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Inquinamento e cambiamento climatico: la correlazione è sempre più forte

Acqua Alta

Le previsioni a medio termine anticipano ancora molte giornate di alta pressione e alti livelli di smog nel nord del Paese, ma a spaventarci dovrebbero essere quelle sul lungo periodo, che evidenziano sempre di più la correlazione tra inquinamento e cambiamento climatico.

Cosa succederà tra 70-100 anni? Ne abbiamo parlato con Gianmaria Sannino, climatologo del Centro Ricerche Enea. L’intervista di Alessandro Braga a Fino alle otto.

Le previsioni parlano di un’altra settimana con alta pressione e livelli di smog alti. Che cosa sta succedendo?

L’anticiclone africano ci fa sempre più spesso visita. Sappiamo benissimo che quando succede d’estate ci sono delle ondate di calore. Ora ovviamente non percepiamo quel calore, ma abbiamo un blocco delle perturbazioni che vengono dall’Atlantico e che vengono bloccate dall’anticiclone africano. Questo comporta una riduzione sistematica dei venti e delle piogge sul nostro Paese: c’è una sorta di ristagno dell’aria della Pianura Padana, Milano e Torino. Questo ristagno dell’aria non fa altro che agevolare lo smog.
Questo è ciò a cui andremo sempre più incontro se non si mette mano alla riduzione sistematica dei gas. Non è molto diverso da quello che sta succedendo in Australia in questo momento: gli incendi a cui stiamo assistendo non sono altro che figli di un periodo estremamente siccitoso. Questa ondata di calore eccezionale che ha colpito l’Australia ha creato quelle precondizioni necessarie affinché gli incendi si estendano in maniera incontrollata.
In Italia in questo momento il problema sono gli incendi, ma questa cappa di alta pressione che sta letteralmente bloccando le perturbazioni da ovest sta creando un altro tipo di problema. La correlazione tra inquinamento e cambiamento climatico sta diventando sempre più forte. Se immaginiamo che l’inquinamento che stiamo vivendo è anche in parte responsabile dell’aumento della CO2 in atmosfera come questi problemi sono estremamente correlati. Da una parte le emissioni di PM10 fanno male alla salute dei giovani, contemporaneamente la CO2 che viene inevitabilmente emessa dalle macchine o dai sistemi di riscaldamento fa male al clima e alla Terra. È la conseguenza del cambiamento climatico.

Cosa ci dobbiamo aspettare per il prossimo periodo?

Quello che noi facciamo è studiare il clima nell’area mediterranea. Siamo particolarmente interessati a come evolverà il clima in area mediterranea perché sappiamo benissimo che il clima mediterraneo è un clima particolare. Quello che abbiamo visto non è particolarmente confortante se le cose non cambiano.
Se non cambierà il modo in cui ci spostiamo, ci scaldiamo o produciamo energia, l’andamento sarà quello di un aumento della temperatura che potrà addirittura arrivare a fine secolo a 5/6 gradi in più rispetto al periodo pre-industriale. Questo comporterà anche un aumento significativo delle ondate di calore.

Cosa intendiamo per ondata di calore?

Un’ondata di calore stile 2013, la più grave ed importante che abbiamo avuto nell’area del Mediterraneo, potrebbe verificarsi sistematicamente ogni anno tra il 2080 e il 2100, con una riduzione fino all’80% delle precipitazioni. Questo è quello a cui possiamo andare incontro.
L’altra variabile particolarmente sensibile è il livello del mare, che crescerà e potrà superare addirittura 80 centimetri in più rispetto al valore attuale. Sembra poca roba, ma non lo è e Venezia lo sa benissimo.

Stiamo parlando di poche decine di anni.

Esatto. Il trend di questo cambiamento climatico non ci fa ben sperare. La concentrazione di CO2 in atmosfera non sta diminuendo, così come non si sta stabilizzando dopo l’accordo di Parigi. Al di là dei buoni propositi e degli allarmi che vengono lanciati, di concreto non sta succedendo nulla. Questo è il segno che qualcosa non sta funzionando. E poi c’è anche la temperatura media del pianeta, che continua a crescere non in maniera uniforme. In particolar modo sta crescendo in quelli che sono stati definiti hotspot climatici, zone della Terra che risentono particolarmente dell’aumento della temperatura. Tra queste, oltre ai Poli, c’è anche il Mediterraneo. Se è vero che la temperatura media della Terra ha raggiunto un grado in più rispetto al 1870, per il Mediterraneo abbiamo già raggiunto 1.4 gradi in più. Sulla nostra area il cambiamento climatico è più sensibile.

PM10 e cambiamento climatico. Perché gli inquinanti non si disperdono?

8 gennaio 2020

Come ogni gennaio, torna anche il periodo in cui respirare diventa particolarmente complicato e dannoso in Italia. A Milano la serie negativa di valori di Pm10 al di sopra della soglia del limite giornaliero consentito di 50 microgrammi per metro cubo è iniziata il 27 dicembre scorso. C’è stato un picco a Capodanno di 131 microgrammi per metro cubo a causa dei botti e poi i valori di Pm10 sono leggermente scesi a 72 e poi 52.

L’unico giorno di tregua è stato domenica 5 gennaio, coi valori di PM10 sono scesi al di sotto di 44 microgrammi per metro cubo. Da lì in poi sono tornati a salire e in questi giorni si prevede un nuovo aumento.

Ne abbiamo parlato con Simone Scapin del Centro Geofisico Prealpino di Varese. L’intervista di Lorenza Ghidini e Roberto Maggioni a Prisma.

Queste sono giornate caratterizzate dal persistere di condizioni anticicloniche sul nord Italia e su buona parte del continente europeo. Nella stagione invernale questo si associa alla formazione di cosiddetti strati di inversione termica, ovvero degli strati di aria in prossimità del suolo in cui la temperatura, diversamente da quanto avviene normalmente, tende a salire con l’aumentare della quota. Abbiamo strati di aria fredda e umida che toccano il suolo sovrastati da aria più secca e più calda negli strati superiori. Questo ha come effetto, per ragioni di termodinamica, di ridurre il rimescolamento verticale dell’aria. Se normalmente gli inquinanti tendono a disperdersi in una colonna d’aria più spessa, in queste condizioni tendono a concentrarsi in un tratto molto sottile a ridosso del suolo. È un po’ come se mettessimo un grosso coperchio in prossimità del suolo che trattiene tutte le sostanze inquinanti prodotte.

In pratica non si muove nulla e rimane tutto giù.

Esattamente. Nella Pianura Padana la situazione è aggravata dal fatto che si tratta di una zona densamente urbanizzata e l’orografia non aiuta perché abbiamo la presenza delle Alpi a nord e degli Appennini a sud che tendono a limitare gli scambi d’aria e la ventilazione. Qui la situazione è peggiore che altrove per questo motivo.

Cosa deve succedere affinché gli inquinanti possano liberarsi nell’atmosfera e uscire da questa zona?

Bisogna attendere la prossima perturbazione che porterà maggiore rimescolamento e maggiori precipitazioni, condizioni che favoriscono la dispersione degli inquinanti. Al momento però non vediamo alcuna perturbazione in arrivo. Abbiamo una perturbazione in transito a nord delle Alpi il prossimo venerdì, ma la zona padana sarà influenzata soltanto marginalmente con qualche passaggio nuvoloso.
Per il fine settimana attendiamo condizioni stabili in buona parte soleggiate su Alpi e Prealpi, mentre sulla Pianura avremo la formazione di nebbia notturna che andrà parzialmente dissolvendosi durante il giorno. Non ci saranno cambiamenti sostanziali in arrivo.

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    L'abbiamo scoperto con l'EP "Somewhere only we go" e oggi a Volume abbiamo avuto modo di conoscere meglio la storia di questo cantautore nigeriano, che si è poi formato musicalmente in Ghana: "Nel corso degli anni le nostre musiche si sono fuse: l'highlife ghanese, il palm-wine, il folk di Kumasi, il suono contemporaneo della chitarra. Ho potuto unire questi due mondi, mescolandoli con le radio occidentali che ascoltavo da ragazzo". Il risultato è un folk pop pieno di anima e di profondità: "Il mio obiettivo non è solo una carriera internazionale, ma costruire qualcosa in Africa. Voglio creare una struttura che funzioni per artisti come me, gente con una chitarra o un tamburo, artisti contemporanei che non hanno modo di raggiungere il loro pubblico". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Tommy WA.

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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