I gusti sono sempre personali, anche quelli per le serie tv, e non si discutono. Ma se c’è un titolo che negli ultimi vent’anni ha messo d’accordo quasi tutti, quello è Breaking Bad: la serie, cominciata nel 2008 e conclusasi nel 2013, prodotta da AMC e creata da Vince Gilligan, è diventata, stagione dopo stagione, un vero fenomeno di culto, raccogliendo sempre nuovi adepti attorno alla vicenda di Walter White, dimesso ma geniale professore di chimica che, quando scopre di avere il cancro, decide di cominciare a sintetizzare metanfetamine per guadagnare i soldi necessari a garantire un futuro sicuro alla propria famiglia. Nel corso del tempo scopre, però, che il ruolo di crudele boss della droga gli si addice molto di più di quello di padre di famiglia: lo show, con protagonista un portentoso Bryan Cranston, è la cronaca avvincente di questa trasformazione, e uno dei migliori studi di carattere portati finora su un piccolo schermo. Dopo Breaking Bad è arrivata Better Call Saul, serie prequel dedicata al personaggio di Saul Goodman (o Jimmy McGill), l’avvocato interpretato da Bob Odenkirk, anche qui una parabola di trasformazione che nel finale si è ricongiunta agli eventi di Breaking Bad. Better Call Saul ha forse avuto meno impatto trasversale sulla cultura pop di massa, ma dai critici televisivi è stata considerata narrativamente alla pari con la serie che l’ha preceduta, se non, in alcuni casi, perfino superiore nell’evoluzione dello stile di Vince Gilligan.
Con queste credenziali di prestigio e successo, Gilligan ha ottenuto qualcosa di molto raro nella Hollywood di oggi, ovvero carta bianca: è cominciata la scorsa settimana su AppleTv (a proposito: nel frattempo la piattaforma della Mela ha perso il “+” nel nome…) la serie Pluribus, nuova creazione dell’autore di Breaking Bad, e la prima non ambientata nel mondo di Walter White (anche se sempre ad Albuquerque, in New Mexico). Fino all’ultimo istante prima della messa in onda, quasi ogni dettaglio è rimasto avvolto nel mistero: di Pluribus si sapeva solo che sarebbe appartenuta al genere fantascienza e che avrebbe avuto come protagonista Rhea Seehorn, l’attrice che in Better Call Saul ha interpretato magnificamente il personaggio di Kim Wexler.
Le prime due puntate ci hanno catapultato in uno scenario che ricorda da vicino la leggendaria serie Ai confini della realtà, ricollegandosi anche al passato di Gilligan come sceneggiatore di X Files: con un messaggio che arriva sulla Terra dalle profondità dello spazio, si propaga una sorta di virus che trasforma l’intera umanità in uno sconfinato “noi”, una collettività in cui tutti gli esseri umani sul pianeta condividono ricordi, esperienze, pensieri, e sono felici, appagati, non violenti. A rivelarsi “immuni” a questa apocalisse utopica sono solo poco più di una decina di persone in tutto il mondo, tra loro la protagonista Carol Sturka, incarnata come si diceva da Rhea Seehorn.
Una scrittrice di bestseller romantasy, che disprezza profondamente i propri lettori – anzi, da quello che intuiamo seguendola nelle sequenze iniziali, è una vera misantropa, sarcastica e nichilista, che disprezza pressoché chiunque. Dopo la “conversione” del resto dell’umanità, Carol sembra l’unica convinta che il nuovo ordine mondiale sia una catastrofe e non una benedizione: sì, è vero, le dice uno dei pochissimi altri immuni come lei, gli esseri umani hanno perso forse la propria individualità, ma nessuno più uccide, ruba, cerca di sopraffare gli altri, e tutti sembrano profondamente, incredibilmente felici. La pace nel mondo e la felicità totale non valgono forse il sacrificio di rinunciare a sé?
Come nella migliore fantascienza, Pluribus da un lato apparecchia un nuovo monde, questa Terra “invasa” da umani miti e appagati che lavorano in totale armonia per “aggiustare” il pianeta (piccola nota non indifferente: nel diffondersi il virus alieno ha ucciso circa 800 milioni di persone…), e osserva la sua burbera e inferocita protagonista muovercisi in mezzo; dall’altro intreccia riflessioni filosofiche o politiche meno semplificanti di quanto ci si potrebbe aspettare. Ed è l’esistenza stessa di una serie come Pluribus – una storia completamente originale, non collegata a universi narrativi già esistenti, e senza nessuna star famosa a far da traino – a sembrarci un piccolo grande miracolo: siamo pronti a seguirla fino in fondo.


