Approfondimenti

Il ritorno del nucleare, a Milano la protesta di ciclisti e pedoni, i rimbrotti a Meloni e le altre notizie della giornata

Il racconto della giornata di giovedì 21 settembre 2023 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Nel dibattito politico italiano resta centrale la questione delle migrazioni, su cui oggi è intervenuto il presidente della Repubblica, mentre dalle regioni sono arrivati nuovi segnali di ostilità legati alla gestione del tema da parte del governo e in particolare all’apertura di nuovi Cpr, i centri per il rimpatrio. Intanto dopo le banche e il mondo finanziario, ora anche Confindustria e Corriere della Sera lanciano degli avvertimenti al governo. Il presidente ucraino Volodomyr Zelensky è a Washington. Dopo la sua partecipazione all’Assemblea generale dell’Onu ora l’obiettivo è ottenere più supporto possibile dagli Stati Uniti. Un obiettivo che però va incontro a diversi ostacoli. A Milano la mobilitazione “Basta morti in strada” raccontata in diretta dai nostri inviati: la manifestazione ha bloccato quattro punti della città e poi si è diretta verso Palazzo Marino.

Oggi al Mase si è parlato di riportare il nucleare in Italia

Riportare il nucleare in Italia: è questo l’obiettivo della piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile che si è riunita oggi per la prima volta. L’incontro si è tenuto al Mase, il ministero per l’Ambiente e la Sicurezza energetica ed è stato presieduto dal ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin, che ha presentato la road map: 6 mesi per elaborare le proposte, 9 per le linee guida il percorso finalizzato alla ripresa dell’utilizzo dell’energia nucleare in Italia.
Nessuna incongruenza con le decisioni prese in passato: “si tratta di un superamento del referendum – ha detto Fratin -parliamo di nuove tecnologie sicure e di reattori di quarta generazione per un nucleare sostenibile”. La tecnologia a cui si riferisce Fratin al momento però è ancora allo studio, e i tempi di realizzazione di nuove centrali in Italia sarebbero molto lunghi: si parla di 10, 15 anche 20 anni per poter avere un impianto in grado di produrre energia. Ma i problemi legati al nucleare in Italia sono anche altri.
Sentiamo Nicola Armaroli, dirigente di ricerca del Cnr

Per la scienza dunque le proposte del governo, lo avete sentito, sono solo propaganda. Si tratta di una propaganda però che ha degli obiettivi precisi: rimandare la fine dello sfruttamento dei combustibili fossili, e contemporaneamente bloccare l’uso di energie rinnovabili: l’esecutivo sta infatti rimandando l’approvazione di decreti attuativi che permetterebbero un maggior sfruttamento delle fonti pulite.

Mattarella su migranti e inclusione: “Le regole di Dublino sono preistoria”

(di Anna Bredice)

“Le regole di Dublino sono preistoria”. Sergio Mattarella torna nuovamente a parlare di immigrazione e se qualche giorno fa parlando degli studenti stranieri in Italia ha fatto un appello all’inclusione, proprio mentre il governo annunciava di creare dei centri di detenzione, di fatto, oggi insieme al Presidente tedesco Steinmeier ha voluto lanciare un messaggio soprattutto all’Europa, e alla Germania in particolare, a cui chiede di non voltarsi dall’altra parte in sostanza, perché “il fenomeno migratorio ha una dimensione globale e non può essere affrontato con superficialità e approssimazione. Ci vogliono soluzioni nuove e maggiore coraggio”. Così il Capo dello Stato e sembra fare un riferimento alle scelte del governo italiano, che non guardano molto al futuro, ma a bloccare invece, a chiudere nei centri i migranti. Il ministro Piantedosi oggi ha detto che il 50 per cento dei migranti che è stato nei centri è stato rimpatriato. Ma le nuove strutture stanno facendo litigare già i governatori, di destra e di sinistra, accomunati dal fatto che nessuno vuole le proteste della popolazione in strada contro i centri. I presidenti che appartengono all’attuale maggioranza e che non possono sbattere la porta in faccia a Giorgia Meloni, si appellano ad una necessaria collaborazione con le regioni che al momento però non risulta scritta da nessuna parte. Affidare la costruzione dei centri all’esercito, vuol dire uscire dal campo di una semplice trattativa governo enti locali. Oggi Piantedosi ha incontrato il presidente di centrodestra del Molise, eletto da poco. “Qualora verranno costruiti nel Molise, il governo sentirà la regione”, ha assicurato il presidente, ma sembra più un auspicio che una certezza. Sono dodici le regioni senza un centro per il rimpatrio, tra queste l’Emilia Romagna, la Toscana, l’Abruzzo e il Molise. Domani il ministro dell’Interno incontrerà Bonaccini per discutere di immigrazione e quindi di un possibile nuovo Cpr.

Altri rimbrotti per il governo Meloni

(di Claudio Jampaglia)

Per prime l’associazione banche italiane e niente meno che la Bce hanno rappresentato il loro disappunto per la legge sugli extraprofitti, poi è arrivato il Financial Times e il fuoco di fila degli analisti sulle stime di crescita e il ritorno dello spread, ora che il governo annuncia di riformare i crediti inesigibili delle banche e il mercato dei capitali il mondo finanziario non si fida più. E anche un uomo parco di parole – e di azioni – come Giorgetti si spinge a dire “ho paura dei mercati”. Le voci di complotto del sistema finanziario cominciano a girare. Il fortino del vittimismo si sta organizzando: i poteri forti contro Meloni. Il Foglio li prende in giro da giorni con titoli come “Fine del governo Virna Lisi” o “Vieni avanti decretino”. Ma stamani il rimbrotto è arrivato da due voci più che sensibili a destra: il presidente di Confindustria Bonomi ha fatto sapere che non c’è nessun avvisaglia di rischio per l’Italia o trappola dei mercati, semmai il governo faccia correre i 200 miliardi di Pnrr su cui siete è seduto. Poi è arrivato l’editoriale di Galli della Loggia, si potrebbe dire lo sdoganatore culturale di questa destra postfascista e anche di Giorgia Meloni dipinta letteralmente come di “temperamento”, “intuito”, ”tenace”, “moderna”, “disinvolta”; ora dopo averla già avvertita a luglio che alcuna svolta è venuta nella sua politica, le impartisce una lezione di storia dai paragoni illustri: Mussolini e De Gasperi al loro primo governo chiamarono personaggi liberali e dell’establishment per farsi meglio accettare e dimostrare che il cambiamento sarebbe stato gestito con le élite. Perché Meloni non segue l’esempio? Perché non dà spazio al centro, a chi crede di averle aperto le porte del potere. È il secondo avvertimento dalle colonne del Corriere della Sera, mentre Letizia Moratti fiutata l’aria saluta il Terzo polo, già distoltosi da solo, e torna a rendersi disponibile per spostare un po’ più al centro la destra, dal suo salotto.

Zelensky è a Washington e la sua non è una visita semplice

(di Martina Stefanoni)

Non è una visita semplice quella di Zelensky, che dopo aver incontrato i leader di Camera e Senato è andato al Pentagono, prima del bilaterale con Joe Biden alla Casa Bianca, dove, secondo quanto si apprende, verrà interrogato approfonditamente sulla situazione sul campo. Già poche ore prima del suo arrivo, un gruppo di repubblicani aveva diffuso una lettera con cui si opponeva alla richiesta di ulteriori 24 miliardi di dollari di nuovi fondi per l’Ucraina avanzata dal presidente Joe Biden. Il tema è molto controverso all’interno della politica statunitense, soprattutto in vista delle elezioni del 2024. Zelensky, parlando con i senatori, ha detto: “Se non riceviamo gli aiuti, perderemo la guerra”. Più complicato è stato l’incontro con lo speaker della camera, il repubblicano Kevin McCharty che, ha infatti subito dopo annuciato che non intende mettere in agenda l’approvazione del pacchetto da 24 miliardi di dollari di aiuti all’Ucraina entro la fine dell’anno, come chiesto invece da Joe Biden. “Abbiamo i nostri problemi fiscali di cui occuparci – ha detto McCarthy – Ci sono 10.000 persone che hanno appena attraversato il confine e il presidente pensa solo all’Ucraina, ha dichiarato McCarthy, che ha comunque descritto il suo incontro con Zelensky “positivo” e “produttivo”. A colpire è soprattutto il confronto con l’apparizione di Zelensky al congresso statunitense di nove mesi fa, quando il presidente ucraino venne accolto con un’ovazione, mentre questa volta gli è stata direttamente negata una sessione congiunta del Congresso che gli avrebbe consentito di rivolgersi a tutti i deputati e i senatori per mancanza di tempo. Il supporto statunitense a Kiev resta, senza ombra di dubbio, ma dopo quasi due anni di guerra, le questioni interne iniziano a scontrarsi con quest’ultimo. Come è successo con la Polonia, che ieri ha annunciato lo stop dell’invio di armi a Kiev a seguito delle polemiche legate al grano ucraino.

Foto | Basta morti in strada. Quattro flash mob in altrettanti punti nevralgici della città per protestare contro i troppi incidenti stradali a Milano. La manifestazione, ancora in corso, si sta dirigendo verso palazzo Marino.

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    Kei Pritsker, regista con Michael T Workman del documentario “The Encampments”, racconta ai microfoni di Radio Popolare i retroscena della protesta studentesca pro Palestina alla Columbia University. “Gli studenti della Columbia protestano da anni per la Palestina e per ottenere che l’università dismetta gli investimenti in Israele – spiega Pritsker. L’università ha un ingente fondo di dotazione che investe in ogni sorta di attività, molte delle quali riguardano aziende produttrici di armi, aziende manifatturiere che realizzano armamenti, motori per elicotteri, bulldozer e ogni tipo di attrezzatura utilizzata in queste operazioni”. “The Encampments” fa parlare i ragazzi e le ragazze di questo movimento studentesco che dall’aprile del 2024 ha montato le tende nel giardino del Campus per chiedere trasparenza, il ritiro del denaro dagli investimenti israeliani e l’amnistia per gli studenti puniti per le proteste. “Chiunque creda ancora a questa narrativa sull’antisemitismo nel movimento per la Palestina dovrebbe semplicemente guardare il film – assicura Kei Pritsker”. Al momento “The Encampments” ha una distribuzione indipendente che lo diffonde nei cinema più coraggiosi. L'intervista di Barbara Sorrentini per la trasmissione Chassis.

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    L’undicesimo episodio del podcast dell’Alleanza Clima Lavoro, a cura di Massimo Alberti, è dedicato a un tema centrale del dibattito pubblico: la Legge di Bilancio, ovvero lo strumento chiave per orientare la nostra spesa pubblica. Da sempre l’Alleanza Clima Lavoro richiama la necessità di sostenere il percorso di transizione verso un’economia a zero emissioni, integrando politiche climatiche, industriali e del lavoro, e rafforzando al contempo il welfare e la qualità della vita delle persone. La manovra economico-finanziaria del Governo per il 2026 procede, purtroppo, in direzione opposta: è una “manovra pericolosa” che, oltre a non offrire una prospettiva di decarbonizzazione, prevede un aumento delle spese militari cui si accompagnano tagli o mancati investimenti in sanità, istruzione, ambiente e politiche industriali. Nel corso della puntata emergono tutte le criticità di una Legge di Bilancio che rinuncia a svolgere un ruolo di indirizzo strategico per il futuro del Paese. Il confronto tra l’analisi della manovra e le proposte alternative per migliorarla rilancia una domanda di fondo: quale modello di sviluppo intendiamo davvero perseguire?

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