
Vent’anni dopo ricordo fra le mani quell’agenzia che batteva di un giovane morto in un controllo a Ferrara, e la pista era quella di un giovane in preda alla droga, che dava in escandescenze. Iniziammo a trattare la notizia in “Pop line, i fatti prima che diventino notizie”, diceva la sigla. E infatti. E poi arrivò il blog con il messaggio della madre di Federico Aldrovandi, Aldro. E da lì iniziò il doloroso racconto e raccolta di informazioni. “L’omicidio Aldrovandi” è stata la prima puntata di una trasmissione di Popolare Network, un anno dopo: si chiamava Radiocronache. Andai sul posto, ricostruii i fatti con Giusi Marcante della radio di Bologna, parlai con Patrizia e Lino, i genitori e con lo zio, che era andato a riconoscere il cadavere e non riusciva a trattenere lo sdegno e le lacrime mentre mi raccontava del volto sfigurato e delle tracce di sangue e le fratture multiple. Mi portarono nella stanza di Aldro e ci entrai come si entra in un luogo sacro. Ho parlato con gli amici, al parchetto dove si trovavano, sono andato a vedere il luogo in cui i quattro agenti lo hanno picchiato fino a spezzare i manganelli e poi lo hanno schiacciato fino a farlo morire. E in questura una fonte, che rimase anonima, mi raccontò di quella notte e di come partirono le finte piste per insabbiare quello che è la verità, che quella notte “È stato morto un ragazzo”. La manifestazione, un anno dopo, si apriva con lo striscione “Verità, grido il tuo nome”, mentre politici senza vergogna, come Carlo Giovanardi, insultavano la madre e il figlio e negavano di fronte all’evidenza. Era quattro anni dopo il G8 di Genova e le nostre orecchie erano dritte. Aldro non è stato l’ultimo. Ma è quando una notizia di cinque righe diventa una storia, quando si scopre la verità, la protervia del potere, provoca rabbia e sdegno anche vent’anni dopo. Come davanti a quel posto nel parchetto dove un giovane venne massacrato al rientro verso casa. A questo serve, credo, la cronaca che si fa memoria. Per dire ancora oggi: Aldro vive.
Angelo Miotto