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“Un piatto di pane ogni due giorni”

Ad Aleppo la guerra va avanti da diversi anni. I bombardamenti del regime con i barili bomba hanno raso al suolo interi quartieri. E anche nelle zone sotto il controllo del governo i colpi di mortaio sparati dai ribelli hanno fatto molte vittime civili. Adesso la battaglia per Aleppo sembra essere arrivata a un passaggio decisivo. Grazie al supporto dell’aviazione russa il regime è riuscito a chiudere la parte orientale della città, quella rimasta sotto i gruppi ribelli. Anche la Strada del Castello, che porta verso il confine turco, è ormai nelle mani dei soldati di Assad.

Aleppo sta quindi vivendo quello che hanno già vissuto diverse altre città siriane. La popolazione civile è intrappolata, e anche volendo non può più scappare. A sorpresa la Russia ha fatto sapere di aver aperto quattro corridoi umanitari, che però al momento sembrano impraticabili. Le Nazioni Unite hanno chiesto a Mosca di poter gestire queste vie di comunicazione. Difficile che la risposta sia positiva.

Un giovane attivista siriano racconta a Radio Popolare cosa voglia dire vivere nei quartieri di Aleppo rimasti sotto assedio da parte del regime.

Qual è la situazione umanitaria ad Aleppo?

“La zona orientale di Aleppo è ormai sotto assedio da venti giorni. Qui ci sono i gruppi ribelli, prevalentemente i gruppi ribelli che si rifanno all’Esercito Libero Siriano. Fuori ci sono invece le truppe del regime. In cielo l’aviazione russa e gli elicotteri dell’esercito di Assad. Non arriva più cibo. Non c’è quasi più corrente elettrica. La situazione è sempre più critica. I civili mangiano ormai ogni due giorni. Ogni due giorni abbiamo una razione di pane. Sei o sette pezzi di pane. Le panetterie sono chiuse, i negozi ancora aperti sono vuoti, la gente li aveva presi d’assalto all’inizio dell’assedio, e ora sta cercando di razionare le scorte. Insomma in città non si trova più nulla”.

È vero che i corridoi umanitari sono impraticabili?

“La popolazione di Aleppo è ormai abituata, la guerra va avanti da diversi anni. Ma quando giovedì è arrivata la notizia dei corridoi umanitari molte persone si sono raggruppate dove avrebbero dovuto partire questi corridoi umanitari. Quello più vicino a dove mi trovo io è stato colpito, una persona è morta e altre due sono rimaste ferite. A quel punto la gente è tornata indietro. È scappata nuovamente a casa. E ieri si è ripetuta una scena simile. Ma questa volta l’Esercito Libero Siriano ha impedito che la gente si mettesse in cammino su quelle strade. Non per tenerli qui come scrivono in molti, ma per evitare che venissero uccisi. In effetti gli elicotteri e i caccia continuano a volare sopra le nostre teste, come sempre”.

Quindi la zona orientale di Aleppo è completamente sigillata ed è impossibile muoversi, giusto?

“All’inizio dell’assedio era ancora possibile uscire e rientrare, viaggiando di notte, con una moto. Era possibile portare dentro del cibo. Ma adesso è impossibile. Non si muove più nessuno. Il regime ha chiuso tutto. Anche la nostra storica via d’uscita verso nord, verso il confine turco, la strada del Castello. Per uscire bisognerebbe usare i corridoi umanitari di cui parlavamo prima. Il regime dice che alcune persone sono passate dall’altra parte, grazie all’aiuto della Croce Rossa Siriana. Notizia, per quanto ho capito io, che la stessa Croce Rossa ha negato. Quelle strade non sono sicure”.

Assad ha promesso l’amnistia per i ribelli di Aleppo che si arrenderanno. Cosa dicono in queste ore i miliziani?

“Ho parlato con diversi comandanti dell’Esercito Libero Siriano. Dicono che staranno qui e continueranno a combattere. Prima che cominciasse l’assedio diversi miliziani erano scappati, ma molti altri sono rimasti e in queste ore ripetono che non lasceranno mai le loro posizioni. Questa è la loro terra, qui ci sono le loro famiglie, i loro bambini. Per questo dicono che cercheranno di fermare in tutti i modi l’avanzata del regime. E gli credo. La guerra andrà avanti fino alla fine”.

Anche tu rimarrai ad Aleppo?

“Certo, anche io rimarrò qui. Anche se dovessero arrivare i soldati di Assad. La mia famiglia è al sicuro fuori Aleppo. Io rimarrò qua con i miei due fratelli”.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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