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Party-gate, non solo i laburisti chiedono le dimissioni di Boris Johnson

Boris Johnson Gran Bretagna

Il 17 aprile 2021, la regina Elisabetta sedeva sola nella cappella di St. George, al castello di Windsor. Abito nero, cappello nero e mascherina nera. Da sola, nel rispetto delle regole anti covid che erano vigenti nel Regno Unito a quel tempo, assisteva al funerale di suo marito, il Principe Filippo.

Non molte ore prima, a Londra, al numero 10 di Downing Street, lo staff di Boris Johnson teneva due distinte feste di addio per due membri del gruppo che cambiavano lavoro: uno dei fotografi personali di Johnson e James Slack, capo della comunicazione del primo ministro. Le due feste, iniziate in due aree divise della residenza del primo ministro britannico, si sono poi unite e i festeggiamenti sono andati avanti fino alle prime ore del mattino.

La notizia di questa festa si è diffusa oggi, a partire da un’inchiesta del Daily Telegraph, ma quella del 16 aprile non è stato l’unico party che c’è stato a Downing Street mentre per il resto del paese erano vietati. La lista è lunga. La prima è stata il 15 maggio 2020, nel giardino della residenza del premier. Circa 17 persone, tra cui Boris Johnson, si sono trovati a bere vino e mangiare formaggio. Di quella festa, qualche settimana fa era circolata una foto, che aveva fatto scoppiare lo scandalo. Poi, qualche giorno dopo, sono emerse alcune email che invitavano circa 100 persone a un party il 20 maggio dello stesso anno. Tra le circa 40 persone che poi hanno effettivamente partecipato, c’era anche il premier. Il tutto, in uno dei momenti più critici della pandemia, mentre i britannici erano chiusi in casa e potevano uscire solo per bisogni essenziali. Da lì, come un effetto domino, sono emerse tante, troppe, altre feste organizzate a Downing Street. L’ultima, resa nota oggi poco dopo quella della notte del funerale del principe Filippo, coinvolge diversi membri della task force contro il covid 19, che il 17 dicembre 2020 si sono trovati per festeggiare un membro del comitato che lasciava l’incarico.

Il 16 aprile 2021 però, nel Regno Unito, non solo c’era il divieto di fare assembramenti, ma era anche giornata di lutto nazionale. Secondo il portavoce del premier, Johnson quella sera non era presente, ma il risultato non cambia. Il Party-Gate, come viene chiamato dai media, ha generato una grande rabbia tra i britannici. Il messaggio è: le regole valgono per tutto il paese, compresa la regina, ma non per la sua leadership. Solo per fare un esempio concreto di questo, il giornale The Evening Standard, ha intervistato una donna che è stata multata con una sanzione di 12mila sterline per aver organizzato una festa per il sue 27esimo compleanno il 17 aprile, andando contro la regola del “no assembramenti”.

Per la seconda volta in una settimana, il governo si è scusato. Prima in parlamento, mercoledì, e oggi direttamente alla regina. Ma le scuse sono sembrate annacquate, inefficaci e, soprattutto, insufficienti. Le voci tra i laburisti che chiedono le dimissioni del primo ministro si stanno moltiplicando e anche tra i conservatori, si sta diffondendo il timore che le continue figuracce di Johnson mettano in cattiva luce e discreditino il partito intero.

Queste ultime rivelazioni, però, sembrano la goccia che fa traboccare un vaso ormai stracolmo. In un articolo del 15 dicembre, il Guardian si chiedeva se Johnson sarebbe arrivato a natale senza altri scandali. La risposta, poi, è stata no. La foto della festa del maggio 2020, infatti, è arrivata in un periodo di già grande crisi per il suo governo. A marzo 2020, il suo tasso di popolarità era al 66%. A giugno 2021 era al 48%. Oggi è ormai al 23%. Il Financial Times oggi scrive che per Boris Johnson “the game is up”, è la fine dei giochi. I passi falsi sono stati troppi. Dentro e fuori dal partito Conservatore si parla apertamente di chi potrebbe sostituire Johnson nelle prossime settimane o nei prossimi mesi. Forse, quello che ancora lo mantiene sulla sua poltrona, è che non sia uscito un nome che metta d’accordo tutti, ma sembra solo questione di tempo.

  • Autore articolo
    Martina Stefanoni
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    “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Secondo episodio: La guerra non è popolare. L’Europa si riarma con 800 miliardi. In questi anni aveva già raddoppiato la propria quota di spese militarti, soprattutto comprando dagli Stati Uniti. Lo faremo di più, visto che Trump disinvestirà dalla Nato e dall’Europa. E’ la “fine delle illusioni”, come dice Von der Leyen, di essere garantiti dalla pace, perché d’ora in poi bisognerà usare la forza. E intanto si educa la popolazione con manuali che dicono: “In caso di guerra…”. La propaganda è altissima perché non c’è nulla di più antipopolare e antidemocratico della guerra e la militarizzazione d’Europa è tutta sulle spalle dei suoi cittadini. Con Michele Paschetto di EMERGENCY vi racconteremo come in Afghanistan in più di venti anni di guerre le cure abbiamo svolto un ruolo straordinario di mediatore. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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    Ho detto R1PUD1A di Claudio Jampaglia e Giuseppe Mazza per EMERGENCY “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Primo episodio: Le parole sono importanti. In questa prima puntata di “Ho detto R1PUD1A” Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia spiegano cosa significa la parola “ripudia” nella Costituzione italiana e perché è stata scelta per rappresentare il “mai più” alla guerra del popolo italiano dopo la Liberazione. Non siamo i soli ad avere fissato questo principio nelle nostre leggi. La guerra però sta tornando una prospettiva concreta, almeno secondo la maggior parte dei governi, che si riarmano, Italia compresa. Con Rossella Miccio, presidente di EMERGENCY, vi racconteremo poi l’esempio del Sudan, il Paese dove la guerra ha già causato in questi due anni oltre tre milioni di profughi. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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    Una trasmissione settimanale  a cura di Anaïs Poirot-Gorse con in regia Nicola Mogno. Una trasmissione nata su Shareradio, webradio metropolitana milanese che cerca di ridare un spazio di parola a tutti i ragazzi dei centri di aggregazione giovanili di Milano con cui svolgiamo regolarmente laboratori radiofonici.

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