
La decisione dell’amministrazione sarebbe “un colpo immediato e irreparabile” per Harvard. Con questa motivazione una giudice federale di Boston ha bloccato l’ordine dell’amministrazione Trump, che vuole impedire alla più antica università americana di accettare le iscrizioni degli studenti stranieri. Gli stranieri sono stati il 27 per cento di chi ha studiato a Harvard quest’anno, circa 6800 persone, cancellare questa fetta di popolazione studentesca sarebbe per l’università un danno enorme: da un punto di vista finanziario, in termini di tasse universitarie, ma anche accademico, per il patrimonio di sapere che gli studenti stranieri offrono. Si conclude quindi a favore di Harvard il primo round dello scontro legale, innescato dal rifiuto dell’università di piegarsi alle richieste del governo, che chiede di intervenire su assunzioni, ammissioni, curricula di studio. Formalmente, la decisione dell’amministrazione di bloccare le iscrizioni si basa su un’accusa. Harvard non avrebbe consegnato al governo i dati sugli studenti stranieri, sulle manifestazioni tenute all’interno del campus negli ultimi 5 anni, su eventuali provvedimenti disciplinari nei confronti degli stranieri. Harvard dice di averlo fatto, rendendo noti i dati di quasi 7000 studenti entro il 30 aprile. Si apre a questo punto una battaglia legale che sarà lunga, e che coinvolge altre università. Nelle scorse ore, l’amministrazione Trump ha accusato Columbia University di violare i diritti vicili dei suoi studenti, in particolare quelli ebrei, che non sarebbero stati protetti contro l’antisemitismo. In gioco in questo scontro – forse il più importante, decisivo, tra quelli esplosi con l’arrivo al potere di Donald Trump – c’è l’indipendenza delle università. In gioco c’è la libertà intellettuale. In gioco c’è il futuro stesso dell’America come democrazia aperta.