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S’avanza la meglio gioventù

La meglio gioventù

Guardo in diretta il comizio di Salvini con gli altri nazionalisti, nazional fascisti, sovranisti fino a quelli nazisti tout court, d’Europa, in Piazza Duomo a Milano. Da un palazzo si distende in tutta la sua altezza uno striscione: restiamo umani, e la figura di Zorro che svetta. Quindi la camera inquadra il fronte della contestazione.

Uomini delle forze di polizia schierati con caschi, manganelli e tutto l’ambaradan di rito contro le sommosse. Davanti molte persone, quasi tutte giovani e giovanissime che alzano cartelli casalinghi, a occhio le ragazze la fanno da padrone. Sono a contatto fisico con i marziani corazzati, ma non traspare alcuna paura e arroganza o atteggiamento di sfida, neppure di provocazione o beffardo. No stanno lì e sembrano inamovibili, per convinzione direi gioiosa di essere nel giusto: che Salvini non lo vogliono. Semplice semplice, e il Truce deve masticare amaro.

Il suo pubblico, per quel che vedo, mi pare piuttosto sfrangiato, camminano in qua e in là, chiaccherano col vicino, hanno l’aria disinteressata verso quel che si dice dal palco. Sono scorci e magari da qualche altra parte ci sarà gente attentissima, non so ma sarei scettico. Anche quando si sgola a gridare che vuole abbassare le tasse l’applauso è stantio, dovuto più che entusiasta, mentre grandi bandiere arcobaleno sventolano. Coi cori di scemo scemo e altre invettive in mezzo a salve di fischi crescono fino a coprire la voce dell’aspirante dittatore d’Italia, nè può mancare Bella Ciao e questi ragazzi hanno voci tonanti. Insomma è in atto una sorta di insurrezione sonora che oscura le parole dal palco.

Finisce in un corteo con migliaia di persone, a ribadire che della politica fascioleghista non ne vogliono sapere. La rifiutano e la contrastano. D’altra parte sono almeno tre quattro settimane che la presenza di Salvini in piazza non incontra il favore delle genti, trovandosi a fronteggiare una contestazione di piazza ampia e fantasiosa. Ci sono gli striscioni appesi alle finestre contro cui le incursioni della digos, a volte con l’ausilio dei pompieri, ben poco hanno potuto, ottenendo anzi l’effetto opposto di moltiplicarli gli striscioni, Milano ne era interamente pavesata. Quindi i fischi e i cori, dai più semplici come “scemo, scemo” fino a “siamo tutti antifascisti” e ai canti partigiani e di lotta, “bella ciao” su tutti. E le beffe a colpi di selfie, video e telefonini dove ancora una volta la digos, che troppo spesso si atteggia a guardia pretoriana violando leggi, diritti, regolamenti, rimane con un palmo di naso. Per arrivare a disdire un comizio pubblico a Napoli perchè proprio non era aria, rintanandosi in Prefettura, e anche lì hanno cercato di stanarlo.

Protagonisti di questa contestazione al capo della Lega, nonchè ministro degli interni e uomo forte del governo aspirante al potere totale, sono sia singoli/e cittadini/e che espongono le loro critiche en plein air, che moltissimi giovani, una intera nuova generazione che sembra essersi presa il campo di gioco. E’ un fatto nuovo, e decisivo. A chi è vecchio come me ricordano i giovani dalle magliette a strisce che invasero piazze e strade durante quel sussulto democratico (Togliatti dixit) che furono i moti del Luglio ’60 per cacciare i fascisti dell’MSI (Almirante e soci) da un possibile governo guidato dal democristiano di destra Tambroni. In modo meno drammatico per fortuna, che allora la polizia sparò uccidendo ben undici persone da Licata a Reggio Emilia. Moltissimi furono i feriti.

Questa presenza di ragazze e giovani se non giovanissimi in piazza contro il truce indica, credo, l’esistenza nel corpo sociale di sommovimenti portatori di una intelligenza critica e di una dimensione ribelle allo status quo reazionario che sembrava inamovibile, e di cui il governo nazional socialista Salvini-Di Maio è espressione coerente. Un governo con un cuore di tenebra, un patto del diavolo dove si scambiano i diritti umani coi diritti sociali. Ovvero tu permetti a me Salvini di lasciare affogare i migranti, di privarli di ogni protezione umanitaria, di perseguitarli in lungo e in largo, di emanare un decreto sicurezza non molto lontano dalle leggi razziali di fascista memoria, e io permetto a te Di Maio di promulgare il reddito di cittadinanza. Vorrei far notare che questo è anche il cuore dell’azione di CasaPound nelle periferie romane: scacciamo i rom, terrorizziamoli con le minacce di stupro, e intanto gridiamo che vogliamo la casa agli italiani, come è accaduto a Torre Maura e a Casal Bruciato. Aggiungo che questa mobilitazione antifascista della meglio gioventù si mescola a quella sul tema del cambiamento climatico e la crisi ambientale. I due aspetti, diritti umani civili politici e lotta contro il riscaldamento globale si tengono come due facce della stessa medaglia. In entrambe spiccano i/le ragazzi/e, addirittura adolescenti.

Intanto da queste manifestazioni di ostilità emerge anche la paura di Salvini. Già l’uomo che si atteggia a duce della nazione, o almeno ducetto, dimostra giorno dopo giorno di non reggere il confronto serrato con chi lo contesta, in piazza ma anche in TV quando Lilli Gruber quasi lo mette alla berlina, in un comizio ma anche dai microfoni di una radio.  Che non fosse un cuor di leone si era capito quando, messo sotto accusa, dopo roboanti proclami sventolando con disprezzo in un video l’avviso di garanzia, il tronfio fifone ha preferito scansare il giudizio della magistratura rifugiandosi nell’immunità parlamentare, col voto benevolo degli eletti del M5S.

Ovviamente la paura non lo rende meno pericoloso, anzi lo inferocisce. Deve rilanciare se vuole restare in sella. Da qui la proposta di un secondo decreto sicurezza, sorta di tavole dell’ignominia illiberale e antidemocratica quant’altre mai nel nostro paese, contro cui l’ONU ha preso una posizione durissima perchè costituisce una violazione palese dei diritti umani. Per continuare a esercitare il suo potere, egli deve a tutti i costi imporre che il valore supremo, direi suprematista, sia la sicurezza. In nome di questa sicurezza salviniana tutto è permesso, ogni prepotenza e oppressione fino al sequestro di persona praticato verso i marinai e i migranti  della nave militare Diciotti. Intanto se la prende con i media e la stampa, in coppia con Di Maio che tra l’altro vorrebbe mettere a tacere Radio Radicale, si propone di sgomberare i centri sociali, seppure va cauto perchè potrebbe rompersi i denti, e le case occupate, perseguitare e scacciare i poveri dalle città come ben ha visto la Chiesa, infuriata perchè mai si era visto un tale accanimento contro chi non partecipa, volente o nolente, al “benessere”.

In fine. Salvini si sta macchiando di crimini contro l’umanità, l’unico reato che non va mai in prescrizione.  Al di là delle discussioni se stia tornando il fascismo, mi pare che questo basti per srotolare milioni di striscioni, e per votare a favore dell’Europa, che in qualche modo costituisce un baluardo. Un argine.

  • Autore articolo
    Bruno Giorgini
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    Nel cinquantenario della morte di Šostakovič il Teatro alla Scala inaugura la Stagione con il suo capolavoro Una lady Macbeth del distretto di Mcensk, tratto dal racconto di Nikolaj Leskov in cui una giovane sposa con la complicità dell’amante uccide il marito e il tirannico suocero, ma viene scoperta e finisce per suicidarsi in Siberia, tradita da tutti. Dopo il debutto a San Pietroburgo, l’opera, che avrebbe dovuto essere il primo capitolo di una trilogia sulla condizione della donna in Russia, ebbe enorme successo in patria e all’estero. Stalin assistette a una rappresentazione a Mosca nel 1936; due giorni dopo apparve sulla Pravda la celebre stroncatura dal titolo “Caos invece di musica” con cui il regime metteva all’indice l’opera e il compositore. Anni dopo Šostakovič preparò una nuova versione che andò in scena a Mosca nel 1963 con il titolo Katarina Izmajlova, dopo che il sovrintendente Ghiringhelli aveva invano cercato di ottenerne la prima per la Scala. Oggi il Teatro presenta la versione del 1934 con la direzione del M° Chailly e il debutto del regista Vasily Barkhatov. Ascolta Riccardo Chailly nella presentazione dell’opera.

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