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Su Disney+ va in onda la quarta stagione di Boris

“La fuori-serie italiana” era lo slogan che accompagnava le prime puntate di Boris, originariamente in onda sulla versione italiana del canale a pagamento Fox, nel 2007. Perché, per usare una delle sue tante battute divenute col tempo tormentoni dotati di vita propria, Boris sembrava, invece, “molto poco italiana”. Innanzitutto era una comedy, con un formato da meno di mezz’ora a episodio, ma non era una vera e propria sitcom, di quelle con le risate registrate mutuate dalla formula americana, anzi, assomigliava di più alle neonate dramedy d’oltreoceano. E poi aveva uno spirito orgogliosamente “meta”, autoconsapevole e irriverente: ambientata sul set di un’orrida fiction Rai, la fittizia Gli occhi del cuore 2, presentava un microcosmo surreale ma tragicamente riconoscibile, e personaggi che erano contemporaneamente macchiette comiche e figure più che mai verosimili.

René Ferretti, il regista dalle ambizioni autoriali ma ormai rassegnato a fare tutto un po’ così, “alla cazzo di cane” (parole sue); il direttore della fotografia Duccio Patané, pigro e cocainomane, che urla “smarmella!” e “apri tutto!” dopo aver spiegato che la qualità delle fiction non dev’essere troppo diversa da quella della pubblicità; il capo elettricista Biascica, grande tifoso della Roma e che ancora aspetta gli siano pagati “gli straordinari d’aprile”; i due attori, la “cagna maledetta” Corinna e il vanesio ed egoriferito Stanis La Rochelle, capace di affermare con intenzione che “Stanley Kubrick è un regista sopravvalutato”; il dirigente di rete Lopez e il direttore di produzione Sergio, preoccupati di risparmiare il risparmiabile e di destreggiarsi tra ingerenze politiche e i presunti desideri del pubblico; lo “stagista schiavo” e gli sceneggiatori che compongono copioni tremendi, cercando di lavorare il meno possibile.

Al primissimo passaggio televisivo, appunto su una rete pay molto poco vista, la prima stagione di Boris non fece molto rumore, ma poi, via via, guadagnò quel che si dice “successo virale”; nel 2011, dopo tre stagioni, arrivò nelle sale cinematografiche Boris: Il film, in cui la scalcagnata troupe capitanata da René Ferretti tentava di passare al grande schermo con un film d’impegno civile tratto dal reportage La casta, ma finiva tristemente per confezionare un cinepanettone, Natale con la casta. Nel frattempo, moltissimi dei modi di dire di Boris sono diventati proverbiali, sono entrati nel linguaggio comune, e sembra esserci una battuta della serie pronta per ogni situazione tipica dell’Italia (“un paese di musichette mentre fuori c’è la morte” è l’efficace e francamente inappuntabile definizione di uno dei tre sceneggiatori). Dopo l’uscita del film, periodicamente si è tornati a parlare di una possibile quarta stagione, con gli attori – da Francesco Pannofino a Caterina e Corrado Guzzanti, da Pietro Sermonti a Carolina Crescentini, da Paolo Calabresi a Ninni Bruschetta – pronti a ribadire in coro la loro disponibilità. E ora, per la precisione dal 26 ottobre, Boris in effetti torna, con una quarta stagione, prodotta e distribuita da Disney+. Anche se con un retrogusto amaro, perché nel frattempo sono venuti a mancare l’attrice Roberta Fiorentini, che interpretava la segretaria di edizione Itala, e l’autore e commediografo Mattia Torre, che insieme a Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo firmava i geniali copioni dello show.

Ed è cambiato completamente il panorama produttivo e televisivo, come dimostra proprio il posizionamento su Disney+ delle nuove puntate: una piattaforma streaming internazionale. Conservando il suo distintivo aspetto metatelevisivo, la nuova stagione di Boris ritroverà Ferretti e gli altri alle prese proprio con una serie da realizzare per una potente piattaforma globale, e non una serie qualunque: Stanis La Rochelle è diventato produttore, fondando la So Not Italian Production, ed è determinato, nonostante i 50 anni passati, a interpretare l’impegnativo protagonista della serie Vita di Gesù. E se un tempo per fare una fiction era necessario accontentare politici invadenti e direttori di rete ossessionati dall’Auditel, ora a portare scompiglio c’è il potentissimo e imperscrutabile algoritmo… Saranno, per ora, solo sei episodi, ma il cast e la crew tornano al completo e promettono scintille. Noi spettatori non possiamo che rubare le parole a René e urlare: “Dai, dai, dai!”.

Foto | Disney+

  • Autore articolo
    Alice Cucchetti
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    L’Europa e il bellicismo crescente delle sue classi dirigenti. L’ultimo caso, quello dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone e la postura aggressiva che dovrebbe tenere la Nato. Cosa possono fare il pensiero e la cultura della pace per contrastare l’escalation bellicista e la normalizzazione della violenza? Le risposte possono non essere quelle consuete, soprattutto perché in Occidente stiamo assistendo ad un cambio delle coordinate geopolitiche costruite negli ultimi ottant’anni. Un esempio. Il settimanale «The Economist» ha scritto nella sua rubrica di geopolitica «The Telegram» apparsa oggi sulle pagine online: «In Europa le preoccupazioni per l’inaffidabilità dell’America sotto Donald Trump stanno lasciando il posto a un timore più grande: che, pur presentandosi come il campione della civiltà occidentale, egli consideri ormai le democrazie occidentali reali come avversarie. “Nella Washington di oggi” - scrive il nostro editorialista di The Telegram - l’Europa “è spesso descritta con maggiore disprezzo rispetto alla Cina o alla Russia”. Pubblica oggi ha ospitato Donatella Della Porta, scienziata della politica, e Agostino Giovagnoli, storico.

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