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“Persona” di Selah Sue è un viaggio nella musica e in se stessi

Selah Sue

Erano sette anni che Selah Sue (sito ufficiale) non usciva con un lavoro nuovo. E sette anni sono tanti, in sette anni si ha tutto il tempo per cambiare, fare esperienze, crescere, prendere le misure con la vita e con se stessi. Ecco quelli dell’artista belga lo sono stati particolarmente, soprattutto nel rapporto complicato con le sue diverse personalità, ma anche in quello con le sostanze, quegli antidepressivi che hanno accompagnato la sua quotidianità per quattordici dei suoi trentadue anni. In “Persona” tutto questo si riflette nitidamente, e anzi, è proprio da un percorso psicologico intrapreso con il suo terapeuta che nasce il disco. “È basato su una terapia che si chiama “Dialogo delle voci interiori”, ci racconta “che sto seguendo da anni con il mio terapista. Serve a reimparare ad esplorare i diversi lati della tua personalità e imparare ad accettarli. Sul disco ogni canzone è scritta da una personalità diversa, o meglio, un diverso aspetto della mia personalità. Quindi è stato molto interessante, e anche curativo fare questo album.”

Posso immaginare non sia facile affrontare le varie personalità che ognuno di noi ha. Tutti abbiamo personalità, ma molte di queste a volte proviamo a nasconderle senza lasciargli lo spazio di cui hanno bisogno. Ma anche il far corrispondere ogni diversa personalità con un suo sound specifico, come fai nel disco…come ti è venuto?

È interssante quello che dici, in effetti non è facile accettare il lato malinconico, quello critico, nel mio caso anche quello dell’autostima. Per me è stato sempre molto difficile parlare della mia sicurezza, perché mi sento forse troppo arrogante. Quindi in effetti è proprio come dargli una voce. Sono contenta di averlo fatto. E credo che per quanto riguarda la musica, è stato molto naturale abbinare ad esempio al lato dell’autostima un beat Hip Hop bello grasso, a quello maliconico un bellissimo suono Roots per quanto riguarda gli accordi. Quindi per me è stato molto logico affidarmi a quei particolari generi. Io poi sono molto eclettica, la mia personalità è molto eclettica così come la mia musica. Quindi era come avere carta bianca per andare fuori da ogni schema in maniera selvaggia anche per quanto riguarda le produzioni. Per questo l’album è così vario e credo anche interessante.

Questa è una cosa molto positiva. A volte capite che anche solo a livello musicale, uno scelga un genere specifico e decida che è il suo, rinunciando a moltissima musica che magari potrebbe piacergli. E lo stesso spesso facciamo con la nostra personalità. Ne scegliamo una su tutte le altre e fingiamo di essere solo quella roba li. Ma tutti abbiamo molte personalità.

È come dici tu, credo sia interessante, è come se noi volessimo sempre essere la nostra versione felice, quella più sicura. Se guardiamo la gente vogliamo vedere la luce, nessuno ama le persone tristi, nessuno ama il clown triste. Ma è allo stesso tempo una cosa molto importante da imparare ad accettare perché anche quella è una parte di noi. Ed è quello che abbiamo fatto, per quanto mi riguarda lo faccio da tutta la vita, provare ad essere qualcuno e nascondere alcuni miei aspetti. Ma è molto importante perché quando li nascondi, e provi a chiuderli via, questi lati saltano fuori ad un certo punto, quando non vuoi, quando meno te lo aspetti. Ed è come un’esplosione. Invece è importante lasciarli parlare.

Esatto. E a volte li nascondiamo per paura del giudizio della gente. E probabilmente i social negli ultimi anni hanno acuito tutto questo. Ma come dicevi tu, comprimere alcuni nostri lati non è una buona idea. Ma tornando al percorso del disco, come è stato affrontare uno a uno i tuoi diversi lati? E quale è stato il più difficile da esternare in una canzone?

La canzone Pills è scritta dalla personalità drogata, ed è una canzone molto importante perché ho preso antidepressivi per quattordici anni. E quando ho scritto quella canzone ero in quella personalità, ero drogata, prendevo quelle pillole, e mi sentivo bloccata emotivamente, creativamente e spiritualmente. Ed è stata dura essere sotto farmaci e andare in profondità dentro se stessi, è stato molto difficile. Quindi dopo aver scritto quella canzone, Pills, ho deciso di provare nuovamente a smettere con gli antidepressivi. Il che è una cosa difficilissima, ci avevo già provato quattro volte. Ma questa è la prima volta che sta funzionando, la prima della mia vita. Quindi quello è un lato che è stato molto duro ed importante da affrontare. Per il resto credo anche il malinconico…la prima canzone del disco, che è Kingdom, e parla della sicurezza di se, anche quella è stata difficile. Perché specialmente in Belgio è considerato molto importante essere modesti, specialmente se sei donna. Tutti vogliono che la donna sia vulnerabile ed emotiva, in modo che l’uomo possa presentarsi e dire “eccomi, sono qui per guidarti”. Ma porsi come donna che si impone e dice “Sono la regina del mio regno”! Ci vuole coraggio per dire una cosa del genere. Ma dirlo è stato anche liberatorio.

È incredibile come a volte la cosa difficile sia affrontare dei limiti che crediamo nostri ma che invece ci arrivano da influenze esterne, ma negli anni abbiamo assorbito. Tornando alla musica, tu sei sempre stata influenzata da molte sonorità diverse, è sempre stato complicato etichettare il tuo sound. Questa cosa sembra esplodere in questo disco, perché ogni singolo pezzo suona in un modo diverso. E credo che proprio il Belgio, visto dall’italia, sia un posto in cui si intrecciano molte influenze culturali. Quanto è importante questo nel tuo percorso creativo e nella tua storia musicale?

È interessante che tu lo dica, è vero. Questo credo anche perché siamo una specie di nessuno come paese, e quindi siamo quasi obbligati a guardare agli altri paesi. Credo che siamo anche un paese difficile in cui vivere, cioè, è una specie di caos. Abbiamo la parte fiamminga, quella francese, e combattono tra loro rendendo il paese ancora più piccolo di quanto il Belgio già non sia, perché è come se ci fosse una separazione interna. Peraltro parliamo fiammingo, nessuno nel mondo parla fiammingo. Quindi siamo anche in qualche modo obbligati a imparare molto bene l’inglese, obbligati a imparare il Francese. Non abbiamo altra scelta che guardare agli altri paesi, a un sacco di altri paesi. La mia influenza più grande arriva dal Regno Unito, dagli Stati Uniti, ma anche dalla Francia, perché parliamo anche francese. Quindi è per questo che, come dicevi tu, siamo abbastanza contaminati, anche come stile. In Belgio abbiamo molta musica indie, ma anche rock, ma anche Techno, Soul. Abbiamo tutto in Belgio, cosa molto interessante.

E a volte tutte queste cose si concentrano in un solo artista, perché spesso mescolate cose anche diversissime. Penso sia una cosa molto particolare, ma anche un grande punto di forza che avete come paese. Considerando che siete anche un paese tutto sommato piccolo, questo è molto affascinante. Nel tuo album come abbiamo detto affronti una sorta di analisi, e parli dell’argomento stesso di andarci, in analisi. È una cosa che spesso si pensa richieda coraggio, esporsi su questo argomento. Per te è stato difficile?

No perché per me è stato sempre molto facile essere aperta su questo argomento. E in realtà sono stata aperta a parlarne fin dall’inizio della mia carriera, perché sono anche madrina di un progetto famoso in Belgio, che aiuta i giovani e le persone a combattere la depressione e ad abbattere i Taboo sulla sanità mentale. E anche la mia famiglia è sempre stata aperta all’argomento, perché fa parte della nostra genetica. I miei nonni da entrambi i rami famigliari sono stati pazienti psichiatrici. Quindi ho iniziato ad andare dagli psichiatri fin da quando ero una bambina piccola. È stata sempre una discussione aperta nella nostra famiglia. Per questo è sempre stato facile per me, dal giorno uno in cui ho iniziato a fare musica, parlarne, essere aperta, perché era una parte così grande della mia vita. Per me anche fare musica è come se fosse una specie di terapia, è come il mio diario, dove una volta che hai scritto i testi è come se gli avessi dato forma e te li potessi lasciare alle spalle più facilmente. Non mi sono mai sentita imbarazzata ne in difficoltà nel parlare di questo. L’ho trovato molto molto facile e naturale.

Abbiamo attraversato tutti un periodo molto dura, che ci auguriamo sia al tramonto. Ma ora sei uscita con il tuo nuovo disco, e ci saranno concerti con cui lo porterai in giro. Non sei impaziente di vedere, guardandola in faccia, come la gente reagirà a un disco così personale?

Si, oh mio Dio, si. E sono pronta. Mi sento come fossi realmente rinata. E molto dipende dal fatto che ho abbandonato quegli antidepressivi e ora tutto mi arriva con una forza inedita. C’è stato il Lockdown, e io sono pronta a vedere la gente dal palco. Vederla baciarla, abbracciarla, ballare. Sono pronta a tutta questa merda, per favore datemela. Come dici tu speriamo che non capiti nient’altro che possa interrompere tutto di nuovo, ma sono abbastanza fiduciosa, perché ho fatto un paio di live per promo, e ho visto la gente pronta a vivere di nuovo la sua vita. Quindi dai, speriamo.

L’ultima domanda riguarda te. Con questo disco abbiamo imparato a conoscerti meglio, in tutti i tuoi aspetti. La domanda è: come stai adesso, alla fine di questo percorso, del lavoro su questo disco?

Ora sto davvero bene. Sono ad un ottimo punto, per diversi fattori. Sono diventata anche mamma, sono mamma di due piccoli bimbi, mi sono presa una pausa di sette anni per essere presente con loro. Questo mi ha dato molta self confidence per quanto riguarda il mio corpo, il mio potere mentale. Sono più grande, più sicura di me, ho una nuova band, con una nuova energia. Loro arrivano dal Jazz, quindi sul palco sono fortissimi. Siamo amici, quindi ci godiamo lo stare insieme, ci godiamo il pubblico. E sono pronta, sono davvero pronta. Ho anche un’energia nuova sul palco, ballo, faccio delle coreografie, che è una parola che credo di non aver neanche mai pronunciato fino a pochi anni fa. Sono semplicemente una persona nuova che è pronta a condividere buona musica, quindi sono felice.

  • Autore articolo
    Matteo Villaci
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    Le dita mozzate: un “very cold case” preistorico che indaga la sottomissione femminile

    Edizioni le Assassine pubblica e continuerà a pubblicare letteratura gialla nei suoi molteplici sottogeneri, proponendo e riscoprendo autrici del presente e del passato. L'obiettivo è quello di mettere in luce la capacità dello sguardo femminile di descrivere, decifrare e interpretare vari contesti sociali, senza mai sacrificare la suspense che è tipica di questo genere. Con gli stessi obiettivi, nasce ora la nuova collana Sisters, che apre a voci inedite in grado di creare storie appassionanti e memorabili, portando il lettore su sentieri narrativi inaspettati. Il primo titolo di Sisters è "Le dita mozzate" di Hannelore Cayre, un noir atipico in cui il nostro passato remoto diventa lo sfondo perfetto per indagare la nascita della sottomissione femminile e le sue origini, ambientato nella preistoria ispirandosi alla scoperta, avvenuta in Francia esattamente quarant'anni fa, della famosa Grotta Chauvet, con le sue pareti ricoperte di misteriose impronte di mani femminili mutilate. Ne ha parlato a Cult la traduttrice Simonetta Badioli.

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    Prima puntata di Considera l'armadillo, noi e altri animali. In studio @Rosario Balestrieri, ornitologo della @Stazione Zoologica Anton Dohrn. Si è parlato di voci di uccelli estinti, di rondini, storni, bianconi e delle loro migrazioni. In studio Cecilia Di Lieto.

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