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Sciiti-sunniti: un conflitto secolare

Stefano Allievi, sociologo ed esperto di islam, commenta la crisi tra Riad e Teheran. Parte dal conflitto tra sciiti e sunniti.

“Il conflitto tra sciiti e sunniti è storico. Nasce alla fine della vita di Maometto ed è incardinato sull’idea di successione, su chi ha diritto ad essere il Califfo, ovvero il sostituto di Dio al posto di Maometto, che allora era  il Comandante dei credenti oltre che il leader religioso. Il problema è che questo conflitto – che oggi si chiama settario – viene utilizzato come un potente strumento ideologico. Per secoli non lo è stato – le popolazioni sciite e sunnite hanno vissuto una accanto all’altra senza problemi – poi questo strumento molto efficace è stato ‘ripescato’ dai sauditi e dagli iraniani e utilizzato per mobilitare i due Paesi attorno ai due regimi”.

Lei punta il dito soprattutto verso l’Arabia Saudita…

“I due regimi hanno dei grossi problemi al loro interno,  soprattutto quello di Riad. La mobilitazione sulla questione religiosa contro un nemico religioso aiuta a tenere in piedi una monarchia traballante, senza legittimazione e con qualche problema economico. C’è da dire che i conflitti intrareligiosi sono sempre stati quelli più sanguinosi. Siamo di fronte a un paradosso: parliamo da tempo di conflitto tra islam e Occidente, ma in realtà il conflitto più profondo è all’interno dell’islam, tra sauditi e iraniani”.

Può diventare un conflitto armato aperto tra i due Paesi?

“Mi sembra difficile. Per una ragione. Tra i due paesi chi è in grado di schierare un vero e proprio esercito è l’Iran. L’Arabia Saudita ha un mucchio di armi, ma non un esercito potente come quello iraniano. È un bene comunque che i due Paesi non siano confinanti. Andranno avanti le guerre per procura tra i due Stati. Come in Bahrein, dove i sauditi sostengono un governo sunnita a fronte di una popolazione a maggioranza sciita. C’è poi la guerra del petrolio che va avanti tra Riad e Teheran. I due Paesi si rubano quote di mercato in un momento in cui il prezzo del greggio è in ribasso”.

Quali sono i problemi interni all’Arabia Saudita ?

“Il regime ha un deficit di legittimazione interna molto forte. E poi è delegittimata nell’intero mondo sunnita. La monarchia saudita si definisce la custode dei luoghi santi, di Medina e della Mecca, però noi sappiamo delle polemiche che ci sono state per la gestione dei pellegrinaggi. Solo qualche settimana fa c’è stata una vera e propria strage, con quasi 2.500 morti. Quella credibilità che aveva negli anni passati in altri paesi sunniti ora non esiste più. È un regime corrotto, accusabile sia da destra sia da sinistra. È alleato degli Stati Uniti, ma è anche un regime reazionario, ultraconservatore. È attaccato sia dai modernisti sia dai fondamentalisti, compreso l’Isis. La dinastia regnante degli al Saud è al tramonto dal punto di vista dell’immagine. È vista come composta da satrapi corrotti, persone che annegano nelle loro ricchezze mentre buona parte della popolazione non gode della stessa fortuna”.

Il regime iraniano è più solido di quello saudita, ma al suo interno persiste la guerra tra conservatori e riformisti…

“Non c’è dubbio che ci sia uno scontro in atto tra chi vuole aprirsi al mondo e chi invece è contrario. Stiamo parlando comunque di due Paesi molto diversi.  L’Iran è un paese avanzato, coltissimo, dove il livello di persone laureate è molto alto, sia tra gli uomini sia tra le donne. Gli iraniani producono cultura, musica, arte. I sauditi vivono sulle spalle altrui. La forza lavoro e intellettuale nel Paese è straniera. Per questo l’Arabia Saudita è più fragile. Non ha la storia, la struttura, la coesione dell’Iran, discendente dell’antico impero persiano. L’Iran è la vera potenza regionale. I sauditi forse hanno più soldi, ma gli iraniani sono più avanti”.

 

 

  • Autore articolo
    Michele Migone
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    Un anno di Trump (dopo i primi quattro dal 2016). Il 6 novembre 2024 il tycoon veniva rieletto alla Casa Bianca con una maggioranza risicata, poco più di 2 milioni di voti su 156 milioni di schede votate. In un anno Trump ha trasformato il declino di una superpotenza - gli Stati Uniti degli ultimi anni - in una forza aggressiva contro paesi e principi che erano stati amici dal dopoguerra ad oggi. Trump e il tramonto della relazione privilegiata americana con l’Europa; Trump e il tramonto delle garanzie democratiche dello stato di diritto. Nel primo anniversario del ritorno di Trump alla Casa Bianca è arrivata l’elezione del sindaco di New York Zohran Mamdani. Ecco un passaggio del suo discorso della vittoria: «la saggezza convenzionale direbbe che sono ben lontano dall’essere il candidato perfetto. Sono giovane, nonostante i miei sforzi per invecchiare. Sono musulmano. Sono un socialista democratico. E, cosa ancora più grave, mi rifiuto di chiedere scusa per tutto questo». Pubblica ha ospitato Ida Dominijanni, giornalista e saggista, fa parte del direttivo del Centro per la Riforma dello Stato. Ha insegnato filosofia politica e teoria femminista all’università di Roma Tre ed è stata ricercatrice alla Cornell University (NY).

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    Alla Cop l'assemblea dei popoli chiede giustizia climatica

    A Belèm in Brasile lunedì si apre la Cop30 per il clima per cercare di tenere insieme la lotta al riscaldamento globale sotto i colpi del negazionismo di Trump e delle guerre; insieme alla Cop nella città amazzonica si riuniscono migliaia di rappresentanti di movimenti e organizzazioni sociali per elaborare proposte sulla crisi climatica, a partire da quelle relative all'Amazzonia e ai popoli che la abitano. Si chiama Cupola dos Povos ovvero "cupola dei Popoli", e non è la prima volta che si riunisce anzi, è una tradizione. Come ci racconta una delle leader del movimento indigeno brasiliano Sila Mesquita Apurina intervistata da Sara Milanese.

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