Approfondimenti

Nella morsa del gelo e del cinismo europeo

“Ci sono stati sette casi di congelamento a Belgrado nelle sole ultime 24 ore. Il congelamento fa sì che il sangue non raggiunga le estremità del corpo, addormenta i nervi e nei casi più gravi può essere trattato solo con l’amputazione perché i tessuti muoiono”.

A parlare con noi da Belgrado, capitale della Serbia, è Andrea Contenta, Esperto affari umanitari di Medici Senza Frontiere (Msf).

Il suo tono è molto preoccupato perché – sostiene – il numero di congelamenti aumenterà entro il fine settimana. Le temperature hanno raggiunto, nei giorni scorsi, i meno16 gradi e il numero di persone, migranti e rifugiati, bloccate a Belgrado è salito a duemila.

Ci sono 30 centimetri di neve e le persone non hanno vestiti, coperture per questo clima. Una situazione drammatica e insostenibile.

Queste alcune testimonianze:

“Le ultime tre notti sono state insopportabili”, racconta Asif, un 18enne afghano citato dai media a Belgrado. “Ci accalchiamo e ci stringiamo intorno a un falò per tremare di meno. Ma il tutto dura poco, non più di un paio d’ore. Il resto del tempo lo passiamo nel gelo assoluto”. “Fa molto freddo, e dai fuochi si sprigiona un’aria irrespirabile. Tossiamo in continuazione, ma non abbiamo dove altro andare”, ha detto Kaship Han, anche lui giovane afghano. “Io non voglio tornare indietro. Voglio andare in Ungheria e da lì in Italia. Ma non posso rimanere qui al gelo. E’ terribile. In tanti si ammalano e gli aiuti non arrivano”.

migranti fito numero 1

Con l’accordo tra Ue e Turchia e la chiusura della rotta balcanica, l’Unione europea – denuncia Medici Senza Frontiere – ha deciso di trasformare l’intera regione in una barriera d’accesso, nel tentativo di bloccare l’afflusso di persone in cerca di protezione, che provengono da alcune delle zone di guerra. In questo momento alle persone manca del tutto un’assistenza adeguata e questo sta mettendo le loro vite in pericolo. Siamo testimoni delle più crudeli e inumane conseguenze delle politiche europee, usate come strumento per dissuadere e perseguitare persone che stanno solo cercando sicurezza e protezione in Europa.

Andrea Contenta, avete notizie di morti per il freddo?

“Sì, almeno cinque morti tra fine anno e inizio anno. Migranti che hanno perso la vita al confine tra la Turchia e la Bulgaria e tra la Bulgaria e la Serbia”.

Cosa accade?

“Spesso attraversano montagne innevate, foreste, in mano ai trafficanti di uomini, in condizioni proibitive. La gestione che sta facendo l’Europa di queste migrazioni sta mettendo a rischio la salute di migliaia di persone”.

Veniamo a Belgrado dove lei si trova in questo momento.

A Belgrado ha iniziato a nevicare martedì 3 gennaio. In quei giorni c’erano circa 1.600 persone che dormivano all’aperto o in edifici abbandonati come capannoni industriali, bruciando tutto quello che trovavano per scaldarsi. È stato allora che abbiamo ricevuto la prima segnalazione della morte per freddo di una donna somala nel sud della Bulgaria e di due uomini iracheni al confine tra Turchia e Bulgaria”.

Cosa manca ai migranti?

“Bagni, docce, acqua, vestiti adeguati al freddo, riscaldamento, soprattutto luoghi di riscaldamento in questo momento”.

Da dove provengono i migranti?

“Sono siriani, afghani, pachistani, curdi iracheni”.

Lei mi diceva che le temperature hanno raggiunto anche i meno 16 gradi.

“Sì, lo scorso fine settimana, le temperature hanno raggiunto i meno 16 gradi e il numero di persone bloccate a Belgrado è salito a duemila. Ora qui ci sono 30 centimetri di neve e nessuna di queste persone è vestita o attrezzata per questo clima. Le autorità locali a novembre avevano cominciato a provocare e intimidire i gruppi della società civile, arrivando addirittura a ostacolare il loro vitale lavoro, come la distribuzione di vestiti caldi”.

Quindi c’è una questione politica, oltre il gelo dell’inverno.

“Il vero problema è la mancanza di volontà politica per cercare di soddisfare le esigenze immediate di queste persone vulnerabili. È un fallimento dell’Unione europea, che ha chiuso gli occhi davanti al fatto lampante che le proprie politiche mal pianificate non hanno fermato il flusso di persone, ma non hanno nemmeno predisposto alternative legali per permettere loro di viaggiare in modo sicuro”.

Quindi che riflessione fa?

“Far finta che questo percorso sia chiuso e che queste persone non esistano non è la soluzione. Qualunque cosa si pensi circa il loro diritto di raggiungere l’Europa, meritano di essere trattati come esseri umani, con dignità. E in questo momento, non lo sono”.

migranti foto numero 2

Pesa in questo contesto la scelta fatta dall’Ungheria che rifiuta di accogliere rifugiati: solo 20 persone al giorno sono ammesse come richiedenti asilo entro i suoi confini. Questo contribuisce alla drammatica situazione di accumulo di famiglie disperate al confine serbo-ungherese, intrappolate tra la guerra e le barriere anti immigrazione.

Andrea Contenta ricorda il suo arrivo in Serbia.

“Sono arrivato qui alla fine della scorsa estate. Allora la Serbia era ancora considerata un Paese di transito, con un flusso costante di persone in entrata e in uscita, nonostante la chiusura ufficiale della rotta balcanica da parte dell’Unione europea. Quasi tutti viaggiavano affidandosi a trafficanti. Alla fine dell’estate, la situazione è iniziata a cambiare. Sembrava che i Paesi lungo la rotta balcanica facessero a gara nell’inasprire progressivamente le misure deterrenti per fermare il flusso di persone.

Almeno la metà delle persone visitate nelle nostre cliniche in quel momento riportava lesioni dovute a episodi di violenza. In alcuni casi gravi, siamo stati costretti a indirizzarle in ospedale per ulteriori trattamenti. Le lesioni includevano morsi di cane, gravi contusioni e le conseguenze dell’uso di spray al pepe e dissuasori elettrici. Tutti hanno confermato che le ferite erano state provocate dalle varie polizie di frontiera (inclusa Frontex) lungo il percorso. Purtroppo nemmeno i bambini sono stati risparmiati. Ricordo una bimba di due anni alla quale era stato spruzzato il pepe in faccia!”.

migranti foto numero 3

Situazione drammatica anche in Grecia. Queste le informazioni rese note da Msf:

A lesbo il tempo sta migliorando ma il campo di Moria è umido e fangoso e le persone sono al freddo. Molte tende sono distrutte dal peso della neve e della pioggia. È stata creata una nuova area per ospitare 150 persone. Msf ha donato cento letti a castello a questa struttura.

A Samo molte persone vivono ancora nelle tende in un’area fangosa. Msf ha trasferito 23 persone vulnerabili dall’hotspot al proprio riparo d’emergenza, dove ospita attualmente 84 persone (famiglie, donne incinte, neonati).

A Salonicco martedì sono caduti 15 centimetri di neve. Le strade sono bloccate e Msf ha dovuto interrompere le proprie attività di salute mentale. Abbiamo noleggiato auto 4×4 per raggiungere i 13 campi. Le condizioni sono particolarmente dure nel campo Softex dove le tubature sono gelate, non c’è elettricità e il riscaldamento è incostante. Gran parte dell’infrastruttura è danneggiata e dovrà essere sostituita appena terminata l’ondata di gelo.

  • Autore articolo
    Piero Bosio
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    Nuova strategia e organismi di gestione per i fondi per le aree interne fino al 2027. Lo ha deciso il governo, con poca convinzione nella possibilità di invertire lo spopolamento e il declino economico di ampie zone d’Italia, più al sud che nel centro nord. In tutto ci vivono oltre 13 milioni di persone. In Lombardia le aree interne sono Valcamonica e Valcamonica in provincia di Brescia, Val d’Intelvi in quella di Como, e l’Oltrepo pavese. Per supportare questi territori ci saranno strutture dalla presidenza del consiglio alle regioni, passando per gli enti territoriali comprensoriali che dovranno attivarsi per coordinare il lavoro in rete. Come nella precedente strategia rimangono centrali i servizi per chi vive in questi territori, dalla sanità alla scuola, passando per le connessioni digitali e i trasporti. L’invecchiamento della popolazione, secondo il documento del governo, appare maggiore in questi territori, i migranti possono aiutare a diminuire questa prospettiva, così come ci sono segnali di ripresa del commercio in alcuni territori. Fabio Fimiani ha sentito Patrizio Dolcini di Legambiente Oltrepo pavese, una delle aree interne della Lombardia.

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    “Jazz in un giorno d’estate”: il titolo ricalca quello di un famoso film sul jazz girato al Newport Jazz Festival nel luglio del ’58. “Jazz in un giorno d’estate” propone grandi momenti e grandi protagonisti delle estati del jazz, in particolare facendo ascoltare jazz immortalato nel corso di festival che hanno fatto la storia di questa musica. Dopo avere negli anni scorsi ripercorso le prime edizioni dei pionieristici festival americani di Newport, nato nel '54, e di Monterey, nato nel '58, "Jazz in un giorno d'estate" rende omaggio al Montreux Jazz Festival, la manifestazione europea dedicata al jazz che più di ogni altra è riuscita a rivaleggiare, anche come fucina di grandi album dal vivo, con i maggiori festival d'oltre Atlantico. Decollato nel giugno del '67 nella rinomata località di villeggiatura sulle rive del lago di Ginevra, e da allora tornato ogni anno con puntualità svizzera, il Montreux Jazz Festival è arrivato nel 2017 alla sua cinquantunesima edizione.

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