissione ha scelto un’altra direzione, che peraltro cancella il ruolo del Parlamento Europeo.

L’altro grande protagonista di questo momento storico è, naturalmente, Donald Trump.

È difficile immaginare di poter avviare un negoziato con una persona che ha mostrato, con grande chiarezza, non solo posizioni contraddittorie, ma spesso anche inaccettabili. Su alcune questioni, l’Europa dovrebbe essere molto più determinata. Penso, per esempio, all’ambiente, dove purtroppo stiamo facendo passi indietro. A cinque anni dalla scadenza dell’Agenda 2030, stiamo arretrando. Trump ha negato qualunque impegno sulla transizione ecologica. Eppure ci sono impegni presi in sede ONU, su cui l’Unione Europea potrebbe esercitare un ruolo determinante. Sulla questione dei dazi, c’è poco da negoziare: lo stesso Trump ha dovuto ammettere che non si tratta con i singoli Paesi, ma con l’Unione Europea nel suo insieme. In materia di politica commerciale, la competenza è esclusiva dell’UE, non solo della Commissione: la Commissione propone, ma il Consiglio decide a maggioranza, insieme al Parlamento. È una delle poche competenze esclusive di cui disponiamo, e anche qui dovremmo essere molto più netti. Lo stesso vale per i diritti: penso, ad esempio, alle politiche migratorie, dove purtroppo molti governi europei continuano a sostenere l’idea dell’Europa dei muri, anziché quella dei ponti. E invece serve una grande mobilitazione dell’opinione pubblica.

Il governo italiano, guidato da Giorgia Meloni e improntato al sovranismo, è in grado di essere un protagonista in Europa?

Non mi pare proprio. Trump, del resto, non ha mai dato nulla in cambio: non può essere né un punto di riferimento, né un interlocutore, né tantomeno un mediatore tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti. E lo vediamo chiaramente: il governo italiano è totalmente assente da questo punto di vista. Il problema del sovranismo non è solo ideologico; è che va contro gli interessi stessi del Paese.

Un’ultima domanda, Pier Virgilio Dastoli. L’Europa è laica, ma c’è stata grande attenzione verso Papa Francesco. Perché, secondo lei? E cosa ci dice questo sull’Europa?

Papa Bergoglio è stato definito, in qualche modo, un Papa “terzomondista”. Ma ha anche pronunciato discorsi importanti sull’Europa, come quello al Parlamento Europeo. Da un punto di vista laico, noi siamo sempre stati contrari a inserire nelle costituzioni europee il riferimento alle radici cristiane o giudaico-cristiane. Un cardinale – che non cito – mi disse: “Il problema non sono le radici, ma i frutti”. Ecco, noi possiamo e dobbiamo batterci affinché l’Unione Europea tenga conto dei frutti di certi valori, tra cui anche quelli promossi da una parte del mondo religioso. Jacques Delors, di cui quest’anno celebriamo il centenario della nascita, aveva promosso un programma chiamato Un’anima per l’Europa, che favoriva il dialogo tra le religioni e anche con il mondo umanista, in senso laico. Io spero che la Commissione Europea rilanci quel programma. E che anche il successore di Pietro – lo abbiamo scritto – sia sensibile all’idea di rilanciare un dialogo fra religioni e umanesimo. Qualcuno ha parlato persino dell’idea di una “Camaldoli europea”. Ci sono percorsi possibili che potrebbero contribuire anche al discorso della pace.

 

Evento:

Venerdì 9 maggio 2025 il Movimento Europeo Italia, insieme al Centro italo-tedesco per il dialogo europeo Villa Vigoni e con la collaborazione di sei Università milanesi, organizza un evento per approfondire le sfide e le difficoltà che il processo di integrazione del Continente europeo pone attualmente.
Dalle ore 9 presso l’Aula Pio XI dell’ Università Cattolica del Sacro Cuore (via Largo A. Gemelli 1) ci sarà il convegno “A quarant’anni dal Consiglio europeo di Milano. Lo spazio pubblico europeo: strategie e strumenti per l’avvenire“.
Dalle ore 20 a Casa della Cultura (via Borgogna 3) si terrà “Festa dell’Europa: Per l’unità dell’Europa, nostro ideale” con proiezione del film “Le parole di Ventotene. Ernesto Rossi: il progetto di Europa unita” di Marco Cavallarin, Elisa Mereghetti e Marco Mensa (ore 20) e a seguire un incontro su “L’impegno europeista della società civile” (ore 21).

Radio Popolare è media partner dell’evento.

  • Autore articolo
    Alessandro Principe
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    con Anna Negri sul documentario “Toni mio padre”; Francesco Fei su “Piero Pelù rumore dentro”; Alessandro Genovesi e Valentina Lodovini regista e interprete di “Una famiglia sottosopra”; Lino Guanciale parla di “Il Commissario Ricciardi”. Estratto dall’incontro con Soahil Dahdal e Rehab Nazzal, vincitori del Nazra Palestine Short Film Festival, nell’auditorium di Radio Popolare (2). Tra le uscite: “Un semplice incidente” di Jafar Panahi; “Siamo in un film di Alberto Sordi?” di Steve Della Casa e Caterina Taricano; “Anemone” di Ronan Day-Lewis.

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    “I Girasoli” è la trasmissione di Radio Popolare dedicata all'arte e alla fotografia, condotta da Tiziana Ricci. Ogni sabato alle 13.15, il programma esplora eventi culturali, offre interviste ai protagonisti dell'arte, e fornisce approfondimenti sui critici e sui giovani talenti. L’obiettivo è rendere accessibile il significato delle opere e valutare la qualità culturale degli eventi, contrastando il proliferare di iniziative di scarso valore e valutando le polemiche sulla politica culturale.

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