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Che cos’è la politica di coesione europea?

politica di coesione europea

La politica di coesione della Commissione Europea: che cos’è, quali sono i suoi obiettivi, quali le risorse messe a disposizione e quali i criteri in base a cui si distribuiscono le risorse?

Lo scopo della politica di coesione è ridurre le disuguaglianze e le differenze sociali, tra i 28 Paesi membri ma anche all’interno dei singoli Paesi. Funziona per settennati: attualmente siamo nel 2014-2020. E’ stata pensata, tra gli altri, dal nostro commissario Antonio Giolitti e da Jacques Delors, e copre un terzo del bilancio europeo: nel settennato 2014-2020 sono stati stanziati 351,8 miliardi di euro complessivi.

La politica di coesione non ha avuto una vita semplice. Lo racconta Fabrizio Barca, che è stato Ministro per la Coesione Territoriale durante il governo Monti: “Gli stati membri durante la fase del neoliberismo hanno usato male i fondi, per compensare i ritardi in modi inutili. I soldi stanziati per la formazione hanno finito per finanziare i formatori. Quelli destinati alle imprese hanno inutilmente prolungato la vita a imprese malate. Per capire lo spreco dei fondi per le infrastrutture basta guardare lo stato delle grandi opere in Italia.”

Nel periodo tra il 2005 e il 2008 l’allora commissaria polacca Danuta Hübner lanciò una grande battaglia per avere più partecipazione della cittadinanza e un ruolo dei territori più forte. Una battaglia in parte vittoriosa e in parte no.
In Italia questa battaglia ha avuto risultati importati in alcune zone, soprattutto quelle del Sud. Un altro suo grande merito è quello di aver stimolato, grazie anche all’impegno proprio di Fabrizio Barca, la nascita della Strategia nazionale per le aree interne. Si tratta di un programma del Governo che usa le risorse dei fondi di coesione e quelle della legge di bilancio per spingere la rinascita non solo delle aree industrializzate e urbane ma anche di quelle rurali, che rappresentano i due terzi del nostro Paese. Un progetto di successo, rilanciato dall’attuale Ministro per la Coesione Giuseppe Provenzano e che nella prossima programmazione europea sarà focus per tutti i Paesi membri.

Come funziona nel dettaglio il rapporto tra la Commissione Europea e i singoli Paesi?

In Italia sono le Regioni a interloquire con la Commissione e distribuire le risorse. Ce lo spiega Nicola De Michelis, direttore della Commissione Europea per l’implementazione dei fondi in Italia: “Le risorse sono trasferite alle Regioni, e poi parte un negoziato con la Commissione che dura anche a lungo. In questo negoziato la Commissione inserisce le sue priorità”. La politica di coesione dell’attuale Commissione, quella guidata da Ursula Von Der Leyen, ha tra i grandi temi la sostenibilità e la transizione industriale, quindi l’innovazione e la ricerca.

Spiega ancora De Michelis che “la politica di coesione va messa in prospettiva: si tratta di 330 miliardi in sette anni, distribuiti in base alla ricchezza relativa dei Paesi”. Per funzionare bene deve coordinarsi con le politiche ordinarie dei singoli paesi, non sostituirsi a loro perché altrimenti si otterrebbero risultati modesti. Non sono risorse infinite, quindi devono concentrarsi su poche grandi tematiche e non frammentarsi in mille rivoli.
Il momento chiave è quello del negoziato iniziale, perché quando i programmi sono fissati è difficile modificarli. La Commissione sta con il fiato sul collo alle autorità che gestiscono le risorse, per controllare che le promesse vengano mantenute. La Commissione trattiene infatti a Bruxelles un 6% di risorse, a cui gli Stati hanno accesso solo se a metà del settennato sono sulla buona strada per il mantenimento degli impegni: una sorta di incentivo a fare bene e accelerare.

Come funziona la politica di coesione in Italia?

Il problema italiano è che le risorse della politica di coesione rimpiazzano la spesa ordinaria. L’impatto è quindi limitato, perché si vogliono fare troppe cose. Le nostre istituzioni dedicate alla gestione delle risorse non sempre sono forti, quindi i programmi e i progetti devono essere semplici.

Uno degli strumenti che i cittadini hanno a disposizione per tenere contro e traccia dei progetti finanziati dalla politica di coesione è Opencoesione. Si tratta di una piattaforma con un sito raccoglitore. E’ nato nel 2012, quindi raccoglie i progetti dei due settennati 2007-2013 e 2014-2020. “Al momento contiene oltre un milione e quattrocentomila progetti” spiega Simona De Luca, che è responsabile di Opencoesione fin dalla sua creazione “per 140 miliardi di euro complessivi. La sua fonte è il Sistema nazionale di monitoraggio, alimentato dalle amministrazioni che beneficiano dei progetti”. I dati sono aggiornati ogni due mesi, e ogni progetto è catalogato in base ad alcune variabili e diviso in temi, tra cui l’ambiente, l’innovazione o la cultura. “Si tratta di un’iniziativa di trasparenza, i dati sono tutti scaricabili” racconta ancora De Luca “vuole promuovere anche la partecipazione”. Proprio a questo scopo è nato il progetto A scuola di Opencoesione, destinato alle scuole superiori: gli studenti durante l’anno scolastico fanno monitoraggio civico di progetto trovato sul sito, e lo arricchiscono con l’incontro con i responsabili del progetto e i soggetti interessati. Per esempio gli studenti di un liceo di Locri hanno verificato la riqualificazione di un bene confiscato alla mafia diventato ostello della gioventù, e hanno sollecitato l’amministrazione a indire bandi per la gestione. Quest’anno parte la sperimentazione di A scuola di Opencoesione in Croazia, Bulgaria, Portogallo, Grecia e Spagna.

Martina Pagani

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    L’Europa e il bellicismo crescente delle sue classi dirigenti. L’ultimo caso, quello dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone e la postura aggressiva che dovrebbe tenere la Nato. Cosa possono fare il pensiero e la cultura della pace per contrastare l’escalation bellicista e la normalizzazione della violenza? Le risposte possono non essere quelle consuete, soprattutto perché in Occidente stiamo assistendo ad un cambio delle coordinate geopolitiche costruite negli ultimi ottant’anni. Un esempio. Il settimanale «The Economist» ha scritto nella sua rubrica di geopolitica «The Telegram» apparsa oggi sulle pagine online: «In Europa le preoccupazioni per l’inaffidabilità dell’America sotto Donald Trump stanno lasciando il posto a un timore più grande: che, pur presentandosi come il campione della civiltà occidentale, egli consideri ormai le democrazie occidentali reali come avversarie. “Nella Washington di oggi” - scrive il nostro editorialista di The Telegram - l’Europa “è spesso descritta con maggiore disprezzo rispetto alla Cina o alla Russia”. Pubblica oggi ha ospitato Donatella Della Porta, scienziata della politica, e Agostino Giovagnoli, storico.

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