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Renzi a caccia di risorse. Sperando in Bruxelles

Il mese di settembre sarà per Renzi decisivo: la parola d’ordine è “caccia alle risorse”. Che sono poche. E questa penuria rischia di compromettere la strategia del presidente del consiglio in vista del referendum sulla Costituzione.

Per questo le avvisaglie dello scontro sul pubblico impiego sono rivelatrici. I sindacati incalzano Renzi sul rinnovo del contratto, scaduto nel 2010. Servono 7 miliardi, dicono Cgil Cisl e Uil, prima dell’avvio della trattativa con l’esecutivo, che comincerà all’inizio di settembre. Lo scorso anno la Corte costituzionale aveva dichiarato illegittimo il blocco del rinnovo contrattuale mentre l’Avvocatura dello stato aveva quantificato in 35 miliardi il costo dei mancati rinnovi. Di qui le valutazioni dei sindacati che hanno indicato la cifra di 7 miliardi per il rinnovo di quest’anno. Ma il governo finora ha stanziato solo 300 milioni. A settembre si aprirà la trattativa, che rientrerà nella partita più complessa della legge di stabilità.

Il punto di svolta sono stati i dati dell’economia italiana, usciti il 12 agosto. Non che il governo si aspettasse faville, ma la gelata è andata oltre le aspettative più pessimistiche. L’Italia è ferma. E questo significa due cose. La prima. Il nostro paese torna ad essere osservato speciale in Europa. La seconda: Renzi avrà a disposizione meno risorse del previsto, proprio in un momento politicamente cruciale, quello del referendum costituzionale. Il capo del governo, come si sa, punta a uno slittamento della data che dall’inizio di ottobre dovrebbe essere fissata alla metà-fine di novembre. Il motivo è semplice: giocarsi nella campagna elettorale i provvedimenti previsti dalla legge di stabilità, come la flessibilità delle pensioni. Ma per le mosse pensate per dare una spinta al Sì rischiano di non esserci i quattrini. E qui arriva la partita di Bruxelles.

I giornali internazionali se ne sono già accorti. E, in diversi articoli ed editoriali durante queste settimane estive, il tema è stato ricorrente. Lo spagnolo El Pais ha definito l’Italia “la nuova malata Europa, che potrebbe trascinare il continente in una ricaduta nella crisi”. Tutta l’Unione cresce poco, è vero, ma cresce, mentre il nostro Paese è fermo. Uno stallo che viene da lontano, ha notato il Wall Street Journal, visto che che dal “1996 al 2011 la crescita italiana è stata in media dello 0,9% il +1,4% della Germania, il +1,8% della Francia, il +2,6% della Spagna”. L‘Economist ha rincarato la dose, aggiungendo sul piatto il tasso di occupazione, “il più basso dopo la Grecia” e un debito pubblico gigantesco, assestato al 135% del Pil. Si aggiunge anche il New York Times e la conclusione è la stessa a cui giungono Wall Street Journal e Financial Times: Renzi deve lanciare un’offensiva per rilanciare lo stimolo all’economia. Ed ecco che si torna alla questione di partenza: con quali soldi? Qui diventa decisiva la partita di Bruxelles.

Renzi punterà a ottenere più flessibilità nella valutazione dei parametri sui conti pubblici. Per avere un margine di manovra da dieci miliardi. Non semplice convincere la commissione e soprattutto la Merkel. Anche se meno proibitivo che in altri fasi. Soprattutto dopo la Brexit, infatti, in Europa il dogma della disciplina di bilancio si è notevolmente allentato. C’è più disponibilità a chiudere un occhio, a concedere più margini, per evitare nuove spinte centrifughe. Su questo la situazione dell’Italia si attaglia perfettamente: il rischio economico e politico è paradossalmente un’arma a favore di Renzi. “Se perdo il referendum – spiegherà l’inquilino di Palazzo Chigi ai partner europei – sarà un terremoto. Che potrebbe aprire la strada all’arrivo del Movimento 5 Stelle. Per questo ho bisogno di potermi giocare qualche buona carta nella legge di stabilità”. Il timore di uno smottamento del governo di Roma nelle cancellerie europee esiste. E per questo potrebbe esserci, anche a Berlino, la disponibilità a “dare una mano” a Renzi. Ma non è detto che la flessibilità concessa risponda in pieno alle aspettative di Roma. E al bisogno di Renzi di avere a disposizione un “tesoretto” necessario a stimolare l’economia. E passare indenne l’autunno.

  • Autore articolo
    Alessandro Principe
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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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