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“Voto Sì, pensando al futuro del pianeta”

Luca Mercalli è meteorologo e climatologo. Torinese, cinquant’anni, il grande pubblico lo ha conosciuto come l’uomo del tempo nella prima edizione di Che tempo che fa con Fabio Fazio. Mercalli è da sempre attento all’ecologia e alle pratiche di vita sostenibili, e di questo ha fatto anche parte del suo lavoro di divulgatore scientifico, anche in Tv con la trasmissione di Rai 3 Scala Mercalli.

Mercalli, va a votare domenica?

Certamente, prima di tutto per difendere l’istituzione del referndum e poi per dare un segnale importante alla strategia energetica nazionale dicendo Sì.

Quale è il senso di questo referendum? C’è chi dice sia troppo tecnico.

Purtroppo si va a votare turandosi il naso e senza avere quello che al cittadino sarebbe giusto fornire. Cioè chiarezza e scenari per il futuro. La vera domanda che avremmo dovuto fare ai cittadini è questa: volete voi mantenere una politica energetica basata sul fossile o volete una svolta verso le energie rinnovabili? Questa è la domanda che avrebbe fatto, per esempio la Federazione Elvetica ai suoi cittadini. Il quesito in sé effettivamente è tecnico, e anche marginale, con una rilevanza pratica anche modesta. Io assegno a questo referendum un valore di indicazione al governo: usciamo dal fossile e andiamo verso le energie rinnovabili.

Questo non è un fraintendimento, un uso improprio del referendum?

Sarà improprio, ma è l’unico mezzo che ci viene dato. Come cittadini non riusciamo mai a dire la nostra. E quindi anche se è improprio, io lo userò nell’unico modo in cui credo possa avere un significato: dare un’indicazione popolare al fatto che vogliamo un’economia basata sulle energie rinnovabili, coerente con quanto il governo ha detto quando ha firmato l’accordo sul clima a Parigi. Per evitare i danni giganteschi al sistema climatico del futuro dobbiamo uscire il prima possibile dall’uso dell’energia fossile. Più chiaro di cosi!

Chi sostiene il No dice che impedire l’estrazione nel nostro Paese significa aumentare le importazioni dall’estero…

Non è vero che non si possa uscire dal fossile. Il dramma del cambiamento climatico è così rande che tutti questi diventano dettagli. Cioè, o si esce o si è fregati. Questo è il punto di base. Poi, tutti noi siamo consapevoli che uscire dal fossile non è una cosa che si fa in una giornata. Si fa in vent’anni. Infatti si chiama transizione energetica. Ma proprio per questo bisogna iniziarla in maniera convinta. Come peraltro ha fatto il governo della Danimarca, con una strategia che prevede l’uscita dal petrolio nel 2050. Come sta facendo l’Austria, come sta facendo la Germania. Sono Paesi che hanno intrapreso queste strade con convinzione ma questo mica vuol dire che sono uscite dal petrolio in due giorni, lo faranno anche loro in decine d’anni. L’importante è avere una visione coerente, che una volta scelta porti senza possibilità di equivoci a quel risultato. Invece qui siamo in presenza di un equivoco continuo, di un tentennamento continuo.

Ma l’Italia investe già nelle rinnovabili, con gli incentivi che hanno spinto il nostro Paese ai primi posti al mondo per produzione energetica da fotovoltaico.

Non basta, soprattutto perché adesso si è fatta marcia indietro. Abbiamo fatto un ottimo lavoro nei dieci anni precedenti e adesso c’è una sorta di ripensamento da parte del governo che ritiene di aver fatto troppo. Questi non sono processi in cui si è fatto troppo, ma dove semmai bisogna ulteriormente incalzare, per migliorare ancora questo tipo di risultati. Invece gli incentivi si sono fermati, si sono burocratizzati, tutto si sta trasformando in qualcosa di incerto nella visione del futuro. Aggiungiamo anche il bonus fiscale per le ristrutturazioni energetiche che recentemente è stato confermato fino al 2019 ma che dagli italiani è poco sfruttato. Sarebbe un’occasione che ci permetterebbe di riqualificare tutte le case del Paese creando un’immensità di posti lavoro, di ricerca scientifica, di risparmio energetico. Questo sì che darebbe una svolta importante alla nostra economia

Lei è anche un uomo di comunicazione. Si fa abbastanza sui media per avvicinare a questi temi?

No, c’è un grandissimo deficit di informazione in questo settore. Credo sia il perno di questa svolta che bisogna percorrere. C’è un anello mancante tra la scienza, con le possibilità che offre, e la società: questo dovrebbe essere il ruolo dell’informazione.

Gli ambientalisti dovrebbero fare autocritica? C’è chi li accusa di essere troppo allarmisti…

Dobbiamo uscire dalle etichette. L’ambientalismo è una corrente di pensiero che ha la sua dignità ed è bene che ci sia, soprattutto in un paese che ha una bassissima sensibilità sul tema. Ma io voglio uscire dall’etichetta “ismo”. Questi sono problemi che riguardano qualsiasi persona sul pianeta. Quando parliamo di energia, di ambiente, di clima, di salute, sono argomenti che riguardano la vita di ogni persona e le possibilità di benessere delle generazioni future. E quindi ognuno di noi dovrebbe avere gli strumenti per comprenderle e comportarsi di conseguenza a prescindere dall’appartenenza politica o ideologica. Di errori ne sono stati fatti tanti, se ne continuano a fare ma c’è anche un informazione più laica e “ambientale” senza essere “ambientalistica”. Perfino Papa Francesco ha fatto l’enciclica sul clima! Mi sembra che ormai ci sia una ampia trasversalità. Sono però problemi complessi e la complessità ha bisogno di tempo e di dettagli per essere compresa e perché dia luogo alle scelte più razionali.

Cosa direbbe a ragazzo 18 anni che voterà domenica la prima volta?

Gli spiegherei che se vuole il mondo del 2100 con 5 gradi in più, vota No o non vota. Se vuole che che la temperatura salga “solo” di due gradi rendendo la vita umana un po’ meno difficile vota un bel Sì, sapendo che fa la cosa giusta per il destino del mondo del futuro.

  • Autore articolo
    Alessandro Principe
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    Il 7 dicembre la Scala apre la stagione con l’opera censurata da Stalin

    Nel cinquantenario della morte di Šostakovič il Teatro alla Scala inaugura la Stagione con il suo capolavoro Una lady Macbeth del distretto di Mcensk, tratto dal racconto di Nikolaj Leskov in cui una giovane sposa con la complicità dell’amante uccide il marito e il tirannico suocero, ma viene scoperta e finisce per suicidarsi in Siberia, tradita da tutti. Dopo il debutto a San Pietroburgo, l’opera, che avrebbe dovuto essere il primo capitolo di una trilogia sulla condizione della donna in Russia, ebbe enorme successo in patria e all’estero. Stalin assistette a una rappresentazione a Mosca nel 1936; due giorni dopo apparve sulla Pravda la celebre stroncatura dal titolo “Caos invece di musica” con cui il regime metteva all’indice l’opera e il compositore. Anni dopo Šostakovič preparò una nuova versione che andò in scena a Mosca nel 1963 con il titolo Katarina Izmajlova, dopo che il sovrintendente Ghiringhelli aveva invano cercato di ottenerne la prima per la Scala. Oggi il Teatro presenta la versione del 1934 con la direzione del M° Chailly e il debutto del regista Vasily Barkhatov. Ascolta Riccardo Chailly nella presentazione dell’opera.

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