
Il sito sessista Phica.eu ha chiuso e rimosso i contenuti, dopo le denunce arrivate da donne della politica e dello spettacolo, per la diffusione senza autorizzazione di loro immagini. Così come per l’altro gruppo facebook Mia Moglie, sono in corso le indagini della polizia postale. Sul sito centinaia di migliaia di uomini diffondevano, spesso anche con fotomontaggi, foto o immagini sia di personaggi pubblici, sia di sconosciute, per farne commenti in chiave sessuale che spesso sfociavano nell’invito alla violenza. “E’ una forma di esercizio di potere che poco c’entra col sesso. E non può finire solo con la chiusura di questi siti, che continueranno a rinascere finché non si affronta il vero nodo: perché a molti uomini piaccia esercitare questa forma di potere” dice a Radio Popolare il filosofo femminista e scrittore Lorenzo Gasparrini
L’esistenza di questi siti non è un fenomeno recente, lo sappiamo anche dai loro stessi comunicati quando decidono di chiudere o di sparire. Esistono da molti anni. Il salto di qualità però è all’interno di loro stessi: sta nel riuscire a vedere, quando possibile prima che scompaiano, quanto siano ramificati. Persone che, semplicemente nello scambio di immagini, godono del potere che hanno su un’altra persona. Perché di questo si tratta: il senso c’entra pochissimo.
E poi ci sono quelli che radicalizzano questo atteggiamento di potere, esacerbando i contenuti verbali, costruendo immaginari di violenza e di sessualizzazione spinta. Ovviamente lì c’è un salto di qualità, quando arrivano addirittura a minacciare violenze, chiedere numeri di telefono, indirizzi. Ma è sempre parte di uno stesso sviluppo: un potere sull’altra persona che passa di livello in livello. Purtroppo, come sappiamo anche dalla cronaca.
Ecco, qui non parliamo – se non in alcuni casi – di reati o di foto rubate, ma dell’utilizzo spesso di materiale pubblico. E questo, da un certo punto di vista, spaventa ancora di più: la normalizzazione da parte di chi diffonde queste foto, le mette sulla pubblica piazza per stimolare una serie di commenti.
Esatto. Il fatto che l’immagine sia stata diffusa magari dalla stessa persona che ne è proprietaria non autorizza nessuno a farne ciò che vuole. Lo dice chiaramente anche la legge. Eppure il senso comune va in un’altra direzione: molte persone, anzi la maggioranza di quelle che frequentano questi siti, si chiedono “Ma questa foto era pubblica? Se io la metto qui e la commento, è reato? È violenza?”.
C’è questo senso comune per cui, se diffondo la mia immagine, allora sto dando automaticamente il permesso a chiunque di farne ciò che vuole. Non è così. Non è mai stato così, e non sarà mai così per nessun atto pubblico. Pensa, per esempio, alle parole: non è che siccome rilascio un’intervista e questa esce sul giornale, chiunque può prendere una frase, decontestualizzarla e darle il senso che vuole. Può farlo, certo, ma non significa che sia giusto o che abbia ragione.
Dovrebbe esserci non solo legge e regolamenti, ma anche un senso comune migliore, un senso di responsabilità verso ciò che viene affidato al pubblico. E questo, evidentemente, manca. Manca soprattutto quando si tratta del corpo di una donna.
C’è sicuramente una maggiore sensibilità nel denunciare da parte delle donne. Non sembra esserci lo stesso salto di sensibilità da parte degli uomini.
E questa è purtroppo la prova che in ballo c’è il potere. Molti uomini si sentono defraudati di qualcosa quando una donna denuncia, quando un movimento di opinione dice: “Questa roba non si fa, è violenza, è scorretta, è discriminante”. Molti uomini si sentono privati di un diritto, derubati di qualcosa che prima potevano fare o che non capiscono perché oggi non si possa più fare.
Ma reclamare un diritto non significa togliere qualcosa a qualcun altro: significa, semplicemente, reclamare ciò che spetta. Significa riconoscere che, nel nostro modo comune di costruire relazioni, c’era – anche se non espressa – una gerarchia di potere: qualcuno può fare qualcosa a un altro genere, e quell’altro genere non può reagire. Questo è il nodo. E non basta chiudere un sito, fare una denuncia, pensare che finisca lì. Il web è infinito: chiuso un sito, se ne aprono altri due. Il problema non si risolve chiudendo i siti, ma portando alla luce qual è il vero nodo. Perché a moltissimi uomini piace ancora questa disparità di potere, e non vogliono rinunciarvi?
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