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Si muore in mare, ma niente corridoi umanitari

Negli ultimi due anni e mezzo, dall’inizio del 2014, sarebbero morti nel Mediterraneo più di 10mila migranti. La stima è dell’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr), secondo la quale negli ultimi mesi le vittime sono in continuo aumento. Dallo scorso gennaio ci sarebbero stati più di 2800 morti. Nel 2015 erano stati 3770, nel 2014 3500.

Si torna a morire soprattutto nel Canale di Sicilia, che nel 2016 torna con prepotenza la prima rotta migratoria verso l’Europa. Le cifre dell’Unhcr sono sostanzialmente confermate dall’Organizzazione mondiale delle migrazioni. Solo nei primi sei mesi dell’anno segnalano nel Mediterraneo oltre 2800 decessi di migranti in mare. Almeno mille in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Dopo uno degli ultimi naufragi, venerdì 4 giugno vicino a Creta, ci sono ancora 300 dispersi. A bordo di quella imbarcazione, stando ai racconti dei superstiti, c’erano molte donne e molti bambini. Da gennaio sarebbero arrivati in Europa 206mila migranti, passando quasi sempre da Grecia e Italia.

A fronte di questi numeri, le Nazioni Unite hanno lanciato il solito appello ai governi, affinché trovino misure per rendere sicuri e legali i flussi migratori. Infatti non si può imputare l’aumento del numero di chi muore nel Mediterraneo alla mancanza di missioni di salvataggio. Mai ci sono state in mare, come oggi, due missioni europee (Eunavfor Med e Triton) in contemporanea a cui si aggiungono diverse missioni umanitarie private (come Sos Mediterranée, due di Medici senza frontiere, Moas, Seawatch) e la missione di pattugliamento delle stazioni petrolifere italiane Mare Sicuro. Ma, appunto, solo i corridoi umanitari eviterebbero tante partenze dalle coste (soprattutto libiche). Ma non sembra che a Bruxelles si voglia affrontare l’argomento.

La preoccupazione, piuttosto, è quella di “esternalizzare” le frontiere, quindi, in sostanza, fare in modo che i migranti si fermino in quelli che oggi sono i Paesi di transito. Il contesto in cui si sviluppa quest’operazione a trazione Commissione europea è il cosiddetto Processo di Khartoum, un fitto lavorio diplomatico cominciato a Roma nel 2014. Da lì sono nate altre iniziative: il Summit sull’immigrazione Europa-Africa che si è tenuto a Malta nel novembre 2015 e il negoziato Europa-Turchia per fermare gli arrivi in Grecia. All’inizio a Bruxelles i funzionari della Commissione speravano che fosse sufficiente bloccare la rotta balcanica per tamponare l’emergenza. E così si è spinto perché Ankara firmasse il negoziato. Qualche effetto si è visto: da quando è entrato in vigore – a marzo – sarebbero arrivate sulle cose greche meno di 10mila persone. Lasciare la Siria, ormai, è sempre più difficile, molti non ci provano più, molti altri faticano ad appoggiarsi alla rete dei trafficanti turca.

Ma il fenomeno non è solo siriano. Già sulla rotta balcanica c’erano anche iracheni, afghani, curdi. Secondo l’Istituto Internazionale per gli Studi Strategici negli ultimi tre anni il numero dei profughi provocati dalle guerre, soprattutto in Medio Oriente e in Africa, è cresciuto del 40%. E poi ci sono i rifugiati economici, che scappano dalla miseria. Dopo aver ignorato i flussi dall’Africa lo scorso anno, in concomitanza con gli aumenti di arrivi in Grecia, ora Bruxelles è costretta a tornare ed occuparsi della sponda sud del Mediterraneo.

Le persone che in queste settimane arrivano o tentano di arrivare in Italia sono partiti infatti dall’Africa Subsahariana o dall’Africa Orientale. Per questo l’Europa ha lanciato un meccanismo economico con il quale finanziare progetti di cooperazione in cambio di uno sforzo per fermare i migranti africani. Lo strumento finanziario preposto per lo scopo è stato individuato in un primo tempo nell’Africa Trust Fund, in tutto 1,8 miliardi di euro (di cui oggi sono stati finanziati solo 82 milioni), poi rivisto al rialzo con il Migration compact, promosso in sede europea dall’Italia, che dovrebbe raggiungere, anche con il contributi di fondi privati, 60 miliardi di euro in cinque anni.

L’ultimo strumento economico per “aiutare i migranti a casa loro” si chiama Migration Partnership Framework. Lanciato oggi a Bruxelles, conta sulla collaborazione pubblico-privato. Il contributo di Bruxelles sarà al massimo di 8 miliardi per i prossimi cinque anni. Le cifre sono certamente importanti, ma al momento solo virtuali. Per altro resta ancora difficile da comprendere come dei progetti di cooperazione aperti al privato possano rendere la vita dei potenziali migranti migliore.

  • Autore articolo
    Lorenzo Bagnoli
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    La nave solidale colpita da droni prima della partenza per Gaza

    Il 2 marzo il governo israeliano ordinava il blocco totale dell’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Oggi, esattamente due mesi dopo, il blocco è ancora in essere e da due mesi nella Striscia non entra niente: né cibo, né acqua, né medicinali, né carburante. La situazione peggiora giorno dopo giorno, le scorte sono ormai esaurite e la fame sta dilagando. In questo contesto di blocco totale, il più lungo che Gaza abbia mai sperimentato, dove morire di fame non è più solo un modo di dire, le ong e le organizzazioni umanitarie cercano di sopperire alle colpevoli mancanze dei governi. È in quest’ottica che la nave della Freedom Flotilla Coalition, si stava preparando a partire per Gaza carica di aiuti umanitari, con l’obiettivo di rompere l’assedio. Questa notte, però, la nave è stata colpita da due droni, che hanno fatto scoppiare un incendio e ne hanno ovviamente impedito la partenza. Abbiamo raggiunto a Malta Simone Zambrin, attivista di Freedom Flotilla, che si sarebbe dovuto imbarcare oggi per andare verso Gaza.

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    Il Comitato Sì Meazza presenta un esposto alla Corte dei conti contro il nuovo stadio

    Non è arrivata nessuna proposta alternativa. Quella presentata da Inter e Milan è rimasta l’unica offerta per l’acquisto dello stadio di San Siro e delle aree vicine al “Meazza”. Il Comune di Milano lo ha comunicato, alla mezzanotte del 30 aprile, alla scadenza dell’avviso pubblico per la raccolta di manifestazioni d’interesse. Un esito prevedibile, dal momento che la finestra è rimasta aperta per poche settimane. Ora proseguiranno i lavori della Conferenza dei servizi, già iniziati quando potevano arrivare anche altre proposte. Il fronte di chi si oppone ai piani dei due club e a come la giunta comunale sta gestendo la vicenda tenta ancora di interrompere il percorso avviato. Oggi il comitato Sì Meazza, dopo aver già fatto un esposto alla Procura, ha inviato alla Corte dei conti una segnalazione perché indaghi per danno erariale, chiamando in causa il Comune. Luigi Corbani del comitato Sì Meazza spiega perché ha depositato questa segnalazione.

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    1) Gaza senza cibo da due mesi. Il blocco israeliano agli aiuti continua indisturbato mentre la fame dilaga tra la popolazione. Nella notte colpita con droni la nave della Freedom Flotilla, che voleva portare aiuti nella striscia. (Sami Abu Omar, Simone Zambrin - Freedom Flotilla) 2) Guerra in Ucraina. Secondo le Nazioni Unite la situazione lungo il fronte è peggiorata da quando sono iniziati i negoziati per il cessate il fuoco. In esteri la testimonianza da Sumy. 3) Germania, i servizi segreti classificano Afd come partito estremista. I leader del partito rispondono: azione politica, ci difenderemo. (Alessandro Ricci) 4) L’effetto Trump sulle elezioni nel pacifico. Domani Australia e Singapore al voto. In entrambi i casi i dazi americani hanno ribaltato i sondaggi. (Lorenzo Lamperti) 5) Mondialità. La partita sul clima si gioca tra Usa e Cina. (Alfredo Somoza)

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