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Quarant’anni dopo la dottrina Mitterand

Macron Violenze Francia Polizia

La “Dottrina Mitterrand” non è un testo ufficiale. Per definirla, ci si basa sulle dichiarazioni fatte dal presidente socialista François Mitterrand sugli espatriati italiani in Francia, accusati di terrorismo durante gli anni di piombo. In particolare, si fa riferimento a una manciata di frasi che risalgono al 1985.

Il primo febbraio, a Rennes, Mitterrand dichiara: “Rifiuto di considerare a priori come terroristi attivi e pericolosi degli uomini che sono arrivati, soprattutto dall’Italia, molto tempo prima che ricoprissi questa carica. E che si sono raggruppati qua e là, nella periferia parigina, pentiti… a metà, del tutto… non lo so, ma fuori dai giochi”.

Il 22 febbraio, Mitterrand incontra a Parigi l’allora presidente del Consiglio italiano Bettino Craxi. Durante il pranzo, i due parlano soprattutto dei terroristi italiani. Il resoconto dell’incontro riconferma la posizione di Mitterand: “Abbiamo circa 300 italiani rifugiati in Francia dal 1976 e che da quando sono qui si sono pentiti e la nostra polizia non ha nulla da rimproverargli.

Ci sono anche una trentina di Italiani pericolosi ma si tratta di clandestini. Bisogna quindi innanzitutto ritrovarli. In seguito verranno estradati solo se verrà dimostrato che hanno commesso crimini violenti. Se i giudici italiani ci trasmetteranno dei dossier seri, che provano l’esistenza di violenze, e se la giustizia francese emetterà un parere positivo, allora accetteremo l’estradizione.” Buona parte di queste parole le ripeterà poco dopo davanti ai
giornalisti, con un tono deciso, ignorando lo sguardo irritato che gli lancia Craxi e ricordando che si tratta di persone ormai inserite nella società francese, che hanno messo su famiglia, lavorano e hanno chiesto la nazionalità.

Da allora e fino ai primi anni 2000, tutti i governi, di destra o sinistra, sono rimasti fedeli alla decisione politica di Mitterrand, che vedeva la Francia come una terra d’asilo e che non ha riguardato solo l’Italia. Onestamente, è difficile credere che Parigi non avesse davvero nessuna idea di dove fossero quella trentina di militanti considerati pericolosi. Ma i passaggi della ‘dottrina’ più significativi sono soprattutto due: alla giustizia italiana viene chiesto di presentare delle prove concrete dei crimini commessi e starà poi alla giustizia francese decidere se concedere l’estradizione. Di fatto, e come ricorda una tribuna collettiva pubblicata una settimana fa su Le Monde, significava non credere all’imparzialità dei tribunali italiani, in un contesto in cui lo stato voleva dare una risposta forte alle derive terroriste della contestazione sociale del decennio precedente. Dei timori ravvivati alla fine degli anni ’90, quando fu abortita una proposta di amnistia politica che, scrivono, “avrebbe potuto permettere al paese non di dimenticare ma di liberarsi del passato, lasciando quei fatti ai libri di storia”.

Anche Macron, oggi, dice di rifarsi alla dottrina Mitterrand. Ridotte da 200 a 10, le domande di estradizione trasmesse alla corte d’appello riguardano gli autori di crimini violenti. Quarant’anni dopo i fatti, la protezione della Francia verrà decisa, caso per caso, dai giudici.

  • Autore articolo
    Luisa Nannipieri
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    L'abbiamo scoperto con l'EP "Somewhere only we go" e oggi a Volume abbiamo avuto modo di conoscere meglio la storia di questo cantautore nigeriano, che si è poi formato musicalmente in Ghana: "Nel corso degli anni le nostre musiche si sono fuse: l'highlife ghanese, il palm-wine, il folk di Kumasi, il suono contemporaneo della chitarra. Ho potuto unire questi due mondi, mescolandoli con le radio occidentali che ascoltavo da ragazzo". Il risultato è un folk pop pieno di anima e di profondità: "Il mio obiettivo non è solo una carriera internazionale, ma costruire qualcosa in Africa. Voglio creare una struttura che funzioni per artisti come me, gente con una chitarra o un tamburo, artisti contemporanei che non hanno modo di raggiungere il loro pubblico". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Tommy WA.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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