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Perché Salvini sembra meno aggressivo

Josefa

Nell’intervista di ieri al Corriere della Sera, il ministro dell’Interno Matteo Salvini si è dedicato a temi quali le tasse, le nomine negli enti pubblici, l’economia. Sull’immigrazione, solo un passaggio in cui ha rivendicato i risultati ottenuti in termini numerici ma nessun tono di sfida, nemmeno l’ombra della baldanza con cui fino ad alcuni giorni fa il leader della Lega ha tenuto banco.

Cosa è cambiato? Perché Salvini è meno attivo di prima sui social, meno aggressivo?

Un’ipotesi la facciamo. A frenare l’irruenza mediatica di Salvini contro i migranti, a consigliargli un profilo più basso, potrebbero essere state le fotografie della donna e del bambino annegati nel Mediterraneo. Salvini si è dimostrato, fino a oggi, il dominatore della comunicazione politica italiana. La crescita vertiginosa della Lega è dovuta quasi del tutto alla sua abilità nell’uso dei media. Salvini conosce bene la potenza di una immagine. E ha capito che quei cadaveri che galleggiano sopra ai resti di un barcone distrutto hanno suscitato un’emozione fortissima che ha abbattuto, anche se per poco, le barriere politiche, è andata oltre gli schieramenti.

Immagini così svelano la verità: nel Mediterraneo i migranti muoiono. Ed è una verità che può fare perdere consensi. Forse non è un caso che nell’intervista al Corriere Salvini si sia preoccupato di dire “meno persone partono, meno persone rischiano di morire”.

Il ministero dell’Interno aveva tentato, all’inizio, di accreditare una tesi diversa rispetto alla ricostruzione della Ong spagnola Open Arms che accusava la Guardia Costiera libica, citando un testimone che avrebbe smentito le responsabilità libiche. Ma la smoking gun, la pistola fumante del Viminale non è mai comparsa e anzi Josefa, la donna sopravvissuta al naufragio, potrebbe essere una testimone preziosa.

A proposito di Josefa: da parte di ambienti vicini alla destra è partito un tentativo di discredito. È stato cercato di far credere che la donna camerunense avesse le unghie delle mani smaltate di rosso al momento del salvataggio, un dettaglio che avrebbe dovuto dimostrare come l’intera operazione fosse una messa in scena. Morti compresi, si può facilmente dedurre.

Smentire la bugia è stato piuttosto semplice: lo smalto è stato applicato alle mani di Josefa dalle operatrici di Open Arms durante il viaggio verso la Spagna. Intanto però, ieri sera, digitando ‘Josefa’ su Google, le prime sette pagine coi risultati della ricerca erano occupate da notizie sulla bugia dello smalto.

Di cosa accaduto quella notte in mare, non si parla più. Chi cercherà di continuare a farlo è Open Arms, la Ong spagnola che sta dimostrando di avere, nei confronti del governo italiano e del suo ministro dell’Interno, una strategia di attacco. Anche questa è una novità e Salvini è stato abituato a essere sempre lui all’attacco, costringendo gli altri a difendersi e a rincorrere. Quando si ritrova nella posizione di chi deve rispondere, non è nel suo terreno preferito.

Un esempio in questo senso è l’iniziativa delle magliette rosse che ha indotto lui e diversi media a lui vicini a rispondere tentando ancora una volta la strada del discredito: i radical chic del centro, i comunisti col Rolex. Se può avere qualche presa una invettiva che attacchi gli avversari politici con stereotipi triti e tristi, più difficile è usare il registro dell’attacco aggressivo di fronte ai morti e alle sofferenze che si materializzano sugli smartphone di tutti gli italiani attraverso le fotografie.

Volete sapere com’è morire in mare? Com’è essere naufraghi? È così” hanno detto quelle immagini. Pochi giorni fa, per citare due esempi, il ministro dell’Interno sfotteva una sentenza della Corte di Cassazione scrivendo su Twitter “andate via, andate via, andate via” dopo che i giudici avevano stabilito che dire a degli immigrati “andate via” durante una aggressione comporta l’aggravante di odio razziale. Oppure teneva bloccata per giorni una nave della Guardia Costiera italiana che aveva salvato decine di persone perché voleva a tutti i costi che i migranti scendessero dalla nave in manette.

Forse, è un’altra ipotesi, Salvini avrà pensato che qualcuno potrebbe chiedere conto a lui e al presidente del Consiglio più assente della storia della Repubblica, Giuseppe Conte, delle difficoltà internazionali: il no del governo libico alla creazione di Hot Spot sul territorio del Paese africano; il no dei Paesi dell’Europa orientale, il cosiddetto ‘blocco di Visegrad’ guidato dall’Ungheria di Orban alla solidarietà chiesta dal leader leghista che pure li considera un punto di riferimento politico; la delusione per i risultati del vertice europeo sull’immigrazione.

E ieri sera il ministro degli Esteri Moavero ha ribadito che la missione militare europea di salvataggio Sophia continua, in attesa di modifiche. Intanto, i porti italiani rimangono aperti, ha detto Moavero. Qualcuno potrebbe chiedere conto di queste cose al Governo. Se ci fosse un’opposizione determinata a fare l’opposizione con la stessa tenacia che usavano Salvini e i 5 Stelle quando erano loro l’opposizione al governo di centrosinistra.

Josefa

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    Luigi Ambrosio
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    Questa settimana Elijah Wald è in Italia per portare sul palco, tra Milano, Torino e Piacenza, le sue storie su Bob Dylan e il Greenwich Village di New York. Chitarrista folk blues ma anche narratore e giornalista musicale, attraverso canzoni e racconti Wald ripercorre nel suo spettacolo il cammino di Dylan e dei tanti personaggi di quel periodo irripetibile. Da Woody Guthrie a Pete Seeger, da Eric Von Schmidt a Dave Van Ronk - quest’ultimo anche protagonista del film dei fratelli Coen “A proposito di Davis” e realizzato partendo proprio dal memoir scritto da Wald. Oggi Elijah è venuto a trovarci a Radio Popolare per raccontarci la sua storia e suonarci alcuni brani tra Mississippi John Hurt, Paul Clayton e Victor Jara. Ascolta l’intervista e il MiniLive di Elijah Wald.

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    Una mostra fotografica ripercorre i 50 anni di Radio Popolare. Dal 14 dicembre a Milano

    Domenica 14 dicembre alle ore 10, presso la Sala Cisterne della Fabbrica del Vapore, a Milano, inaugura la mostra "50 e 50. La mostra. Radio Popolare 1975 - 2025", una delle prime iniziative organizzate per celebrare il 50esimo anniversario dalla fondazione di Radio Popolare. La mostra racconta i cinque decenni "di onda" attraverso venti storie realizzate dai fotografi che in questi anni sono stati vicini alla radio. Inoltre, la mostra ospiterà un’interpretazione creativa realizzata da Studio Azzurro dei video che ricostruiscono la storia di Radio Popolare. La mostra sarà allestita fino al 25 gennaio. Tiziana Ricci ce la racconta insieme a Giovanna Calvenzi, che ne è la curatrice.

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