
La protesta di ieri pomeriggio a Columbia University è una ripresa, improvvisa ma non inaspettata, delle manifestazioni contro la guerra a Gaza nell’università che, nella primavera 2024, è stata il centro più partecipato e turbolento di quelle proteste. Ho assistito all’occupazione di ieri dall’esterno della Butler Library, la più grande tra le biblioteche di Columbia, dove appunto gli studenti hanno fatto irruzione. Della protesta sono stato avvertito da una mail del gruppo che l’ha organizzato, il Columbia University Apartheid Divest. Dopo una fase, quella immediatamente successiva alle proteste dell’anno scorso, in cui l’entrata nel campus di Columbia era stato limitato – si entrava solo con carta universitaria e autorizzazione – ora l’entrata è libera. O meglio, lo era fino a ieri, visto che oggi, in seguito alla protesta, hanno di nuovo limitato gli accessi. Comunque, l’occupazione è iniziata intorno alle tre e mezza del pomeriggio. Un centinaio di studenti, non di più, si sono trovati fuori dall’entrata della biblioteca. Urlavano slogan – il più gettonato, Free Palestine – molti portavano sul viso una kefia. A un certo punto, si sono diretti in massa verso l’entrata della Butler. Superando timide resistenze, sono entrati. Li ho visti riuscire, scortati dalla polizia e in stato di arresto, circa un’ora dopo. Quello che è successo dentro è quindi possibile ricostruire attraverso le versioni incrociate di studenti che protestavano, autorità universitarie, polizia. Gli studenti avrebbero occupato un’aula della biblioteca, danneggiando però, soprattutto con graffiti e scritte, le pareti della reading room. La presidente ad interim dell’università dice di aver trattato con gli studenti, perché questi, scortati dalla sicurezza del campus, abbandonassero l’aula. Di fronte al rifiuto, ha chiamato la polizia di New York che, dopo una richiesta di identificazione cui molti studenti non hanno aderito, ha arrestato circa 80 persone. Gli studenti dicono di non aver voluto dare i loro nomi in segno di protesta contro la militarizzazione dell’università, e di aver subito atti di forza da parte degli agenti. In definitiva, non è successo molto, e il clamore che questa protesta ha suscitato deriva piuttosto dalla situazione di estrema tensione creata dall’amministrazione Trump. Le università sono prese di mira dal governo federale, che le accusa di antisemitismo. Accusa che, secondo i critici dell’amministrazione, nasconde il vero obiettivo: entrare nella governance delle università, assoggettarle al loro potere. Soprattutto Columbia University – insieme a Harvard – è al centro dello scontro. Le autorità universitarie si sono piegate a parte delle richieste di Trump – una commissione che vagli cosa si insegna, la polizia universitaria che può fermare e arrestare gli studenti. La decisione ha scatenato la furia di professori e studenti, cui non è piaciuto l’atteggiamento di soggezione nei confronti del governo. Che tiene comunque Columbia e la sua dirigenza sotto controllo stretto. Insomma, una situazione di forte tensione, che spiega la risonanza che ha avuto la protesta di ieri, che non mi sembra comunque possa preludere a una ripresa di attivismo universitario sulla guerra a Gaza. Le autorità universitarie sono molto meno propense a lasciare mano libera. Molti studenti, soprattutto quelli stranieri, sono preoccupati per la possibilità di essere espulsi dal paese, in caso di partecipazione alle proteste. La repressione governativa, almeno per il momento, ha dato risultati, ha creato un clima di terrore nelle università, inibendo la protesta. Per concludere, un paio di battute che ho raccolto tra gli studenti. Un ragazzo mi ha detto che, tra Joe Biden e Trump, non c’è alcuna differenza in tema di appoggio a Israele. Trump lo fa solo più sfacciatamente. A un altro ho chiesto come vede il futuro del movimento studentesco che si è battuto contro la guerra. Mi ha risposto. Lo vedo lavorare con il movimento per i diritti dei migranti.