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La solitudine di Jackie

Una donna sola con la consapevolezza di quale sia il suo posto nel mondo e nella famiglia. Una donna, una moglie, una madre, una vedova alla ricerca della verità e decisa a passarla al popolo così com’è, senza filtri mediatici o di convenienza. Jackie del regista cileno Pablo Larraìn, in concorso a Venezia 73, racconta la Storia dal punto di vista di Jacqueline Lee Bouvier Kennedy, con l’attrice Natalie Portman così perfetta nella parte da aver stravolto completamente la voce per trasportare lo spettatore nella White House con tutta la fedeltà possibile, come riportava una celebre diretta televisiva dell’epoca che si intrufolava per la prima volta nelle stanze dei Presidenti.

Quel tragico giorno a Dallas nel novembre 1963 viene ricordato in vari momenti del film attraverso le parole e le immagini che la donna riferisce a un giornalista che la sta intervistando (Billy Crudup), conversazione che farà da filo trainante con il flusso di ricordi di quei giorni fino al funerale, in cui Jackie era affranta e confusa, ma con le idee chiare sul lascito che il marito avrebbe voluto consegnare ai posteri. E accanto a questo tentativo di ricostruzione umano e politico, c’è quello di un dialogo privato con un prete (John Hurt) che la invita a cercare in questa morte la prova dell’esistenza di Dio. Ma con scarsi risultati, perchè la donna non riesce a credere che nella sfortuna abbattutasi sui Kennedy ci sia una strategia divina.

Larraìn e la Portman mostrano una donna abbandonata al suo dolore, contornata da gente incapace di comprenderla e darle conforto, ufficiali e staff più preoccupati dall’etichetta e dal conformismo che di trasmettere la verità. Oltre allo smarrimento di Bobby Kennedy (Peter Sarsgaard), che di fronte alla carriera politica del fratello, stroncata nel bel mezzo della costruzione di ideali da lasciare al futuro degli USA, cita Lincoln.

Mentre lei lotta con la disperazione lancinante e la necessità di andare avanti, di far crescere i figli serenamente, di essere una madre forte tra passato e futuro, dimenticando i privilegi da First Lady, è determinata nell’organizzare, sconsigliata dalla forze di sicurezza e dal nuovo Presidente Johnson, un funerale per tutto il popolo, visibile a tutto il mondo.

Il film di Larraìn riesce nell’intento di far emergere ricordi personali, rendendo universale e umanamente riconoscibile un momento storico così particolare.

Riesce nella ricostruzione di un’epoca, con i suoi ambienti e costumi facendo un film che si discosta molto dal suo stile cinematografico riconoscibile in film come Tony Manero, No-I giorni dell’Arcobaleno o Il Club, eppure si ritrova il motore dei suoi interessi, come l’importanza politica di cercare la verità, il riconoscimento di una spinta rivoluzionaria nei personaggi che racconta (come fu per Neruda) e l’interesse per i capi di Stato morti tragicamente (come Allende in Post Mortem).

Probabilmente con Jackie, il regista cileno tenta di ristabilire i conti con la storia dal suo osservatorio sudamericano, sottolineando come l’assassinio di Kennedy abbia modificato lo sguardo del mondo nei confronti degli Stati Uniti, molto prima dell’ 11 settembre 2001, giorno che – a dieci anni dalla morte di Kennedy – ha funestato il Cile nel 1973 con l’uccisione di Salvador Allende e il colpo di Stato di Pinochet.

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In concorso è passato anche il documentario di Terrence Malick Voyage of time. Un omaggio a Madre Terra, quella Mother che la voce ruvida e profonda dell’attrice Cate Blanchette invoca sulle immagini che scorrono nel film. Un grido di allarme, tra paesaggi meravigliosi del nostro pianeta alternati a luoghi distrutti dal passaggio e dalla violenza dell’uomo. Il regista di The tree of life torna all’immensità portandola questa volta a un livello più scrutabile, mettendo chi guarda di fronte alle proprie responsabilità e possibilità di salvare tanta bellezza. Solo immagini, molte meravigliose di natura e animali e ogni tanto una voce fuori campo severa e ammonitrice. Non a caso tra i produttori del film figura Jacques Perrin, attore e regista di film come Il popolo migratore e una vasta produzione di documentari sulla natura.

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  • Autore articolo
    Barbara Sorrentini
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    A Milano arriva il Godai Fest: Rodrigo D'Erasmo, tra gli ideatori, ce l'ha raccontato

    Sabato 20 e domenica 21 settembre al Paolo Pini di Milano si terrà la prima edizione del Godai Fest, il festival multidisciplinare che unisce la musica alle arti performative e visive nato da un’idea del musicista Rodrigo D’Erasmo, del produttore Daniele Tortora e dell’artista visivo Cristiano Carotti per abbattere i recinti di genere e di partecipazione, connettere le arti, sperimentare nuovi linguaggi, ampliare le visioni. L’arte, in tutte le sue declinazioni, sarà protagonista di un viaggio attraverso i 4 elementi della cultura umana (Fuoco, Terra, Acqua, Aria) ai quali si aggiunge, secondo la filosofia orientale, il principio del Vuoto. Ad ogni elemento corrisponde un curatore: Rodrigo D'Erasmo in questa intervista di Elisa Graci e Dario Grande a Volume ci ha presentato il concetto e il programma di questo festival.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Il primo Pride della Valtellina Chiavenna. L'emozione, ha fatto salir la fame! Per merenda: pane burro e acciughe con bollicina,. Poi via si torna a Milano, al Piccolo Salone del Libro Politico al Conchetta. Vuoi segnalare un evento, un’iniziativa o raccontare una storia? Scrivi a vieniconme@radiopopolare.it o chiama in diretta allo 02 33 001 001 Dal lunedi al venerdì, dalle 16.00 alle 17.00 Conduzione, Giulia Strippoli Redazione, Giulia Strippoli e Claudio Agostoni La sigla di Vieni con Me è "Caosmosi" di Addict Ameba

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    In Etiopia inaugurata la diga della discordia

    Il 9 settembre, dopo 14 anni di lavori, l’Etiopia ha inaugurato ufficialmente la Gerd, la Grand Ethiopian Renaissance Dam, il più grande progetto idroelettrico d'Africa, e tra i 20 più grandi al mondo. Da anni la diga è anche causa di tensione con i paesi a valle del Nilo: Sudan e soprattutto Egitto, che temono di vedere ridotte le proprie risorse idriche, anche in considerazione dei sempre più frequenti periodi di siccità. “Questa diga sarà certamente uno degli epicentri di tensione di questa regione nel prossimo futuro” spiega Luca Puddu, docente di storia dell’Africa all'Università di Palermo, al microfono di Sara Milanese. Ascolta l’intervista andata in onda in A come Africa.

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    Volume di mercoledì 17/09/2025

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