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Omicidio Tupac, ventisette anni per un arresto

Tupac shakur

“ Il Governo Odia il rap. Non potete farmi credere che riescono a trovare Saddam Hussein in un buco nel maledetto Iraq, quando Tupac è stato ucciso a Las Vegas, sulla strip, davanti a una folla di persone, ma non riescono a capire chi è stato!”.

Questo era il commento di Chris Rock su uno degli omicidi più discussi e apparentemente misteriosi della storia della musica. Tupac è stato ucciso sulla Strip, nel pieno centro di Las Vegas, una notte di settembre del 1996, quando una Cadillac si è affiancata alla sua auto ferma a un semaforo e l’ha crivellata di colpi. Un caso senza soluzione per decenni, che arrivava al culmine di un’escalation di rivalità e violenza che caratterizzava la scena hip hop statunitense nel bel mezzo degli anni novanta. Costa est e costa ovest, arte che si mescolava a gang di strada e rabbia sociale generando uno scenario tanto florido, quanto teso e pericoloso. Scenario che abbiamo provato a raccontare, approfondendolo, nel podcast “Who Shot Ya”, a disposizione sui profili di Radio Popolare, prendendo le mosse proprio dagli omicidi di Tupac e Notorious B.I.G.

Ventisette anni per giungere a un arresto, quello di Duane Davis, aka Keefe D, che pone fine a decine di teorie legate alle gang, all’ambiente del rap, ma anche all’FBI, fino all’elaborata teoria che negherebbe addirittura la sua morte, che Tupac avrebbe inscenato per nascondersi in qualche paradiso tropicale. Davis era sicuramente presente sulla scena dal crimine, seduto sul sedile anteriore della Cadillac bianca che si avvicinò all’auto del rapper per sparare.

Da tempo Davis afferma però di non essere l’assassino, dicendo invece che suo cugino Orlando “Baby Lane” Anderson, a sua volta ucciso l’anno dopo, fosse colui che ha ucciso Shakur. Lo avrebbe fatto in seguito a un pestaggio, avvenuto poche ora prima, di cui era stato vittima da parte dell’entourage di Tupac, e del rapper stesso. Un omicidio a sangue caldo dunque, che smentisce qualsiasi complessa e affascinante dietrologia. Un omicidio che ha però a sua volta alimentato la faida, gettando benzina sul fuoco, attraverso sospetti e accuse reciproche, pur essendo avvenuto di fronte a molti testimoni, anche delle due fazioni coinvolte. Resta da capire come mai la realtà, molto meno complessa di quanto potesse apparire, sia emersa solo ora. Perché se da un lato c’è più che il sospetto che la polizia avrebbe potuto fare di più, viene anche da domandarsi chi da una situazione di tensione e rivalità abbia potuto trarre vantaggio, a partire dagli entourage, soprattutto manageriali, degli artisti stessi. La guerra, lo schierarsi, aiutava a tenere i riflettori accesi sulla scena e, in ultima analisi, vendere. La domanda dello strano tempismo oggi se la stanno ponendo, attraverso i social, il fratello e la sorella di Tupac. Che allo stesso tempo però esprimono sollievo per il fatto che finalmente si stia arrivando a una verità condivisa. E ci avvisano. Molto altro verrà alla luce.

  • Autore articolo
    Matteo Villaci
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    Fratellanza e spiritualità, dall’Italia alla Nigeria: Wayloz racconta "We All Suffer"

    È da poco uscito il secondo EP di Wayloz, artista italo-nigeriano che oggi è passato a trovarci a Volume per suonare alcuni brani. “Mentre nel precedente ep ho voluto catturare l’essenza di ciò che ero io con la chitarra in mano, qui c’è molto più spazio per gli arrangiamenti e per altri strumenti musicali”, spiega Wayloz. Tra folk primitivo, altrock, blues e suoni dell’Africa tribale, il disco è un viaggio tra atmosfere desertiche e rurali, che esplora il rapporto con la natura ma non solo: il titolo “We All Suffer” è più che altro un invito a riconoscere una condizione che è di tutti e a “trovare solidarietà e fratellanza con le altre persone”. L'intervista di Elisa Graci e Dario Grande e il MiniLive di Wayloz

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