Approfondimenti

Perché l’Anac indaga sui fondi Expo

L’Autorità nazionale anticorruzione di Raffaele Cantone sta indagando sui fondi governativi Expo assegnati al Tribunale di Milano senza gare pubbliche. Si tratta di appalti per 16 milioni di euro.

La Guardia di Finanza mercoledì 8 e giovedì 9 febbraio ha acquisito in Comune a Milano atti e informazioni sulle gare d’appalto relative a questi 16 milioni stanziati e spesi per servizi telematici e infrastrutture informatiche per il Palazzo di Giustizia.

Gli accertamenti amministrativi dell’Anac fanno seguito a segnalazioni arrivate dalla Corte d’Appello e dalla Procura generale di Milano. Le perquisizioni sono state fatte negli uffici di Palazzo Marino perché il Comune di Milano è stato la stazione appaltante nella gestione di quei fondi e di quegli appalti. Fondi stanziati dal governo nel 2009 e distribuiti dalle giunte Moratti e Pisapia per ammodernare e informatizzare il Tribunale in vista di Expo 2015 sulla base del protocollo sottoscritto dal “Tavolo Giustizia” firmato nel dicembre del 2009.

La legge prevede la possibilità di non fare gare pubbliche anche per appalti al di sopra di 40mila euro, ma se si scavalca questa asticella l’affidamento diretto diventa un’eccezione da spiegare con “adeguata motivazione nella delibera o determina a contrarre”. L’Anac vuole verificare che tutto si sia svolto correttamente e se emergeranno profili penali li segnalerà all’autorità giudiziaria.

I primi ad accorgersi di questa montagna di soldi Expo affidati senza gare furono quelli di Giustiziami.it, blog su cui scrivono cronisti di giudiziaria milanesi. Il primo luglio 2014 pubblicarono un’inchiesta dal titolo “Milioni di fondi Expo per il Tribunale assegnati senza gara. Perché?”.

“Alcuni milioni di fondi governativi sono stati destinati al Tribunale di Milano nel nome di Expo col meccanismo degli appalti diretti, lo stesso che viene indicato nelle inchieste della Procura di Milano sull’Esposizione Universale come la possibile anticamera delle tangenti. E’ una storia lunga quella che vi stiamo per raccontare, iniziata molti mesi fa da un passaparola nei corridoi del Palazzo. “C’è qualcosa che non quadra sui fondi Expo”. Abbiamo bussato alle porte di alcuni uffici giudiziari e a quelle del Comune per capire come siano stati spesi i 12,5 milioni di euro destinati a rendere scintillante il Tribunale. La gestione del denaro è avvenuta su un doppio fronte, politico e giudiziario: da un lato la magistratura milanese e il Ministero della Giustizia, dall’altro Palazzo Marino. Non è stato facile capirci qualcosa. La richiesta di esaminare le carte degli appalti formulata al Presidente della Corte d’Appello Giovanni Canzio è stata ritenuta “irricevibile” con l’invito di rivolgersi al Comune. In Comune, il funzionario che si occupa degli appalti degli uffici giudiziari, Carmelo Maugeri, ci ha rimandati all’assessore ai Lavori Pubblici Carmela Rozza. Quest’ultima, con molto garbo e appellandosi alla “trasparenza” dell’amministrazione, di fronte alle ritrosie di Maugeri  ha consentito l’accesso, con divieto di farne copia, a un file stracolmo di documenti, delibere, determinazioni.  Un mare di burocrazia.”

Inizia così l’inchiesta di Giustiziami.it che puntualmente ha scritto sulla vicenda qui, qui e qui. Abbiamo intervistato l’autrice di queste inchieste, la giornalista Manuela D’Alessandro.

Perché la Finanza ha fatto questi acquisizioni proprio nella sede del Comune di Milano?

“È andata a Palazzo Marino su mandato dell’Anac perché stanno cercando documenti che riguardando tutti gli appalti che hanno portato all’assegnazione di 16 milioni di fondi governativi Expo. Il Comune di Milano era la stazione appaltante, i fondi erano destinati al miglioramento della giustizia milanese in vista dell’Esposizione. L’Anac vuole capire perché non sono state fatte le gare”.

Di cosa vi eravate accorti a luglio 2014?

“Siam partiti da voci di corridoio in tribunale, siamo andati in comune e l’assessore Rozza con grande trasparenza ci ha messo a disposizione tutte le carte. Ci siamo accorti che questi 16 milioni erano stati assegnati con affidamenti diretti anche quando erano per lavori superiori a 40 mila euro. Una fattispecie che la legge consente in condizioni eccezionali. Secondo noi quelle condizioni non c’erano. La segnalazione che ha portato Anac a Palazzo Marino parte dalla Corte d’Appello. Di solito si cerca il contraente migliore tramite gara quando ci sono di mezzo così tanti soldi, in questo caso non è stato fatto”.

Chi ha stanziato questi 16 milioni?

“Il Governo nel 2009. La stazione appaltante era il Comune di Milano, gli uffici giudiziari hanno segnalato le loro necessità individuate in particolare nel miglioramento del processo civile telematico. Ma ci sono anche casi clamorosi come quello dei quasi 200 monitor appesi per tutto il tribunale di Milano, costati oltre 2 milioni di euro e ancora spenti e non funzionanti. Si voleva aiutare il cittadino a orientarsi nel labirinto del Palazzo di Giustizia, non sono mai stati accesi”.

Quindi non sono fondi stanziati da Expo Spa?

“No, sono fondi del Governo stanziati in nome di Expo. Poi c’è stato un doppio canale: Comune di Milano e uffici giudiziari milanesi che hanno deciso come utilizzare questi soldi”.

Il Tar lombardo aveva bocciato una parte di questi fondi.

“Sì, aveva stabilito che una società bolognese aveva agito in modo discriminatorio non rispettando le regole della concorrenza, ottenendo una fetta importante degli appalti soprattutto sul fronte del processo civile telematico”.

Ma almeno sono stati soldi ben spesi?

“Dello scandalo dei monitor abbiamo già detto, sul processo civile telematico ci sono tante lamentele. Qualche miglioramento c’è stato, ma restano ancora tante lacune e il dubbio che questi soldi potessero essere spesi meglio e assegnati diversamente”.

Ascolta l’intervista completa a Manuela D’Alessandro

Manuela D’Alessandro

  • Autore articolo
    Roberto Maggioni
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    C’è un tesoro in Italia, ambito da sempre, ed è il tesoro delle Assicurazioni Generali. Chi comanda a Trieste, comanda su un pezzo importante del paese. Per 70 anni il tesoro delle Generali è stato controllato da Mediobanca, che una volta era il salotto del capitalismo familiare italiano e oggi è una solida banca milanese. Nell’ultimo anno, grosso modo, due capitalisti nostrani, non si sa se anche coraggiosi, Francesco Gaetano Caltagirone, insieme a Francesco Milleri, hanno portato a termine il colpo del secolo: con un’operazione di scambio di azioni – e con il concorso esterno del MPS, fino a qualche mese fa banca di stato - hanno cacciato i vecchi azionisti dagli uffici di piazzetta Cuccia a Milano (Mediobanca) e al loro posto ci hanno messo se stessi più alcuni amici, e amici di amici. In questo modo l’immobiliarista e editore Caltagirone, insiene al socio un po’ litigioso degli eredi Luxottica, hanno preso il controllo di Mediobanca. E lo hanno fatto con l’aiuto del MPS, banca pubblica privatizzanda. Preso il controllo di Mediobanca, i “nostri” Caltagirone&Soci hanno cominciato a vedere terra, la costa triestina, la casa mitteleuropea di Generali. Ora, su tutta questa operazione – sommariamente sintetizzata – qualcosa non ha funzionato. La Procura di Milano sta indagando per il mancato rispetto di alcune sostanziose formalità da codice penale: il “concerto” non previsto, il rispetto del “mercato” e delle autorità di controllo. Aspettiamo fiduciosi che la giustizia faccia il suo corso, mentre la politica rivendica i propri meriti, giusti o sbagliati che siano. Pubblica oggi ha ospitato il giornalista e saggista Vittorio Malagutti (Domani) e il senatore del Pd Antonio Misiani.

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