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Stati Uniti-Iran, Trump non risponderà al raid iraniano

Donald Trump nel 2020

Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump sembra aver deciso di tendere la mano all’Iran e di non condurre alcuna rappresaglia dopo i raid iraniani verso due basi militari statunitensi in Iraq. Il commento di Farid Adly sugli ultimi sviluppi in Medio Oriente.

La situazione adesso è più distesa rispetto a ieri, in quanto Trump ha deciso di non rispondere all’attacco alle due basi militari irachene nelle quali si trovano soldati americani e britannici. Non ci sono state vittime.
L’operazione iraniana è stata condotta a scopo propagandistico per non perdere la faccia dopo l’attacco statunitense che ha ucciso delle personalità importanti come il generale Qasem Soleimani. Adesso toccherà probabilmente alle milizie di Hashed al Shaabi dare una risposta, anche se vedo che molti importanti uomini politici con delle milizie alle spalle hanno lanciato messaggi di calma e rassicurazione.
Rimane il fatto che le basi militari americane in Iraq sono a rischio. La minaccia iraniana nei confronti dei Paesi del Golfo che ospitano basi militari permane, dal Qatar al Bahrein, passando per Dubai, dove ci sono basi militari americane e occidentali: è chiaro che in una futura escalation toccherà anche a loro.
Sul fronte libico, invece, c’è a parole una distensione a livello diplomatico. Putin ed Erdogan hanno concordato di fare appello alle parti per un cessate il fuoco e l’ufficio di presidenza di Fayez al-Sarraj ha già annunciato di accettare questa proposta a condizione che le truppe di al-Sarraj ritornino al punto di origine, una condizione impossibile. Sembra che ieri il generale Haftar abbia detto al premier italiano Giuseppe Conte di voler accettare questo cessate il fuoco a condizione che vengano smilitarizzate le milizie di Tripoli.

Dal punto di vista diplomatico la giornata di ieri sembra confermare il ruolo di secondo piano dell’Unione Europea rispetto al protagonismo di Russia e Turchia. Haftar era da Conte, al-Sarraj è andato a Bruxelles, ma alla fine il cessate il fuoco lo hanno stabilito e chiesto Russia e Turchia.

La politica si fa con la canna del cannone. Putin ed Ergodan sulla scena libica stanno su due fronti diversi e la loro decisione avrà molta voce in capitolo rispetto agli appelli dell’UE o del governo italiano. La questione del contendere è molto forte: l’annuncio della Banca Centrale Libica che lo scorso anno, dal gennaio al novembre 2019, l’esportazione di petrolio della Libia è arrivata ad oltre 20 miliardi di dollari. La fetta petrolifera è molto importante in queste decisioni. Il petrolio è sotto il controllo dell’esercito nazionale di Haftar, ma la gestione dei proventi del petrolio è nelle mani del governo di al-Sarraj tramite la Banca Centrale e la società petrolifera nazionale libica. Ecco perché Haftar assedia Tripoli e le milizie che sostengono Haftar non vogliono mollare. La questione è tutta lì.

Stati Uniti-Iran: “Dobbiamo preoccuparci tutti”

8 gennaio 2020

Truppe USA in Iraq
Truppe USA in Iraq

L’escalation della tensione in Medio Oriente tra Stati Uniti e Iran ha avuto un altro picco la notte scorsa, quando l’Iran ha risposto all’uccisione da parte degli Stati Uniti nel generale iraniano Qassem Soleimani a Bagdad la settimana scorsa con una pioggia di missili verso la base USA di Ayn al-Asad, in Iraq.

Cosa significano questi ultimi sviluppi e cosa dobbiamo aspettarci? Ne abbiamo parlato con Farid Adly, giornalista e direttore di ANBAMED. L’intervista di di Serena Tarabini a Fino alle 8.

Quanto ci dobbiamo preoccupare di questa ultima notizia?

Io penso che ci dobbiamo preoccupare molto tutti, non solo le diplomazie, ma anche i popoli per questa escalation tra Stati Uniti e Iran. In base alle ultime notizie sembra che questo attacco abbia avuto delle vittime americane.
Il messaggio che il Ministro degli Esteri americano aveva fatto pervenire tramite l’ambasciatore svizzero, rappresentante degli interessi americani a Teheran, al governo iraniano è che l’Iran si deve limitare a una risposta militare. Questa lettera potrebbe indurre all’attesa di una situazione di calma che gli americani assorbano la risposta militare iraniana e non rispondano aumentando ulteriormente l’escalation. Non credo però che sarà così dal momento che l’obiettivo è stato una base militare americana in Iraq.
Devo sottolineare che queste non sono basi esclusivamente americani, ma sono basi miste in cui si trovano anche soldati iracheni. Tra le vittime potrebbero quindi esserci anche dei cittadini e soldati iracheni. Credo che lo sviluppo di questa situazione possa ancora continuare in una tensione sempre più alta. Un segnale preoccupante è l’avviso da parte del Pentagono alle compagnie aeree statunitensi di limitare i voli nella zona del Medio Oriente. Dall’altra parte c’è una minaccia da parte dei Guardiani della Rivoluzione, che non sono lo stato iraniano ma una struttura che fa parte del sistema politico militare dell’Iran, che minacciano Israele e i Paesi Arabi del Golfo – hanno citato Dubai e Qatar – in caso di un’ulteriore risposta americana, ma non si esclude che colpiscano anche in Arabia Saudita.
La cosa che sembra destare preoccupazione è il fatto che in Iran ci sia stato questo disastro aereo che per il momento le autorità iraniane si sono affrettate a legare ad un guasto aereo. Alcuni giornali della zona del Golfo ritengono invece che sia stato un attentato terroristico o un colpo missilistico. E adesso vedo su Al Arabiya un banner che parla di scosse vicino a due centrali nucleari iraniane, un aspetto che preoccupa molto.

Le autorità irachene hanno rilasciato qualche commento o dichiarazione su questo attacco?

Finora il governo iracheno non ha espresso posizioni nonostante siano passate più di sei ore dalla pioggia di missili balistici su queste basi militari in territorio iracheno. Sicuramente il governo iracheno si trova tra due fuochi: da una parte l’uso del suo territorio da parte degli Stati Uniti e il rifiuto di non adeguarsi alle leggi dello Stato iracheno e dall’altra questa invasione di campo iraniana nella politica irachena e nell’incursione militare sul territorio iracheno. È una guerra tra Iran e Stati Uniti che si sta consumando su territorio iracheno.
Il governo iracheno è in una posizione difficilissima anche dal punto di vista politico, si tratta di un governo dimissionario che non ha neanche la capacità di prendere delle decisioni.
L’altra questione preoccupante è che gli Stati Uniti nei giorni scorsi avevano estratto dei missili balistici dalle loro basi verso l’Iran, ma nulla è stato fatto per intercettarli. Questa è una delle domande che si pongono molti osservatori e giornalisti dell’area.

E cosa significa il temporeggiare degli Stati Uniti? È strategico o un segnale di incertezza?

Questo temporeggiare vuol dire rendere la tensione massima nella regione. Ricordiamoci che tutta questa tensione è causata da una parte dalle risorse energetiche che ci sono nella regione, ma dall’altra parte si tratta di una regione tra le prime per importazioni di armi. Tutta l’industria americana, occidentale, russa e cinese vive sull’esportazione verso il Medio Oriente, che consuma il 58% delle esportazioni mondiali di armi. È una fonte di ricchezza per l’industria degli armamenti che andrebbe a scontrarsi con la possibilità di una stabilizzazione della regione e una possibile convivenza tra i popoli.

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    Sono più di un abitante su dieci della Lombardia, lavorano, pagano le tasse, hanno figli che vanno a scuola ma restano ai piani bassi dell’ascensore sociale. È il ritratto degli stranieri nella nostra regione, fotografato dal dossier immigrazione che è stato presentato oggi. Rispetto a un anno fa sono aumentati del 2,3%, la meta preferita Milano e il suo hinterland. Del milione e 200mila stranieri, poco meno di un milione ha il permesso di soggiorno, circa la metà di lungo periodo. “Questo nonostante le difficoltà nell’ottenerlo”, dice Maurizio Bove, presidente di Anolf Lombardia, una delle realtà che ha elaborato il rapporto, che chiede una netta revisione delle norme per la regolarizzazione dei migranti.

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    1) Israele, la diffusione del video delle torture nel carcere di Sde Teiman non è il problema. Gli abusi e l’impunità lo sono. (Daniel Solomon - physicians for human rights) 2) New York al voto. Trump minaccia gli elettori che devono scegliere il prossimo sindaco della città, in un’elezione che potrebbe rimodellare il partito democratico. (Roberto Festa) 3) E’ morto Dick Cheney. Il potente vice presidente americano artefice della guerra al terrore che plasmò gli stati uniti contemporanei. (Martino Mazzonis) 4) Francia, la battaglia contro il fast fashion è persa prima ancora di iniziare. A Parigi apre il primo negozio fisico di Shein, il colosso cinese noto per il pesante impatto ambientale e le vergognose condizioni dei lavoratori. (Francesco Girgini) 5) Spagna, la riconciliazione con il Messico passa dall’arte e dalla cultura. Madrid non ha ancora chiesto scusa per il periodo coloniale ma con una mostra e l’assegnazione del premio Cervantes prova a ricucire lo strappo. (Giulio Maria Piantedosi) 6) Belem 2025, ultima chiamata. Diario dalla Cop30: la flotilla dei popoli indigeni partita dal messico in viaggio verso il Brasile. (Alice Franchi) 7) Rubrica Sportiva. Il ritiro di Bopanna, il grande veterano del tennis mondiale. (Luca Parena)

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