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La dignità violata di migliaia di indigene

Rudenicinda nel 1998 aveva 24 anni.

Viveva con il marito in una zona di campagna della provincia peruviana di Anta, nella regione di Cusco.

Aveva appena dato alla luce il suo terzo figlio nel centro di salute locale quando cominciò a subire le pressioni dell’equipe di medici che spingevano per realizzare un intervento che l’avrebbe resa sterile: la chiusura delle tube.

Appoggiata dal marito, Rudenicinda si rifiutò e la coppia lasciò il centro tra gli insulti e le minacce. Ma quella che sarebbe stata una vera e propria persecuzione continuò per mesi, fino a che la polizia arrestò il marito della giovane e Rudenicinda venne portata con la forza di nuovo al centro medico, legata e posta sotto anestesia.

Quando si svegliò con forti dolori il suo volto si coprì di lacrime.

La denuncia di Rudenucinda ha riempito di nuovo le strade di Lima in questi ultimi mesi di fronte al rischio, ormai scampato, che alla presidenza potesse andare Keiko Fujimori, la figlia dell’ex dittatore Alberto Fujimori, responsabile della sterilizzazione forzata imposta negli anni Novanta ad almeno 300 mila donne in Perù. La maggior parte donne delle comunità indigene, soprattutto contadine, dedicate alla pachamama.

Era il 1995, quando il governo di Fujimori modificò la Legge sulla politica nazionale della popolazione al fine di lanciare il progetto Aqv (Anticoncepciòn Quirùrgica Voluntaria), per trasformare la legatura delle tube e la vasectomia in metodi legali di pianificazione familiare, effettuati dal servizio sanitario pubblico.

Sette anni di sterilizzazione selvaggia, in cui secondo le indagini della Commissione d’inchiesta del Congresso del 2002 persero la vita durante gli interventi anche 18 giovani donne. A spingere ad aprire un’inchiesta 2.074 donne che denunciarono pubblicamente il crimine commesso dall’ex dittatore. Superando la vergogna e il timore, alcune campesinas di Anta lasciarono la regione di Cuzco, per recarsi nella capitale per rendere pubblica la loro storia, denunciare le atrocità subite sui loro corpi e chiedere giustizia.

Poi due anni fa è arrivato l’epilogo giudiziario dal sapore scandaloso. La Procura di Lima ha deciso di chiudere l’indagine andata avanti per 10 anni – chiusa e riaperta grazie agli attivisti dei diritti umani -, rinviando a giudizio gli operatori sanitari solo per la morte di una giovane.

Nessuna accusa è stata invece formulata contro membri del governo di allora. Questo nonostante varie testimonianze e documenti che provano una comunicazione costante tra l’ex ministro della Salute e l’allora presidente Alberto Fujimori, in cui si riferivano i dati mensili delle sterilizzazioni effettuate e le proiezioni per il futuro.

C’erano persino quote stabilite di sterilizzazione che i medici dovevano raggiungere, altrimenti avrebbero perso il posto di lavoro. In questi ultimi mesi migliaia di donne, che si definiscono “le figlie delle contadine che non siete riusciti a sterilizzare” hanno riportato nelle piazze lo scandalo; sono sostenute dalle organizzazioni dei diritti umani. Si sono battute contro l’elezione di Keiko Fujimori e chiedono giustizia: il mondo deve sapere quanto hanno sofferto, dicono.

Diceva lo scrittore cantastorie Eduardo Galeano: “Non è solo una questione geografica, in ogni paese c´è un Sud e un Nord; anzi, c’è dentro ogni persona. Ci sono uomini di tutte le classi sociali e di ogni nazionalità che trattano le donne come fossero oggetti di loro proprietà: loro sono il Nord, le donne il Sud”.

Effetti collaterali. Popolazione civile in pericolo è la rubrica a cura di Cristina Artoni, in onda ogni lunedì su Radio Popolare alle 9.20

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Donne indigene Perù

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    Cristina Artoni
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    Società Civile per il No. È nato il comitato, promosso da vari esponenti della società civile, da sindacati, associazioni e realtà democratiche, che sostiene le ragioni del No al referendum costituzionale sulla riforma della Giustizia del Guardasigilli Carlo Nordio. Presieduto da Giovanni Bachelet, il comitato ha nel direttivo nomi importanti come il segretario della Cgil Maurizio Landini, la presidente di Libertà e Giustizia Daniela Padoan e l’ex ministra Rosy Bindi. I principali punti del comitato vertono sul fatto che una magistratura autonoma, indipendente, che non guarda in faccia a nessuno sia una cosa che conviene ai cittadini. Il prossimo 10 gennaio a Roma si terrà la prima assemblea generale, per la partenza della campagna referendaria, che vedrà la nascita di comitati territoriali in tutta Italia per lanciare una campagna informativa sulle ragioni del No. “Riteniamo che sia una battaglia per evitare che venga minato un principio fondamentale della nostra democrazia”, ha detto Rosy Bindi, che fa parte del direttivo del comitato, nella nostra trasmissione Radio Sveglia. L'intervista di Alessandro Braga.

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